I casi di cronaca nera come la strage di Paderno Dugnano e dell'omicidio di Sharon Verzeni hanno in comune la mancanza di un movente esplicito, facile da comprendere a prima vista. Si fa presto a dire follia, e gli psicologi nazionalpopolari sono subito pronti a incolpare la società, la musica, la tecnologia e la cultura. Ma cos'è la pazzia se non il malfunzionamento del cervello? Insoddisfatti delle risposte che offre la psicologia, abbiamo chiesto al grande neurologo Rosario Sorrentino di commentare le recenti tragedie, e lui ci ha spiegato che il cervello è un organo come gli altri, e in quanto tale va curato, studiato, conosciuto, portato nelle scuole. Le risposte tardive dei guru della psicologia, come nel caso di Paolo Crepet, servono a poco.
La strage del 17enne a Paderno Dugnano, come la vede un neurologo?
Sembra una cosiddetta tragedia della normalità, dove apparentemente tutto andava bene. L’adolescenza è un’età straordinaria, meravigliosa, ma caratterizzata da una forte tendenza a perdere il collegamento tra causa ed effetto. Il cervello di un adolescente è molto impulsivo, molto imprevedibile, a causa della mancata simmetria tra i centri dell’emozione, dell’impulso e i centri della ragione. La ragione risiede sostanzialmente nella parte anteriore del cervello, nei lobi frontali, nella cosiddetta corteccia frontale, che a quell’età non è ancora matura.
Sono tragedie che si possono prevenire o prevedere in qualche modo?
Questo è quanto vorrebbero far credere i guru del momento ma, sganciandosi da loro, il discorso secondo me è un altro. È importante non ridurre tutto a un dialogo tra sordi. Se continuiamo a ragionare in termini di "noi e loro", non ne usciamo. È fondamentale lavorare insieme per comprendere e crescere insieme.
Alcuni, Paolo Crepet in particolare, hanno parlato di problemi strutturali: la scuola, la famiglia.
Non si tratta di difendere a spada tratta la famiglia tradizionale o la scuola tradizionale, che sono sempre migliorabili. Ma continuare a colpevolizzare, a dare la responsabilità ai genitori che spesso non sanno come reagire di fronte a certi episodi, non porta da nessuna parte. In questo caso di cronaca, bisogna ancora capire se c’era un problema psichiatrico emerso con violenza sconcertante. Invece si continua a prendere i singoli casi di cronaca per fare le analisi del giorno dopo e si rischia di far credere, questa è una cosa davvero inquietante, che ora, al posto dei figli, nelle famiglie ci siano dei tiranni in casa. Questo può essere pericoloso perché aumenta la conflittualità tra genitori e figli.
Si tenta di dare la colpa anche ai social.
Bisogna sempre distinguere tra l’uso e l’abuso ma, oltre alle esasperate analisi e e letture sociologiche, dobbiamo essere positivi e rilanciare un progetto formativo. Viviamo in un’era digitale, con cervelli digitali, e presto l’intelligenza artificiale diventerà il nuovo paradigma. Ho la sensazione che stia nascendo un processo di de-empatizzazione e di banalizzazione della morte, che viene spesso archiviata come una mera circostanza. Dobbiamo puntare sulla formazione. Dobbiamo mettere al centro il cervello degli adolescenti, mostrarlo direttamente a loro, fargli capire cosa accade durante l’adolescenza. Bisogna creare incontri generazionali tra genitori, insegnanti, adolescenti e neuroscienziati che possano mostrare cosa succede nei cervelli degli adolescenti quando mettono in atto comportamenti sconcertanti. Oggi, più che mai, l’abuso di stimoli dopaminergici come i videogiochi, la PlayStation, i social media e le droghe possono portare i ragazzi in rotta di collisione.
È il cosiddetto sistema della ricompensa. Ci spiega meglio come funziona?
