Cosa direbbe Gianfranco Funari dell’Italia del 2023, l’Italia uscita dalla mazzata del Covid, passata dall’ennesimo governo tecnico con Mario Draghi, afflitta dalle conseguenze della guerra in Ucraina e che oggi vede al timone la prima donna premier, Giorgia Meloni, con il governo più a destra dell’intera storia della Repubblica? L’interrogativo, diceva quello, sorge spontaneo, nel giorno in cui a Viareggio viene consegnato il Premio Giornalaio dell’Anno intitolato a lui, il mattatore dalle mille vite, bastian contrario per vocazione, megafono della franchezza e della veracità in salsa romanesca, anzi, quasi sorallelesca. Nella commissione che aggiudica il premio a chi si sia “contraddistinto per il suo spirito indipendente e per la voglia di fare informazione aperta a tutti” c’è, fra gli altri, Gianni Barbacetto, firma del Fatto Quotidiano e di Micromega. Con lui, in nomine Funari, facciamo il punto politico, prendendo a cartina di tornasole la Lombardia a cui solitamente riserva un occhio particolare, macinando nel frattempo libri con una media di uno ogni due anni (l’ultimo, appena uscito, è dedicato all’oggetto di tante sue attenzioni giornalistiche specialmente sul piano giudiziario, Silvio Berlusconi, e si intitola “Una storia italiana”, Chiarelettere).
Gianni Barbacetto, chi ha vinto in Lombardia lo sappiamo: è stato confermato presidente della Regione il leghista Attilio Fontana. Ma chi ha vinto davvero nella competizione autentica, che era tutta interna al centrodestra?
Ha vinto la smemoratezza, perché la popolazione della Regione più colpita al mondo dal Covid non si è ricordata della pessima gestione della pandemia, ma più in generale delle pessime riforme del servizio sanitario, togliendo la sanità territoriale per privilegiare i grandi ospedali privati. Tutto ciò è stato dimenticato, anziché chiedere il conto a coloro che hanno permesso che la Regione Lombardia fosse quella con più morti al mondo, peggio della Cina.
Probabile che chi non ha dimenticato abbia preferito l’astensione, che è stata record.
Sì, c’è anche questo, visto che il vero vincitore è chi è rimasto a casa, è l’astensione. Questo è un grave problema per la democrazia perché non crede che la politica possa cambiare le cose.
La sortita in zona cesarini di Berlusconi contro Zelensky, ovvero contro la Meloni che ostenta vicinanza a Zelensky, non ha avuto effetti, pare.
No, non mi sembra che abbia spostato molto. Devo dire invece che è andata bene per Giorgia Meloni, perché se ci fosse stata una sconfitta secca di Berlusconi da una parte e della Lega dall’altra, proprio nella Regione dove la Lega è nata, la Meloni non avrebbe potuto gioire, anzi, dovrebbe essere molto preoccupata. La somma è uguale, ma non deve gestire i rapporti con alleati che sarebbero incazzati.
Cioè talmente scontenti da renderle poi la vita durissima assediandola con la fronda interna alla coalizione, vedi appunto Berlusconi.
Esatto. Vincere troppo per lei sarebbe stato un problema politico.
Il centrosinistra rimasto confinato nella ridotta delle ZTL, diciamolo, lo sapeva fin dall’inizio che faceva la fine che ha fatto, no?
Sì, e penso che uno dei motivi per cui hanno candidato Pierfrancesco Majorino, che è proprio del mainstream del Pd ma ha questa, diciamo, facciata più di sinistra, era per cercare di differenziarsi dal centrodestra. Ma si sapeva, nessuno si è stupito, perché sono risultati che si attendevano. Dall’inizio alla fine della campagna elettorale la situazione è rimasta la stessa. Il punto è che la sinistra non parla agli astensionisti. L’elettore di sinistra non ha nessuno che lo appassioni, che gli faccia dire “vado a votare, perdo ma almeno c’è qualcuno che mi rappresenta”.
Anche il Terzo Polo di Renzi e Calenda ha rimediato una figuraccia. Non è bastato puntare su Letizia Moratti, che per lo meno è una figura di spicco.
Io non ho una grande considerazione della Moratti, che credo che abbia scelto di candidarsi per ripicca, perché lei avrebbe voluto essere la candidata presidente del centrodestra. Probabilmente qualcuno gliel’aveva anche promesso: quando l’hanno chiamata a fare la vicepresidente, c’era un Attilio Fontana politicamente morente, lei se ne stava nella sua bella casa milanese e invece, appunto, l’hanno chiamata mettendola nei guai, avrebbe dovuto fare lei la presidente dopo Fontana, e poi Salvini all’ultimo si è impuntato su Fontana, che rappresenta il baluardo della Lega. Lei, allora, per puntiglio si è candidata e ha scelto la compagnia sbagliata.
A livello di marketing politico, però, la Moratti quanto meno è un volto noto, a differenza di Majorino.
Sì, ma la notorietà non fa voti. È come a Sanremo per la sinistra: lì la sinistra vince, ma poi perde alle elezioni.
Vittorio Sgarbi è stato eletto consigliere regionale, sia pur con meno di mille voti. Ora assomma dieci cariche, fra cui sottosegretario alla Cultura, sindaco di Sutri, assessore alla Cultura a Viterbo e altre. Ce lo vedi fra i banchi della maggioranza al Pirellone (carica che dovrebbe lasciare per incompatibilità, anche se, sul Corriere, oggi sostiene di voler tenersela), o continuerà a preferire, come è più probabile, la prima fila nazionale, magari facendo ombra al ministro della cultura Gennaro Sangiuliano?
Intanto non lo vedo come politico impegnato in generale: a lui piace andare più in tv e in giro che non a stare nelle aule parlamentari o dei consigli regionali o comunali, dove intanto si fa eleggere. I consigli regionali, fra l’altro, hanno un altissimo tasso di lavoro, ma di lavoro, diciamoci la verità, noiosissimo. Non me lo vedo Sgarbi seguire le noiose sedute del consiglio regionale. Preferisce stare la tv. C’è una botta che Sgarbi ha ricevuto al ministero: quando ha detto “giù le mani dal Meazza, lo stadio di San Siro non si abbatte perché porrò il vincolo”, è stato subito smentito. Per una volta che Sgarbi dice una cosa giusta, riescono a sconfessarlo (ride, ndr).
Ma dura, secondo te, alla Cultura a Roma?
Mah, secondo me dura poco perché si stufa lui.
Granfranco Funari, andando a immaginazione, cosa direbbe del momento storico e politico che stiamo attraversando?
Questi sono giochi che è sempre difficilissimo fare. Funari è stato un grande nel momento in cui ha operato, perché ha inventato una maniera di fare televisione e ha colto il segno dei tempi, perché ha portato la gente dentro la tv, dando la voce ai cittadini normali, specie quelli incazzati. Ha fatto cioè un’operazione che oggi sarebbe improponibile, perché oggi in televisione a urlare sono tutti. Forse si metterebbe la cravatta e diventerebbe rigorosissimo, per andare controcorrente in una tv che è diventata un talk show unico che comincia la mattina e finisce la sera in cui si discute delle stesse cose, per cui tu non distingui più un programma dall’altro.
Funari il “giornalaio” che parlava come mangiava, e non certo sottovoce, per bastiancontrarismo ora adotterebbe un improbabile aplomb inglese?
Chi può dirlo. Certo è che non potrebbe rifare sé stesso.