L'Italia è più esposta che mai a minacce esterne e interne, ma sembra aver abbassato la guardia proprio sul fronte più delicato: il controspionaggio. Vent'anni dopo la tragica morte di Nicola Calipari in Iraq, Marco Mancini, ex dirigente dei servizi segreti e protagonista di quella stagione turbolenta, lancia un allarme che non può essere ignorato: "Abbiamo problemi seri, il nostro sistema di intelligence è in crisi". Mancini – sentito da Il Foglio – ricorda quella sera del 4 marzo 2005 come una ferita ancora aperta. "Non sapevo nemmeno che Calipari fosse in Iraq", ammette, lasciando intendere che la missione per salvare Giuliana Sgrena fosse circondata da un livello di segretezza che ha finito per diventare un boomerang. La macchina dello Stato si inceppò, lasciando spazio a errori, equivoci e, forse, omissioni. A riportare l'attenzione su questa vicenda è il film "Il Nibbio", che racconta proprio la storia di Calipari e del suo sacrificio. Un'opera che riaccende il dibattito e costringe l’opinione pubblica a fare i conti con un passato che continua a pesare sul presente. "La vicenda di Calipari non è solo memoria, ma un monito per il futuro", afferma Mancini. "E guardando la situazione attuale, possiamo dire di aver imparato qualcosa?". Mancini ricorda il fuoco "amico" degli americani sull'auto che riportava Sgrena in libertà. Ma oggi, dice, c'è un altro fronte che brucia: "Il vero problema è che il controspionaggio italiano è in crisi". Un'affermazione che pesa come un macigno, soprattutto in un momento storico in cui la sicurezza nazionale dovrebbe essere blindata. E invece no.

"Se tutte le strutture vengono smantellate e gli uomini esperti messi da parte, è chiaro che nascono voragini", spiega. Una denuncia che sa di atto d'accusa contro chi, negli ultimi anni, ha ridimensionato il ruolo dell'intelligence, esponendo il Paese a rischi enormi. Le parole di Mancini risuonano come un brusco allarme rosso: "L'Italia ha un grave problema di sicurezza nazionale. Abbiamo subito attacchi informatici, fughe di dati sensibili e casi eclatanti di spionaggio interno, come quello di Walter Biot, l’ufficiale della Marina catturato mentre vendeva informazioni segrete ai russi. Se i servizi non sono messi nelle condizioni di lavorare, la sicurezza dello Stato è un'illusione". Un problema strutturale, insomma. Negli ultimi anni, la politica ha spesso sacrificato la continuità e l'efficienza dell'intelligence sull'altare di giochi di potere e riorganizzazioni discutibili. L'Italia si trova così scoperta, mentre nuove minacce emergono: dalle guerre ibride all'hacktivismo, dallo spionaggio industriale alla disinformazione pilotata da potenze straniere. "Non possiamo permetterci di restare indietro", avverte Mancini. "Il mondo è cambiato, le regole dello spionaggio pure. Oggi la sfida non è solo sul campo, ma si combatte nei server, nelle aziende strategiche, nelle decisioni economiche e tecnologiche. Se perdiamo questo treno, il prezzo da pagare sarà altissimo". Il richiamo è chiaro: serve una sterzata. E serve subito. Perché la memoria di Calipari non può essere solo commemorazione, ma deve essere monito. L'Italia non può permettersi di restare cieca in un mondo che corre verso nuove guerre, visibili e invisibili. Il controspionaggio è la prima linea di difesa. Sottovalutarlo è un lusso che non possiamo più concederci.
