Che tempo che fa (e dove se no), domenica 19 gennaio. Fabio Fazio, che ama volare impavido sempre alto, introduce il tema dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, ospiti Massimo Giannini, editorialista di “Repubblica”, Fiorenza Sarzanini, vicedirettrice del “Corriere della sera” e da Washington Antonio Di Bella, corrispondente permanente Rai. Il meglio del giornalismo nazionale o quasi. Ad un certo punto il conduttore dice la sua, rivolgendosi a Di Bella impegnato a spiegare Trump che "spara alto contro Groenlandia, Danimarca": "Chissà perché poi… uno si aspettava l’attacco a Russia, Cina, perché proprio Danimarca per la Groenlandia, il Canada, perché? Boh!". Fazio praticamente mostra candidamente di non sapere di cosa sta parlando, come più tardi quando intervista Cecilia Sala e le chiede non solo se avesse avuto in prigione la carta igienica ma se i suoi carcerieri iraniani fossero stati davvero rozzi come si crede. Esattamente, come lui credeva. Di Bella gli va in soccorso, dicendo testuale e integrale: "Io ho un’idea, Fabio. Sulla Groenlandia è la stessa cosa che disse Putin sulla Crimea: non c’è altro modo di proteggere i nostri interessi geopolitici che prenderci la Crimea, disse Putin e così disse anche Trump non solo questa volta ma da un po’ di tempo. E quindi insomma padroni del nostro emisfero, possiamo dire parafrasando la vecchia Lega: noi ci occupiamo di Panama, del Sudamerica, del Canada, la Russia si occupa della Crimea, magari dell’Ucraina vi arrangiate voi europei, e ognuno fa quello che vuole nel suo luogo. Sovranismo applicato al suo emisfero. Questa è una chiave di interpretazione secondo me". Chiave che però non apre alcuna porta e che né Giannini né la Sarzanini, evidentemente a corto di loro chiavi, si sono preoccupati di consigliare di buttare, magari obiettando che mai in passato nemmeno Trump ha pensato al Canada e alla Groenlandia come nuove stelle della bandiera a stelle e strisce. Ha fatto forse un corso accelerato di geografia e si è innamorato sulla carta dei ghiacciai del nord? La domanda vera è un’altra: perché oggi tanto interesse degli Usa, come della Russia e della Cina, circa lo sterminato territorio ghiacciato mai invidiato al re di Danimarca essendo del tutto inservibile a qualsiasi scopo utile, inospitale e popolato solo da qualche decina di migliaia di inuit e coloni danesi? E perché fa gola anche il Canada che dista solo qualche chilometro dalla Groenlandia? Gli “interessi geopolitici” accampati da Di Bella giocano sì un ruolo, ma sono quelli finalizzati agli scambi commerciali intercontinentali e non a mire espansionistiche di tipo neocolonialistico e di egemonia territoriale. La verità, amara e preoccupante, è che la vasta regione sotto il Circolo polare artico sovrastante ben tre continenti è diventata di interesse strategico mondiale a seguito del progressivo scioglimento dei ghiacciai che alle latitudini meridionali della Groenlandia e, a ovest, dello Stretto di Bering (una volta navigabile solo d’estate e oggi sempre più anche d’inverno), sta rendendo un’area fino a ieri off limits una nuova rotta commerciale di straordinarie opportunità e di fin troppo ghiotta convenienza.
Se oggi i container cinesi e asiatici sono costretti, per raggiungere i ricchi mercati americani ed europei, a circumnavigare l’Africa, dopo soprattutto i problemi determinati dalla minacciosa presenza nel Canale di Suez dei miliziani yemeniti Houthi, allungando così fin oltre 42 giorni il tempo di percorrenza, con gravi danni alle economie nazionali, attraversare il Mar di Norvegia e l’Oceano Atlantico settentrionale, una volta interdetti e oggi navigabili, ridurrebbe invece di oltre la metà i tempi di consegna delle merci. È del tutto ovvio quindi che prima Pechino, poi Mosca e oggi Washington pensino di prenderne il controllo, impegnando ogni fermo proposito, anche militare, per non farsi sfuggire la possibilità di dominare la “Via della seta” del nostro tempo e di quello futuro. La storia non dimostra forse che guerre anche centenarie sono scoppiate per molto, molto meno? Qui il piatto è inimmaginabile. Sicché, per le stesse ragioni per le quali mira alla Groenlandia, Trump guarda anche al Canada e allo Stretto di Bering condiviso con la Russa da una striscia di mare e dunque ancora più necessario da annettere. In gioco ci sono interessi enormi che sembrano scavalcare al momento l’Europa, dalla quale si è pur levata una flebile e inascoltata voce a difesa della sovranità danese. Federico X, re di Danimarca, ha dal canto suo cercato di alzare la cresta, ma sa bene che Copenaghen non è per niente amata in Groenlandia, teatro in passato anche di sanguinose repressioni, e che è priva dei mezzi finanziari indispensabili per gestire un affare delle dimensioni che si vanno prospettando. I colossi della Terra stanno in sostanza facendo prove di sfruttamento dei mutamenti climatici. Che se portano profitti, come le previsioni sulla salute del pianeta presagiscono, è molto improbabile che verranno affrontati perché siano normalizzati. Anzi più i ghiacciai si sciolgono, più il mare si riscalda e più rotte si aprono. Per le superpotenze mondiali è la scoperta dell’Eldorado. Per il pianeta azzurro l’inizio della fine.