La fonte non spiega, indica. Segnala articoli usciti su vari giornali, episodi solo in apparenza scollegati tra loro e poi ti dice: unisci i punti, fatti le domande giuste, troverai le risposte. È un rebus, eppure una volta risolto sembra quasi tutto chiaro. Italia, febbraio 2025. Guerra tra governo e magistratura, tra governo e Corte penale internazionale, faide all'interno dei servizi segreti. Il caso Almasri, il procuratore di Roma Lo Voi indagato, i giornalisti e attivisti spiati fanno parte della stessa partita. Ma come sempre, oramai, a guardare queste cose solo da un punto di vista nazionale si perde l'importanza della posta in gioco: la gestione del potere nel cosiddetto mondo libero, l'Europa. Infatti, gli attori in campo appartengono tutti all'Occidente. Tutti, tranne uno: Recep Tayyip Erdoğan, presidente della Turchia. Che, quando parlano di questi intrighi, è il grande assente sui media italiani, ma che in realtà è decisivo. Ma si comprende solo unendo i punti. Quindi, cominciamo.
Primo punto: Israele, Us e Italia contro la Cpi
Lo schema parte da un fatto: Usa, Israele e Italia sono un fronte compatto contro la Corte penale internazionale. Alle indagini su Usa e Israele e al mandato di arresto per crimini di guerra del premier israeliano, Trump e Netanyahu hanno risposto imponendo sanzioni alla Cpi. Quanto a noi, è vero che la Germania ci aveva avvertito dell'arrivo di Almasri, ma è altrettanto acclarato che il mandato di cattura al torturatore libico sia stato ordinato solo quando ha messo piede in Italia. Il tentativo di mettere in difficoltà il governo Meloni è riuscito perfettamente. E il motivo è semplice: del fronte Usa-Israele-Italia noi siamo l'anello debole. Da attaccare senza pietà per compromettere il piano generale. In quest'ottica va vista anche il regolamento di conti all'interno dei nostri servizi.
Secondo punto: la guerra nei nostri servizi
Parlando del caso Paragon Matteo Salvini se l'è lasciato sfuggire: si tratta di un regolamento di conti tra i nostri servizi. Ha corretto le sue affermazioni subito dopo, ma rivelavano ciò che non si doveva sapere: all'interno di Aisi, servizi interni, Aise, esteri, e Dis, che sopraintende a entrambi, è in atto una guerra. Vecchi poteri, nuovi poteri. Che cercano e trovano sponde estere. Sponde che, a loro volta, approfittano delle divisioni interne. Anche i dossieraggi dell'agenzia Equalizer, le notizie spacciate dal finanziere Pasquale Striano e il recente caso Lo Voi vanno inquadrati in questo senso. Soffermiamoci un attimo su Lo Voi. Francesco Lo Voi è un procuratore indagato perché avrebbe dato ai legali di giornalisti, anche essi indagati, un file classificato come riservato. In questo file venivano registrati i tre accessi a una banca dati per avere informazioni sul capo gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi. Due risultati legittimi, uno no. La ricostruzione più puntuale la fa Amadori su la Verità. I due legittimi sono stati fatti da funzionari dell'Aisi, riguardavano vicende coperte da segreto (il primo) e attività connesse al piano di interesse nazionale relativo all'idrogeno (il secondo). Il 4 settembre 2023 invece avviene quello che non trova spiegazioni. Lo fa sempre un funzionario dell'Aisi di origine fiorentine, ex poliziotto approdato ai servizi grazie alla vicinanza con il Giglio magico, espressione utilizzata per descrivere gli amici di Matteo Renzi. Riguarda le parentele di Caputi, su cui non si trovano riscontri. Ora, che i servizi interni indaghino su un capo gabinetto è prassi. Il numero uno è Bruno Valensise, uomo di fiducia meloniano. Caputi, però, non si capacita come queste ricerche siano finite sul quotidiano Domani, e presenta denuncia alla procura di Roma. Il mistero si risolve quando diventa chiaro che a passare quel file ai legali dei giornalisti è stato Lo Voi, che aveva preso in carico il caso e chiesto spiegazioni al Dis. Il Dis dice che quel documento era classificato come riservato e che quindi non poteva essere inserito nel faldone da dare ai legali. Lo Voi no. Un complotto? Una trappola? Lo Voi è colui che ha presentato denuncia alla Corte penale internazionale per il rimpatrio di Almasri, quello che Giorgia Meloni, in un video, ha definito: “Il procuratore del fallimentare processo a Salvini nella vicenda Open Arms”. Da notare anche che al Dis, fino al 15 gennaio, la capa era Elisabetta Belloni. Su cui vale la pena focalizzarmi un attimo. Perché è legata a Renzi, che è legato a un altro nome da fare.