Oggi il desiderio e la dopamina ci seducono, promettendoci piacere e ricompensa, ma poi la dopamina ci presenta il conto. Viviamo in un mondo pieno di stimoli che gratificano un bisogno immediato, creando un rinforzo positivo. Ne siamo circondati. Ci vuole un grande progetto culturale, un’etica anche nella pubblicità, ma soprattutto è necessario parlare con gli adolescenti nelle scuole, e far loro vedere cosa succede nel loro cervello. Questo è il momento delle neuroscienze, perché oggi noi sappiamo molto di più sul cervello, sul comportamento e sulle tappe di maturazione dell’adolescenza. Bisogna spiegare ai ragazzi che il cervello durante l’adolescenza è particolarmente vulnerabile, e che alcuni comportamenti o l’assunzione di alcune sostanze sono interventi distruttivi nel cantiere del cervello che si sta costruendo. Dobbiamo far capire che alcuni comportamenti, come l’abuso di sostanze psicoattive, possono causare danni gravi al cervello, pregiudicando per sempre creatività, talento e fantasia. Non servono prediche, ma una spiegazione scientifica. Se continuiamo a fare i guru del momento, a dare colpe e a creare sensi di colpa, non andiamo da nessuna parte. Stigmatizzare eccessivamente senza spiegare porta solo a risposte ancora più ribelli e alla ricerca di nuove sensazioni.
Crepet ha parlato di segnali che nessuno ha colto.
I segnali a volte ci sono, ma uno dei problemi culturali nel nostro paese è che, di fronte al disagio mentale di un figlio, i genitori spesso si girano dall’altra parte perché non vogliono accettare questa realtà, temendo che la malattia dipenda da loro. Ma non è sempre così. Sperano che la situazione migliori da sola, ma spesso non accade. Uno dei segnali può essere la solitudine, o il calo del rendimento scolastico. Servono incontri generazionali per parlare, per spiegare cosa succede nel cervello degli adolescenti, un’età vulnerabile e fragile. Se continuiamo a dire che è colpa della famiglia o della scuola non andiamo da nessuna parte. Dobbiamo rivedere, migliorare e implementare le cose alla luce dell’era digitale e dell’intelligenza artificiale, che tende a premiare il profitto e l’accelerata competizione. Ma per fare questo, bisogna fornire strumenti ai genitori per far loro capire come funziona il cervello dei loro figli. Altrimenti, è un dialogo tra sordi, dove uno parla e l’altro non vuole capire, perché il suo cervello è in un assetto neurale e biologico dominato dall’istinto e dall’impulso che prevalgono sulla ragione. Questo è particolarmente vero quando l’impulso è legato al soddisfacimento di un desiderio, di un piacere, di una ricompensa. Oggi c’è molta psicologia, ma non sembra che abbia portato a grandi risultati. Ci vogliono le neuroscienze, la scienza del cervello, che può fornire le chiavi per comprendere meglio se stessi e raggiungere un equilibrio e serenità.
Lancini ha parlato di educazione affettiva. Secondo lei, bisogna prima studiare i sentimenti?
Bisogna visualizzarli. Io vado nelle scuole a parlare di cannabis, dei Pink Floyd, delle emozioni, e faccio vedere dove risiedono nel cervello. Oggi abbiamo una straordinaria cultura visiva, che ci porta a visualizzare tutto. Allora visualizziamo anche il cervello, facciamolo vedere, facciamolo toccare attraverso modelli straordinari. Quando lo mostro nelle scuole, il cervello, gli studenti rimangono incantati. Perché? Perché è una novità. La dopamina ama la novità, quindi diamo loro la dopamina della novità e facciamogli scoprire nuove realtà.
Parlando di empatia, il rapporto sempre più digitalizzato tende davvero a ridurla?
Si creano emozioni sempre più metalliche e artificiali, in attesa di un “mi piace” in più. Dobbiamo creare modelli affascinanti che possano cambiare la vita degli adolescenti in modo positivo, perché altrimenti tutto diventa immediato, qui ed ora. Ma il talento non lo si scopre alzandosi una mattina; richiede sacrificio e impegno. Il cervello ama la scorciatoia, ma poi ci si trova impreparati davanti alla realtà. Dobbiamo insegnare che il successo è straordinario, ma anche che è necessario vivere il presente con qualche incursione nel futuro.
