Gino Paoli torna a parlare della polemica scoppiata con Elodie dopo quella frase sulle “cantanti che mostrano il culo”, e lo fa senza ritrattare, anzi. “Giuro che non sapevo chi fosse Elodie”, dice. “Poi mia moglie mi ha mostrato una sua foto. È una bella donna”. Nessun tentativo di recupero: “Parlavo in generale, pensando non solo all’Italia”, ribadisce. Ma il messaggio era chiaro allora e resta chiaro adesso anche se fa sorridere che la cantante si sia identificata da sola in un personaggio che lui non aveva mai citato, facendo solo un’allusione generica e senza alcun riferimento particolare a lei. Sono queste le parole nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera durante la quale ripercorre settant’anni di musica e di vita privata, ma soprattutto rompe il silenzio dopo la morte del figlio Giovanni scomparso mesi fa: “È un dolore che non ho ancora superato. Mi pesa molto parlarne. È un’ingiustizia atroce: dovevo morire io prima di lui. L’ho detto al prete durante il funerale: ‘Dio dov’è? Come può permettere che un padre debba seppellire un figlio?’”.

Non si definisce il padre del cantautorato italiano, anzi, attribuisce quel titolo a Domenico Modugno: “Con ‘Vecchio frac’ ha dimostrato che una canzone poteva raccontare una storia. Prima c’erano solo i papaveri e le papere”. Poi racconta l’origine de La gatta, il primo successo del 1959: era reale, si chiamava Ciacola, “furbissima”. Un giorno cadde dalla finestra, si fece male, e poi sfruttava quella zampa ferita per farsi perdonare ogni disastro. “Irresistibile”. Ma è con Il cielo in una stanza che si torna a una delle pagine più discusse del suo repertorio. La canzone, dice, nacque da un incontro in un bordello. “Ebbi un amoretto con una puttana”, racconta. “Mi piaceva tanto e anche lei era presa. Andai da lei due, tre, quattro volte. Poi finii i soldi. Rubai a mio padre un’enciclopedia e la rivendetti. Ripresi a vederla finché non potei più permettermelo. Alla fine mi disse: ‘Vieni via con me’. Ma le dissi di no. Non l’ho mai più rivista”. Non ha mai saputo, quella ragazza, che fu lei a ispirare una delle canzoni più famose della musica italiana.

C’è spazio anche per Sapore di sale, scritta nel 1963: “È la prima crepa nell’Italia felice degli anni Sessanta. Sentivo che quel periodo non sarebbe durato”. E poi, con la solita autoironia, dice che “sono arrivato a 90 anni con lo stile di vita più malsano possibile: due pacchetti di sigarette al giorno e una bottiglia di whisky. Una volta l’ho raccontato a un convegno di gerontologi e mi hanno applaudito per dieci minuti. Il mio medico mi vuole rigare la macchina”. Nel finale, non manca la stoccata anche a Stefano Accorsi, che lo ha interpretato in un film. “È bravo, ma per farlo hanno studiato De André. Peccato che io non sia De André. Io rido, faccio casino, Faber era sempre cupo”. E anche con De André, in effetti, non finì benissimo. “Mi rispose incazzato per un articolo in cui scrissi che Dylan era meglio di lui. Non ho mai fatto marcia indietro”.