Fabio Maria Damato è il nuovo personaggio su cui l'economista Riccardo Puglisi - dopo l'esperto di geopolitica Dario Fabbri - ha acceso i fari per capire se, effettivamente, abbia conseguito o meno il titolo di studio che il manager dichiara di avere: laurea alla Bocconi. Damato, pugliese trapiantato a Milano, è general manager di “The Blonde Salad” e di “Fenice”, le due società di Chiara Ferragni che gestiscono il brand e l’immagine dell’imprenditrice della moda e influencer più nota d’Italia. Per Puglisi, che lo ha scritto su Twitter, Damato non è laureato all’Università Bocconi come ha riportato nel presentare la sua biografia su LinkedIn. Un faro che viene acceso dopo lo scoppio del tormentone sul suo nome e sulle indiscrezioni che vorrebbero Fedez furibondo col manager che segue la moglie dal 2017 a seguito del cosiddetto “Pandoro-gate”. E mentre l’opinione pubblica si è divisa, tra chi vede in Damato il responsabile dell’errore che ha portato alla multa da un milione di euro alle due società che gestisce, e chi lo indica come un capro espiatorio voluto dal rapper, l’economista dell’Università di Pavia, che nei mesi scorsi ha condotto un’analoga crociata sulla mancata laurea di Dario Fabbri, celebre analista geopolitico, e ventilato anche l’ipotesi che ulteriori figure note dei media possano non avere titoli accademici, ha confermato ai nostri microfoni tutti i suoi dubbi: “Ne sono certo”, conferma Puglisi, “Damato non possiede alcuna laurea alla Bocconi”.
In quest’ottica è inedita la convergenza che unisce un uomo di destra liberale come Puglisi alla giornalista Selvaggia Lucarelli, di impronta progressista, che commentando il caso ha dichiarato: “Io a proposito di questa laurea del manager di Chiara Ferragni però chiederei a lui se esiste. Perché non esiste una sua bio ufficiale". Lucarelli, già pungente in passato nel ricordare che “Fedez e Damato non si sopportano”, ha aperto la questione da un piano diverso. Dell’uomo nell’ombra che dal 2017 segue Chiara Ferragni in ogni sua mossa imprenditoriale, si sa effettivamente poco. Si sa che è nato a Barletta, ma sui profili social non è comunicata nemmeno la data di nascita. E, a ben guardare, prima di pensare a Damato come a un Fabbri-bis bisognerebbe ricordare che l’uomo ha rilasciato poche interviste e dichiarazioni e mai si trova online alcuna sua dichiarazione in cui si presenta come “laureato alla Bocconi”. Sul suo profilo Facebook appare che “ha studiato presso l’Università Bocconi” e sul suo profilo LinkedIn è segnalata la frequenza di un corso in Economia Aziendale triennale dal 2006 al 2008. Nulla è scritto, però, sul conseguimento del titolo. Ad un primo sguardo, se Damato non è laureato non si può dire che abbia mentito, perché online non si trovano, come detto, attestazioni da parte sua di un presunto titolo. Al massimo può aver glissato. Vero è che è più facile attestare le altre parti della sua biografia professionale: la sua esperienza da giornalista è comprovata online, soprattutto in riferimento a Milano Finanza e agli articoli della sezione moda e fashion per la quale ha a lungo scritto.
Sulla questione della laurea o meno di Damato si aprono una lunga serie di questioni che però non devono portare a giudizi sommari. Il primo è quello della trasparenza dei personaggi legati a contesti che gestiscono figure di spicco e visibilità: si deve chiedere loro la stessa trasparenza sulla biografia e i titoli personali che si chiede a personalità dal volto noto come quello di Chiara Ferragni? Il tema è tutto aperto. E si lega al profilo personale di Damato. Ex giornalista che ha fatto, sei anni fa, la scelta del “salto nel buio” legata alla promozione pubblica e manageriale dell’immagine di Chiara Ferragni scegliendo sicuramente un ruolo che, per sua natura, imponeva meno visibilità e basso profilo. Ma che, lo ricordiamo, non si può dire non sia stato ripagato dai risultati: dai 14 milioni del 2021 ai 28 del 2022 l’aumento del fatturato di Fenix e The Blonde Salad (Tbs) è dato prossimo a schizzare fino a quasi 90 milioni di euro nel 2023. A maggio Damato scriveva su Facebook: “Con l’ingresso del fondo di investimento AVM Gestioni il marchio Chiara Ferragni viene valorizzato 75 milioni di euro”, occasione per “un bilancio del viaggio professionale” da lui compiuto e “sopratutto del nostro viaggio umano il quale valore non ha prezzo o valorizzazione. Oggi do il benvenuto a chi ha deciso di credere nelle nostre idee e nel lavoro che facciamo e faremo nei prossimi anni, e mi dimentico di chi ha provato a scoraggiarci. Oggi voglio ricordare nitidamente i nomi, i volti, le parole e il lavoro di chi in questi anni ci ha supportato e ogni giorno lavoro al nostro fianco per dare forma e valore alle nostre idee”. La questione appare più focalizzata sul tema dei risultati che sulla questione della laurea. In quanti dei risultati di Chiara Ferragni c’è il rischio di “Pandoro-gate” di ritorno? Selvaggia Lucarelli, su questo, ha già aperto il vaso di Pandora estendendo però anche a Fedez, la cui attività non è gestita da Damato, il novero delle accuse. Spostando l'attenzione più sulla coppia che sul manager, in sostanza, l’onere del problema. Il giudizio di fondo sul ruolo di Damato va pesato, soprattutto, sul fronte del suo possibile coinvolgimento in casi manageriali potenzialmente passabili di multe da parte dell’Antitrust o di scivoloni per l’uso di pratiche commerciali improvvide. Un giudizio che travalica quello della laurea. Ma che ci ricollega al tema, fondamentale, della trasparenza. Che in assenza di obblighi dovrebbero, forse, essere i consumatori di immagini e prodotti che alimentano il vortice di guadagni di imprenditori e influencer a chiedere. Per chi lavora nelle loro aziende e, in primis, per loro stessi. Un aspetto che i casi di cronaca recenti ci hanno ricordato non essere così scontata.