Farei il tifo per lui. Per Francesco Polesel. Faceva il pizzaiolo, viene da un paesotto rurale del Piemonte, voleva aiutare la famiglia. Oggi si occupa di contenuti su Youtube. E guadagna moltissimo, dice. E non ci mette la faccia, dice. E qui il mio improvviso entusiasmo si arresta. Arretra, vorrei aggiungere. Perché se non ci metti la faccia, bello mio…Tuttavia lui spiega, è sempre una questione di profitto, di etica di mercato. Guadagni sulle visualizzazioni in definitiva, e non devi necessariamente fare le smorfiette o qualsiasi accidente per motivarle. Quindi guadagni, dice il giovanotto, passivamente. Una gran cosa. Ed è diverso, vedete, non è ecommerce, un’agenzia di marketing, non funzionava no, dice Polesel. Mentre i suoi colleghi hanno trovato la soluzione, hanno svoltato, insomma. Lui ha svoltato con le view. Lui con un certo Amin. Si sono incontrati al momento giusto. La questione oramai per la mia curiosità travalica la ragione pura. Non è mio interesse valutarla. Cosa sia più vergine: la fatica da proletario (immagina obsoleta, chiedo scusa, ma è per intenderci), l’operaio di una fabbrica, la ripetitività trucidante; la pazienza abnegata davanti a un rullo, a un compressore. La sirena delle cinque e i cancelli aperti. Ma qui siamo già in una canzone di Gaber o di Jannacci.
Forse la nuova frontiera del lavoro è l’elezione di una nuova via che strizza le convinzioni gravose e retoricamente ideologizzate, lavoro e fatica. La nuova frontiera è fregare un po’ il tempo, la fatica. Debellare il nodo scorsoio del sacrificio e dunque per estensione il senso stesso della responsabilità. E questo potremmo persino estenderlo a ogni ambito della nostra vita. Ma tanto la nostra vita che cosa sarebbe? Svuotata di dogmi o di tralicci a cui appendere una rinuncia, una parete per le mostrine, ognuna compartecipe di una ferita. No, liberi finalmente, liberi e ignari, leggeri come un tramonto per l’apericena. I fatti contingenti e mondani sopraelevati su bellezze trapassate. Il tramonto alla mercè di un calice sulla spiaggia, di party sudaticci su un lungomare alla moda, molto vip, molto ialuronico. Perdonate l’estensione. Perché non dovrei affidarmi alla dritta di Polesel, come alle indicazioni dell’uno o l’altro motivatore? Per me il senso che mi raggiunge è: posso fottere la vita, sì? Bene, eseguito. Io dodici ore in fabbrica non me le faccio. O la commessa sottopagata di uno store concreto, non visionario, non lanciato nel web, nell’etere nel nulla. Io alle due del mattino non vado a panificare. Ho sonno.
Quanto guadagnerei poi? A fare la morta di fame con noblesse oblige prego mando qualcuno di voi. Io voglio guadagnare 4 euro ogni cento visite su contenuti Youtube. Non metterci la faccia. E allora? Cosa sarà il mondo di domani senza panificatori o medici gettati con il cuore oltre lo steccato, galvanizzati da un proficuo scambio di pixel tra internauti? Non lo so. Rinunceremo al mondo come lo conosciamo. Il mondo tradurrà una nuova razza di umani. Balle di azoto. Balle e basta. Contenuti da motivatori. Voglio dire sarà un insieme di stronzate, ciance, cose non raggiungibili, aleatorie. Ma i social ci hanno già preparato. Quando incontri una persona davvero sul serio ma veramente? E pensi: non ci posso credere, esisti anche nella vita vera. Badate il rafforzativo “vera”. Perché una crede che al massimo ci sopravviva l’avatar. Che comunque di gran lunga è più scaltro di noi. Sta sempre molto meglio di noi. La vita vera. Pensate quanto inutili siano parabole del tipo: “Il destino aveva smesso di costruire le sue stazioni”. Era Kundera, ne “La vita è altrove”. Lo scriveva per bocca di Jaromil il poeta. I poeti, progenie di sconclusionati e visionari. Idioti che ci mettono sempre la faccia. Ma pe’ fa che?