“Propaganda. Pro-pa-gan-da, vecchio mio”. Mentre il mondo veniva scosso dalle immagini scioccanti del massacro di Bucha, dove dalla terra sono emersi centinaia di corpi di civili ucraini massacrati a nord-ovest di Kiev e gettati nelle fosse comuni, Carlo Freccero durante un incontro della commissione “Dubbio e precauzione” avanzava una ardita teoria secondo la quale, in estrema sintesi, nel racconto della guerra in corso è in atto una mistificazione – da ambo le parti – attraverso gli strumenti della fiction. Chiaramente, moltissimi giornali e soprattutto siti web – rilanciati dai social - hanno ripreso le sue parole, in alcuni casi arrivando a fargli dire (anche se non si era spinto fino a questo punto) che all’ospedale di Mariupol abbiamo visto “donne attrici e bombardamenti finti”. E chiaramente quello che doveva essere un intervento ragionato di uno dei membri del comitato fondato dagli accademici contrari al Green pass – ora diventati molto scettici verso l’invio di armi occidentali all'Ucraina per difendersi dalla Russia – ha aperto un vero e proprio caso. Ma riascoltando l’intervento completo dell'ex direttore di RaiDue, che prima della pandemia era considerato un guru della massmediologia televisiva, e associando la sua riflessione a diversi aspetti palesemente distorti dell’informazione in corso, viene da chiedersi: e se avesse ragione lui?
Raggiunto telefonicamente da Tommaso Labate, giornalista del Corriere, Freccero ha spiegato: “Ma io non ho mai detto che le donne ferite nell'ospedale pediatrico di Mariupol erano attrici, il mio ragionamento è più complesso. Basta, denuncio! Esiste un materiale prodotto ad hoc a scopo propagandistico di cui conosciamo l'esistenza, ne è un buon esempio il bombardamento all'ospedale pediatrico con l'influencer incinta, successivamente dichiarata morta e ricomparsa poco dopo, in un'altra storia. Ma già nelle altre guerre avevamo precedenti di ogni tipo, dai falsi salvataggi dei caschi bianchi in Siria ai filmati dell'Isis girati in studio...”. Restando all’Ucraina, però, è di queste ore la controversa vicenda proprio di Mariana Vyscemyrska, la ragazza ritratta mentre scappava dall’ospedale pediatrico di Mariupol’ che sarebbe stata rapita dalle forze d’occupazione russe. A darne notizia è il giornale ucraino online Obozrevatel. La donna, di mestiere blogger e che era incinta al momento del raid, aveva partorito dopo essere sopravvissuta alle bombe. I volontari citati dal giornale riportano che i suoi parenti avevano insistito affinché venisse accompagnata nel territorio sotto il controllo dell’Ucraina per evitare che venisse usata “per i scopi propagandistici della Russia”. Ma adesso Vyscemyrska sarebbe stata rapita e costretta a negare quel raid di cui è stata vittima. Già poco dopo l’aggressione, l’informazione legata a Mosca parlava di “una messa in scena”. E infatti, in un video diffuso nelle ultime ore la donna dichiara che l’ospedale di Mariupol “è stato utilizzato come base militare dalle truppe ucraine” confermando la versione russa. Verità o propaganda?
Non è il solo cortocircuito della comunicazione che lo spettatore medio deve provare a codificare per capirci qualcosa su questo conflitto tra una pausa e l’altra dal lavoro o un post sullo schiaffo di Will Smith a Chris Rock agli Oscar (e anche questo episodio è diventato materia di dibattito tra fiction e realtà). Ed è lì, in quella fessura che si apre tra il vero, il presunto e il falso, che Freccero ha voluto mettere il dito nella piaga. Vediamo di segnalare gli altri aspetti più macroscopici dell’informazione distorta che da settimane entra nelle nostre case. Se i russi, oltre alle armi, stanno provando a portare la narrativa dell’invasione sulle loro tesi (non guerra ma “operazione speciale” per “denazificare l’Ucraina”), anche dall’altra parte gli ucraini hanno risposto con la loro dose di fiction. “Comunque la guerra montata dalla comunicazione di Zelensky e postata da Zelensky sui suoi social come se fosse il trailer di film su Netflix è disturbante. Sembra finto ciò che è vero, che poi è il contrario dell’effetto che si vorrebbe avere sulla platea, suppongo ha scritto la giornalista Selvaggia Lucarelli in un post su Instagram, allegando un video nel quale il presidente ucraino si aggira fra le macerie scortato dai suoi uomini, con una colonna sonora e una voce narrante degna di un trailer di un film. Non è forse fiction?
