Sembra che in Italia le grandi famiglie dell’imprenditoria prima o poi siano destinate tutte a litigare, e a sgretolarsi. È successo con i Del Vecchio di Luxottica e con i Caprotti di Esselunga, è successo (e sta succedendo) tra John Elkann (e i fratelli Lapo e Ginevra) e la madre Margherita Agnelli, la famiglia della Fiat, e a quanto pare sta per succedere anche nella famiglia dei maglioncini colorati di Treviso. Luciano Benetton, il fondatore dell’omonima azienda, ha deciso di dire addio al Gruppo, e ha deciso di farlo col botto; vale a dire con un’intervista a dir poco discussa sulle pagine del Corriere della Sera, questa condotta e scritta dal vicedirettore del quotidiano Daniele Manca. L’imprenditore si è detto “tradito”, e soprattutto ha rivelato di aver scoperto quasi dal nulla un buco da cento milioni, puntando il dito verso il manager, da lui scelto, Massimo Renon; mai citato da Luciano. Dunque il fondatore lascia, o è stato lasciato? La lunga intervista al Corriere, infatti, sembra contenere molti dubbi, e in queste ore ha fatto infuriare molte persone, incluso il figlio di Luciano, Alessandro Benetton, alla guida di Edizione (holding di famiglia) che ha quindi deciso di sottolineare, come riporta Angela Valle su La Verità, che “in realtà non è Luciano che se ne va ma è la famiglia che lo licenzia”. Inoltre, si legge sempre nell’articolo della giornalista italiana, che il buco lamentato dal fondatore è “solo una spiacevole, ma ampiamente sopportabile perdita di bilancio che la cassaforte di famiglia coprirà con un aumento di capitale di 260 milioni”. Insomma, Luciano dice di andare via di sua volontà, mentre, riporta Valle, “il resto della dinastia ha deciso che il patriarca alla non più freschissima età di 89 anni deve andare in pensione”. Ma insomma, dove sta la verità? E mentre si consuma l’ennesima (presunta) faida di una dinastia industriale italiana, ci sono altri sospetti che gravano sulle parole del quasi novantenne Benetton. Ma chi è che soffre realmente?
A quanto pare le dichiarazioni dell’imprenditore classe ’35 non sono andate giù a nessuno. Né a qualche giornalista, né tantomeno ai familiari delle vittime del crollo del ponte Morandi a Genova nel 2018; di cui il gestore era proprio la famiglia Benetton. A puzzare sembra essere una certa nota vittimista che viene fuori tra le parole di Benetton; soprattutto riguardo la tragedia di quasi sei anni fa. A rispondere, a tono, all’imprenditore, è prima Nicola Porro, secondo cui Luciano avrebbe dovuto dichiarare che “è colpa mia, ho scelto male un manager, ho perso soldi e mi scuso con i miei collaboratori. Questo dice uno che ha i coglioni - afferma il giornalista e conduttore televisivo -, non ‘sono stato tradito’ e piagnucola. Piagnucola sul ponte Morandi, e piagnucola su Renon. È sempre colpa degli altri. Gli imprenditori - continua Porro - sono con i coglioni che fumano, se no - sottolinea - questi imprenditori sono quello che ha descritto la sinistra per anni, cioè gente che sa soltanto prendere finanziamenti pubblici”. Dello stesso avviso è anche Mario Giordano che, dalle pagine de La Verità, critica aspramente l’intervista pubblicata sul Corriere. “L’uomo di Treviso scrive il giornalista declina ogni responsabilità, apprestandosi a tagliare la corda: ‘Purtroppo ci saranno sacrifici da fare’, dice (Benetton, ndr). E lui - sottolinea Giordano -, si sa, non è uomo da fare sacrifici. Ha sempre preferito farli fare agli altri”. Inoltre, dopo aver anticipato un “nuovo kolossal” intitolato “#AndràtuttoBenetton”, e aver rispolverato le (gravi) dichiarazioni sul crollo del ponte del 2018, tipo “le manutenzioni delle autostrade non venivano fatte perché (parole testuali dei dirigenti del gruppo) ‘così distribuivamo più utili e la famiglia Benetton era contenta’”, si concentra sullo stesso “nonnino dei maglioncini”, così come lo chiama Giordano, che, continua il giornalista, “continuerà a fare l’unica cosa di cui sembra ancora davvero capace. E cioè il vittimismo con le tasche piene di miliardi”. E tra giornalisti e imprenditori adesso ad alzare la voce sono anche i parenti di chi sul ponte Morandi ha perso la vita. Ma qui chi è la vera vittima?
Durante l’intervista rilasciata al Corriere, Daniele Manca parlando di Luciano Benetton ha usato parole che hanno fatto esplodere una enorme polemica. La frase incriminata è “sopportare la tragedia del Ponte Morandi”, e a questa ha voluto rispondere Egle Possetti, presidente Comitato Ricordo Vittime del Ponte Morandi. La donna, che nella tragedia ha perso la sorella, il cognato e i due nipoti, ha dichiarato come “ci sono volute un po’ di ore per metabolizzare quanto abbiamo letto in merito all’abbandono dall’azienda di Luciano Benetton [...] Parole di commiato rilasciate quasi in veste immacolata e commossa al giornalista che lo incalza teneramente nel richiedere un dettagliato racconto. Ci sono volute un po’ di ore prima di rispondere, perché il primo istinto di penna sarebbe stato greve [...] Ha dovuto sopportare la tragedia - chiede Possetti -? Siamo allibiti e schifati. Per lui nessuna pietà [...] C’è molto rispetto - dichiara in nome del Comitato - per le persone anziane in noi, per le persone anziane che soffrono, che hanno perso un nipote, un figlio, una famiglia intera, per coloro che vivono di stenti, magari soli... Ma per questi anziani come il signor Luciano non può esserci umana pietà, non è umanamente possibile provare pena, noi percepiamo solo un groviglio alle budella”. Infine, l’ultima stoccata di Possetti verso i Benetton: “Sono ormai anni che cercano in tutti i modi di santificarsi, di far riflettere nuovamente la loro aureola di buoni imprenditori che per anni hanno avuto sul capo, ma non è più tempo ormai, le carte sono in tavola e sono scoperte. Sarebbe interessante capire dove siano finiti i fondi di bilancio spariti, sarebbe interessante capire se di fondi ne siano spariti altri, se ci siano società in perdita e quali siano i reali motivi. Ma questa è un’altra storia” (fonte virgolettati Milano Finanza).