Terzo punto: Carabinieri fuori dai servizi
Belloni, come già detto, si dimette il 15 gennaio. Tutti abbiamo pensato a disaccordi relativi alla gestione della trattativa su Cecilia Sala. Può essere. Ora possiamo pensare che ci sia un collegamento anche con la vicenda Lo Voi. Giusto? Sbagliato? Tant'è. Belloni adesso è chief diplomatic advisor di Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea. Che ora sta difendendo con molta forza (anche perché ufficialmente non potrebbe fare altrimenti) la Cpi. Prima, Elisabetta Belloni era stata candidata al Quirinale da Matteo Renzi, sempre lui sì, il suo nome in queste trame sui servizi esce sempre fuori. Renzi, che poco prima della caduta del governo Conte II, era stato beccato all'autogrill con Marco Mancini. Ed ecco il terzo nome. Basta leggere il suo libro per capire che lui ed Elisabetta Belloni non siano proprio in buonissimi rapporti e che da quando il vento Meloni ha cominciato a soffiare sia stato messo da parte. Mancini è un ex carabiniere, uno da strada e da ufficio. E sui carabinieri bisogna aprire una parentesi. Perché negli ultimi tempi i carabinieri, dai servizi, sono stati progressivamente fatti fuori. Lo fa notare un articolo uscito sabato su La Stampa. Quando Cecilia Sala è atterrata a Ciampino è stata subito interrogata dai Ros, raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri. Nessuno era stato informato, né Meloni né il sottosegretario Mantovano. All'Aisi, fino all'aprile 2024, c'era Mario Parente, ex comandante proprio dei Ros. Mancini, anche lui toscano, era numero due del Dis. Ora, ai vertici dei servizi, di carabinieri, non ce ne sono più. E questo è un fatto. Mancini parla poco, ma quando parla è meglio ascoltarlo. Lo ha fatto a Radio24 e ha detto essenzialmente tre cose: 1) in questa storia c'è troppa poca riservatezza e troppo dilettantismo. 2) se si parla dei servizi qualcosa non va; all'estero tutto ciò non succede. 3) la cosa più inquietante: sembra che il faro non sia la sicurezza nazionale. E quindi qual è il faro? La sicurezza di qualche altro Paese?
Quarto punto: Paragon e i messaggi a Giorgia Meloni
Ora infatti allarghiamo la visuale e concentriamoci su Paragon, la società che ha prodotto lo spyware zero click Graphite impiantato nei telefoni delle persone spiate. Tutte quelle monitorate in Italia centrano con la Libia. Sì, anche il direttore di Fanpage Francesco Cancellato: chi lo controllava voleva sapere se il suo team investigativo stava lavorando sulle tratte dei migranti e i centri in Albania. La Libia è un Paese decisivo per i nuovi assetti internazionali. Ce n'è un altro però che torna sempre, ovunque, in qualsiasi scandalo nostrano. Lo abbiamo già citato diverse volte, è Israele. In un articolo del Manifesto di venerdì scorso si parla esplicitamente di “metodo israeliano nella rissa dei nostri servizi”. Paragon è presieduta dall'ex premier israeliano Ehud Barak, non proprio amico di Netanyahu. E qui va fatta una precisazione: così come in Italia anche negli altri Paesi ci sono diatribe subdole. Israele è tutt'altro che unita. Paragon, non a caso, ha espressamente fatto sapere che il contratto con il governo italiano era stato interrotto per violazione del codice etico. Ergo, lo spyware Graphite era stato utilizzato in modo improprio, non solo per scovare narcotrafficanti e terroristi in grado di mettere a rischio la sicurezza nazionale. Ma chi ha scelto Paragon? E chi sono i suoi concorrenti? Belle domande. Qui ballano diversi milioni. È interesse di molti Paesi infiltrarsi sia nei servizi italiani, sia nelle agenzie che offrono questi servizi, i concorrenti di Paragon. Anche perché facendo così possono arrivare a sabotare dall'interno i governi o quanto meno mandare degli avvertimenti. E i messaggi che stanno arrivando a Meloni ruotano tutti intorno alla stessa domanda: ma sei sicura di volerti legare così tanto a Usa e Israele? Netanyahu, in visita da Trump, ha regalato al nuovo Presidente degli Stati Uniti un cerca persone d'oro, un chiaro riferimento a quando i servizi israeliani fecero esplodere i cerca persone degli Hezbollah. Un regalo simpatico, no? Un messaggio dal duplice significato: 1) Posso arrivare ovunque 2) Anche a te, pure se ce l'hai oro. Il regalo di Netanyahu a Trump non è passato inosservato nemmeno in Italia, fidatevi. Della serie: adesso ci siamo fatti beccare, ma volendo siamo già dentro ai vostri telefoni.