A ciò si aggiunge che questa sera, 4 aprile, andrà in onda in esclusiva su La7 “Servant of the people”, la serie evento che ha consacrato l'attuale presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky come attore popolare. Se da un lato c’è chi è interessato a conoscere la carriera di quello che è diventato – sempre agli occhi occidentali – un eroe per il suo popolo, dall’altro non sono mancate le critiche. Come quella di Davide Ciliberti, pubblicitario del gruppo di comunicazione Purple & Noise PR su Affari Italiani: “È un’iniziativa a dir poco di dubbio gusto”. E ha proseguito: “Non riusciamo a intravedere una ragione, oltre ad accaparrarsi, forse e sottolineo forse, una serata di record di ascolti e qualche euro di budget pubblicitario in più, per cavalcare una cronaca che è guerra e distruzione e dove Zelensky è rappresentazione e sintesi di tutto il popolo Ucraino e della sua odierna sofferenza. Mandare in questo contesto – ha detto l’esperto di comunicazione e media – in onda una sit-com umoristica che tira fuori da un vecchio cassetto lo Zelensky-attore comico, oggi, mentre lo Zelensky uomo e presidente è sotto le bombe insieme al suo popolo è significativamente distonico, anche in relazione alle meritorie attività di raccolta fondi pro-Ucraina, che La7 col Corriere ha messo in campo, e secondo me anche moralmente sbagliato”. O la partecipazione del leader ucraino alla notte dei Grammy a Los Angeles dove ha lanciato questo messaggio: "Aiutateci, ma non col silenzio. Riempite il silenzio della morte con la vostra musica". È tutta informazione, propaganda o cinismo?
Restando a La7 e a casa nostra, l’Italia, continuano a far discutere le dirette del conduttore di Non è l’Arena da Odessa. Lo studio allestito al fronte, fra sacchi di sabbia ben posizionati, bandiere dell’ucraina in vista, il giubbotto antiproiettile con la scritta “Press” posizionato a favore di telecamera e una certa propensione alla commozione (retorica?) di Massimo Giletti portano lo spettatore a pensare di assistere a un set televisivo di una fiction (Freccero docet) più che a uno speciale da un Paese in guerra. Ma nella spettacolarizzazione (o infotainment) per raccontare quel che accade in Ucraina, Giletti non è il solo a spiccare. Anche la Rai, dopo i primi giorni in cui aveva messo in campo i suoi giornalisti più esperti (e sotto contratto) ha iniziato a richiamarli per affidare i servizi dal fronte a una serie di freelance che, spesso, avevano poca o nessuna esperienza in scenari simili. E il povero Mattia Sorbi, che è spuntato in collegamento al Tg1 con una cuffia peruviana e un incedere un po’ incerto fra le macerie con il cellulare tremante fra le mani, ne ha fatto le spese per tutti gli altri in termini di ironie social (lo abbiamo scritto qui). Senza contare che chi avanza teorie fuori dalla “narrazione ufficiale” viene impallinato da più parti, ma con effetti diversi. Alessandro Orsini ne ha approfittato denunciando la "censura", ma in realtà è ovunque sui giornali e le tv. Michele Santoro, invece, avrebbe dovuto tornare insieme a Enrico Mentana, ma il programma è saltato dopo che ha criticato la gestione della pandemia e ora è anche "fuori dal coro" sulla narrazione del conflitto in Ucraina e, quindi, si deve accontentare dell'ospitalità di Corrado Formigli a Piazzapulita.
Ma questi sono soltanto gli aspetti più marchiani della vicenda, perché nelle retrovie lavorano i veri professionisti delle fake news, così come i servizi di intelligence dei vari Paesi coinvolti, non solo della Russia e dell’Ucraina. Non a caso, come segnalato dall’Avvenire, nei primi giorni di scontri Twitter aveva già bloccato 50mila post e 75mila account. “Diffondevano notizie false sulla guerra in Ucraina. Un esercito di propalatori di fake finalizzate a disorientare le opinioni pubbliche, polarizzare il dibattito, e in gran parte sostenere le sedicenti ‘ragioni’ dell’invasione”. Infatti, “per i reporter è diventato sempre più complicato separare il grano dal loglio. E così, non di rado, nelle redazioni ci si vede costretti a non diffondere alcune notizie difficili da verificare per il timore di cadere nella trappola delle fake news, messe in circolazione da entrambe le parti”. Un esempio? “È il caso di alcune registrazioni telefoniche diffuse da ambienti ucraini nel corso delle quali dei soldati russi parlerebbero con le famiglie in patria durante i saccheggi commessi perfino su ordinazione: ‘Vuoi che porti via da questa casa un computer nuovo o un televisore?’. In mancanza di precisazioni sulle caratteristiche di queste intercettazioni, la notizia difficilmente può andare in pagina. Nei giorni successivi sono poi arrivate le immagini a circuito chiuso dei saccheggi”. Ormai sono note a tutti, infatti, le immagini dei (presunti) ladri ucraini filmati dopo essere stati denudati e legati con lo scotch ai pali dell’illuminazione su alcune pubbliche vie da militanti armati di Kiev. Ma altri filmati – da altre fonti – segnalano invece che quelle sarebbero torture ai danni di combattenti filorussi.
Difficile destreggiarsi in questo mare magnum di informazioni sparate su tv, radio, giornali, siti web e social con vorticosa frequenza, dove anche chi racconta non può che far rientrare i propri interessi con quelli degli argomenti trattati (ascolti, vendite, visualizzazioni, follower). È in tutto questo che l’analisi di Freccero, anche se scomoda e urticante, potrebbe non risultare così bislacca. In particolare quando, sempre al Corsera, puntualizza: “Propaganda. Pro-pa-gan-da, vecchio mio. La fiction di Zelensky attore che cosa fa? Si muta in realtà, la realtà prende la forma della fiction, che a sua volta ha assunto le sembianze di una realtà che non sappiamo se è realtà o post-realtà. Ecco il cortocircuito!”.