“Se Trump diventasse presidente degli Stati Uniti la guerra in Ucraina terminerebbe davvero in 24 ore. Con tanto di accordo e stretta di mano tra lui e Putin per il bene dell'umanità”. Era questo il mantra più diffuso dalla vulgata popolare prima delle ultime elezioni presidenziali Usa, e prima che Donald Trump sconfiggesse Joe Biden contro ogni aspettativa di media e opinione pubblica. Il tycoon, del resto, in campagna elettorale aveva promesso che, in caso di vittoria, sarebbe riuscito a far cessare il conflitto ucraino in appena 24 ore. Mezzo mondo ha forse preso troppo alla lettera The Donald, un leader politico che più volte ha sparato altissimo soltanto per il gusto di far parlare di sé. Trump diventerà ufficialmente presidente degli Stati Uniti a partire dal prossimo 20 gennaio, e dunque la sua agenda inizierà a prendere forma a partire da quella data. La sensazione, tuttavia, è che il braccio di ferro tra Kiev e Mosca continuerà ancora per molto tempo. Almeno fino a quando Vladimir Putin, adesso impegnato a conquistare ingenti quantità di territorio nemico - sostenuto da migliaia di soldati e missili nordcoreani - non deciderà che quanto fagocitato non sia sufficiente per decretare il successo dell' “operazione militare speciale”. Il motivo? Chiedere all'amministrazione Biden, ancora in carica...
Joe Biden ha infatti alzato pericolosamente la temperatura della competizione con la Russia. Prima autorizzando gli ucraini a utilizzare missili a lungo raggio (ufficialmente solo per colpire le forze russe e nordcoreane solo nella regione russa di Kursk), poi ha dato l'ok all'invio delle mine antiuomo in Ucraina (che i militari di Volodymyr Zelensky useranno per fermare i nemici, causando però presumibilmente un disastro umanitario per anni a venire). Dando per scontato che gli Stati Uniti cercassero un'escalation, la Russia ha risposto lanciando un nuovissimo missile balistico intercontinentale contro la città di Dnipro, poi modificando la propria dottrina nucleare. Il Cremlino potrà ora usare armi atomiche “come misura estrema e ultima risorsa” a scopo di difesa per rispondere a una possibile “minaccia critica alla sovranità e all'integrità territoriale”, o per reagire a un'aggressione “da parte di uno Stato non nucleare con il coinvolgimento o il sostegno di uno Stato nucleare, sarà considerata come un attacco congiunto”. Altro che guerra finita: Trump rischia di entrare in carica nel bel mezzo di un periodo di fuoco.
E non è finita qui, perché Trump si ritroverà a fronteggiare anche un'altra gravissima crisi internazionale: quella in Medio Oriente. Nelle ultime ore Biden ha fatto sapere che gli Stati Uniti faranno un altro tentativo con le potenze regionali per ottenere un cessate il fuoco a Gaza, che comporterà il rilascio degli ostaggi e la rimozione di Hamas dal potere nella Striscia. Benjamin Netanyahu, sul quale pende un simbolico mandato d'arresto da parte della Corte penale internazionale (che potrebbe però anche decidere di revocarlo: ne sapremo di più nei prossimi giorni), ha intanto intavolato una fragile tregua con Hezbollah. Assistere al trionfo della diplomazia non sarà però affatto facile. Il motivo è presto detto: la sopravvivenza politica di Netanyahu è legata a Gaza. I suoi partner nella coalizione di estrema destra al governo aspirano a ricostruire gli insediamenti ebraici nella Striscia, e hanno più volte minacciato di far crollare l'esecutivo in caso di un accordo sconsiderato per fermare i combattimenti. Il primo ministro israeliano teme inoltre che un cessate il fuoco possa aprire la strada a una commissione d'inchiesta sull'incapacità di Israele di prevenire gli attacchi del 7 ottobre. Il mondo è insomma appeso a un filo. E la speranza riposta nell'avvento di Trump potrebbe essere meno cruciale di quanto non si potesse pensare.