Quinto punto: tre segnali da osservare
Guardate l'ultimo discorso del nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani alle Nazioni Unite: pur dicendo che la Palestina ha bisogno di uno Stato, dà ragione a Netanyahu e Trump senza alcun dubbio: “Oggi non possiamo riconoscerla, sarebbe solo un messaggio ostile verso Israele: lavoriamo per il futuro”. Il sottotesto è chiaro: l'esperienza di Gaza è finita, dobbiamo trovare un altro posto. Meglio i resort di Trump. Ancora: guardate Elon Musk quanto si è speso per i movimenti sovranisti europei che proprio in questi giorni si sono ritrovati a Madrid per la riunione di Patrioti per l'Europa. Già, Salvini, che da quando si è insediato Trump non perde occasione di far vedere quanto sia amico dei cinesi. Può sembrare controintuitivo, ma pure questo è un segnale: Trump, sovranisti europei, Netanyahu, Putin, Xi Jinping. Tra di loro si capiscono, condividono gli stessi approcci. Ok, parlano di dazi da alzare, ma il più delle volte sono solo strategie per avere un po' più di potere per quando si metteranno a discutere intorno a un tavolo. L'Italia di Giorgia Meloni è su questo asse: fuori Biden, il ripensamento della posizione sull'Ucraina sta per essere ufficializzato. Sarà interessante vedere come sarà gestito. Anche perché se Trump e Xi alzano i dazi, comunque sia, a rimetterci più di tutti indovinate chi è? Tin. L'Europa. In primis Francia e Germania. Proprio loro.
Sesto punto: il ruolo della Turchia
Ragionate. I messaggi a Giorgia arrivano tramite interposte istituzioni e nazioni: la Corte penale internazionale, i servizi segreti, la Libia. E a interferire su questi tre fronti chi c'è? Le altre potenze europee, da cui Giorgia si sta distaccando. E chi è che invece vorrebbe entrare in Europa da decenni? Altro campanello. Tin. La Turchia. Erdogan. E chi ha un peso specifico in Libia? Fermi. Aspettate. La Libia è terra di tanti, qualsiasi Paese ha i suoi traffici indicibili qui: di armi, di migranti, di droga. Ma se c'è un Paese che ha più peso degli altri è la Turchia. Poi, la Francia. La Turchia, inoltre, ha potere (e molto) anche sulla Germania. Ed Erdogan è vendicativo: Draghi lo ha definito un dittatore, Netanyahu è un suo nemico. Insomma Italia e Israele non sono proprio nelle sue grazie. Anche perché se c'è un politico piuttosto freddo nel fare entrare la Turchia in Europa è proprio Giorgia Meloni. In ballo c'è un ruolo privilegiato nel Mediterraneo. Guarda caso, Almasri passa da Londra, Bruxelles e Germania e viene fermato proprio a Torino; guarda caso proprio dopo che viene rimpatriato con tanto di volo di Stato, una mossa che dice tutto degli accordi sempre più forti tra governo italiano e libico, il caso Paragon diventa di rilievo mediatico. Un caso che ci riporta dritto in Libia, come se la Libia fosse un terreno di lotta tra le varie intelligence e tra le varie anime delle varie intelligence. Il ruolo più decisionale del governo Meloni in Libia non sta piacendo a turchi e francesi. E qualcuno lo fa capire: occhio che anche nelle attività informative su Caputi c'era di mezzo la Libia. Non so se mi sono spiegato. Chi ha interesse a far sembrare i servizi italiani permeabili a fughe di notizie e infiltrazioni?
Settimo punto:
Nel frattempo emerge che uno dei due avvocati che ha firmato la denuncia inviata alla Corte penale internazionale per far aprire un'inchiesta nei confronti dell'Italia dopo il caso Almasri è Omer Shatz, leader dell'ufficio legale della fondazione Front Lex, che tra i suoi finanziatori ha anche George Soros. Terzo campanello. Proprio il George Soros citato da Giorgia Meloni come contraltare di Musk durante la conferenza stampa annuale, a confermare ciò che i complottisti dicono da anni. L'altro nome che Meloni cita spesso come suo nemico in Europa è Romano Prodi. E qui il cerchio si chiude. Vecchi poteri, nuovi poteri. Il governo italiano si è messo contro la Cpi che viene utilizzata da chi vuole colpire l'Italia per colpire l'anello debole di un nuovo assetto che ha l'obiettivo di disegnare un nuovo ordine mondiale dove a pagare il conto più alto è l'Europa. E, a ben vedere, anche il mondo islamico. Anche questo è uno spunto di riflessione, in effetti: l'Islam è l'ultima religione potente rimasta ma in un mondo dominato dall'intelligenza artificiale che bisogno c'è di uno strumento di controllo così arcaico? Infatti la fonte, alla richiesta di qualche mio chiarimento, chiude con una battuta, questa: l'ultima speranza dell'Europa per non finire schiacciata è di affidarsi alle potenze musulmane. E chi potrebbe essere l'artefice di tutto questo? Quarto campanello. Tin. Sempre lui. Il grande assente sui giornali italiani. Il grande presente. Erdogan. Date retta a uno stupido.