Il modello dell’auto era stato riconosciuto, il 112 era stato allertato e la mattina dopo la denuncia era stata depositata, ma si poteva intervenire prima? Sabato 25 novembre è il giorno di rientro in Italia per Filippo Turetta con un volo diretto Francoforte-Venezia; per lui, accusato di omicidio volontario e sequestro di persona, si prospetta un trasferimento al carcere di Verona in una cella di isolamento, dove potrà essere sorvegliato 24 ore su 24. Entro cinque giorni dovrà sostenere l’interrogatorio di garanzia di fronte al gip di Venezia. Si chiude così la sua fuga dopo l'omicidio della sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, ventiduenne di Vigonovo. Eppure, adesso sembrano crescere sempre di più i dubbi riguardo alle prime ore di quella tragica sera di sabato 11 novembre, quando tutto ebbe inizio. Sono passate esattamente tre settimane dalle prime fasi del dramma, e il quadro generale stenta ancora a essere del tutto chiaro e completo. Questa volta si punta il dito verso le forze dell’ordine, accusate (forse) di aver agito con troppa sufficienza; anzi, di non aver agito affatto. Sono le 23.15 di sabato 11 quando un vicino di casa dei Cecchettin, dal suo balcone che affaccia sul piazzale di via Aldo Moro, assiste a quella che potrebbe essere forse la prima (o una delle prime) aggressione di Turetta ai danni di Giulia. Li intravede da lontano, al buio; i volti non si distinguono, ma le parole sono chiare. La ragazza urla: "Così mi fai male!", e continua a chiedere aiuto, lui la colpisce ripetutamente e la costringe a risalire sul veicolo, poi parte. Il testimone, pur non avendo riconosciuto i due ragazzi, ha prontamente chiamato il 112 raccontando quasi in diretta la scena. Sono le 23:18, infatti, quando arriva la telefonata all'Arma. Il dettaglio più interessante, reso noto solamente in queste ultime ore, è che la vettura di Turetta era stata riconosciuta; o meglio, era stato riconosciuto il modello, ma non la targa. Nella dichiarazione al gip si legge: "Un individuo calciava violentemente una sagoma a terra notando poi allontanarsi una Fiat Grande Punto". Eppure, nessuna gazzella è intervenuta sul luogo; ma perché?
Secondo quanto riportato dai Carabinieri in quello stesso momento era giunta un'altra richiesta di intervento per una rissa in un bar, mentre un'altra pattuglia era già impegnata per una lite seguita a un incidente stradale. Inoltre, secondo gli investigatori dell'Arma, il testimone avrebbe parlato di "una lite tra due persone che erano già risalite in auto e si erano allontanate" e di una Punto di cui "non è riuscito ad annotare la targa". Intanto passa circa mezz'ora dalla chiamata al 112, a poco più 5 km di distanza dal piazzale in via Aldo Moro, nella zona industriale di Fossò una telecamera di sicurezza filma l'ennesima aggressione ai danni della ventiduenne; un filmato a dir poco fondamentale per lo sviluppo delle indagini. La mattina di domenica 12 novembre, alle ore 13:30, il padre della Cecchettin firma la denuncia di scomparsa, ammettendo: “Temo per l’incolumità di mia figlia”. Dunque, si poteva intervenire prima? A quanto pare le possibilità c’erano; anche se è difficile parlare a posteriori. Intanto, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, al convegno "L’Europa di Domani", dichiara: "È una situazione che merita un approfondimento. Le forze di polizia e l’Arma dei carabinieri non si sono mai sottratte all’assunzione delle loro responsabilità", e a proposito della denuncia mossa dal vicino e del mancato intervento di una gazzella afferma: "Sarebbe pericoloso dare delle spiegazioni. Occorre concedere il beneficio del dubbio e la necessità di fare chiarezza". Comunque sia, con un comunicato l'Arma dei Carabinieri ha dichiarato di aver messo a disposizione dell’autorità giudiziaria tutto il contenuto, corredato di registrazione audio, non appena appresa la notizia della scomparsa. Adesso si attende solo l’inizio del processo.