Però nel caso del ragazzo che ha sterminato la famiglia c’è un altro tipo di empatia in gioco. Un rapporto concreto, fisico.
Probabilmente quel ragazzo aveva già lanciato dei segnali che magari non erano stati compresi. Le famiglie non hanno grandi strumenti per cogliere certi bisogni. Ci vuole un grande progetto e un'alleanza culturale, perché l'Oms ci dice che entro il 2030 il disagio mentale sarà al primo posto tra le malattie. Il cervello è bombardato di stimoli, e questo può portare a episodi di follia o tragedie. I mass media non devono enfatizzare questi casi, perché c’è il rischio di emulazione.
Il caso di Sangare: perché nessuno è intervenuto nonostante fosse già stato denunciato?
Anche lì sarebbe dovuto scattare un codice rosso per circoscrivere un cervello in squilibrio a causa di una malattia psichiatrica, probabilmente aggravata dall'abuso di sostanze, che poteva mettere in atto comportamenti pericolosi. Perché a livello neurologico di questo si tratta: la politica del cervello che ha uno squilibrio biologico è quella di mettere in atto comportamenti bizzarri, pericolosi e quindi ci vuole anche una cultura dove non ci si debba più vergognare del disagio mentale. La prima cosa che si dice è: io mica sono folle, c'è la negazione verso se stesso, non si accetta l'aiuto. Fin quando le persone si sentiranno lo stigma sulla fronte, l'etichettatura, non chiederanno mai aiuto perché penseranno di potercela fare da sé, ma il cervello è un organo così importante, così straordinario e decisivo sul nostro comportamento. E allora ci vogliono più presidi psichiatrici, ci vuole un lavoro culturale per sdoganare una volta per tutte il disagio mentale e far capire che le malattie psichiatriche sono solo malattie come le altre. Il problema è che colpiscono l'organo del pensiero, che è quello che determina il nostro comportamento, le nostre decisioni, le nostre scelte, quindi noi stiamo parlando del direttore d'orchestra della nostra vita.
In televisione e sui giornali vediamo molti commenti di psicologi, ma pochi neuroscienziati.
Quelli sono i guru, le guide intellettuali del momento, ma lasciano il tempo che trovano. Qui ci vuole un grande progetto condiviso, una grande alleanza culturale per sdoganare il disagio mentale, per aprire i riflettori sull'adolescenza. Bisogna mettere al centro il cervello degli adolescenti, che saranno gli uomini del futuro, entrare nelle scuole, incontri generazionali. La politica deve fare questo, deve mirare in alto affinché queste tragedie accadano il meno possibile. Bisogna arrivare 5 minuti prima e non 5 minuti dopo a fare il guru, a dire che è colpa della società, della scuola o dei genitori.
Può aiutare davvero l'educazione affettiva, come si sostiene?
Noi siamo un misto, una combinazione, un cocktail di emozione e ragione. La corteccia prefrontale è il luogo della ragione, l'emozione è nel sistema limbico. Negli adolescenti c'è una prevalenza di emozioni e di aggressività perché il freno inibitore, ovvero la corteccia prefrontale, ancora non è maturato. Il problema è che tutto quello che avviene, i vari stimoli dopaminergici e le varie condizioni culturali ritardano ulteriormente l'adolescenza e creano una tarda adolescenza, che si prolunga fino a 22, 23, 25 anni: un'adolescenza che sembra non finire mai. Perché? Perché disturbiamo il manovratore, disturbiamo quello straordinario progetto genetico e biologico, che ci porta piano piano ad avere l'aiuto della razionalità nel nostro comportamento, il senso di discernimento che è fondamentale.
Quindi bisognerebbe educare alla ragione, più che agli affetti?
Servirebbe questo: le neuroscienze scendano in campo nelle scuole per incontri generazionali. È il momento di parlare del cervello, gli adolescenti amano sentire parlare di queste cose ma non vengono mai presi in considerazione, perché noi parliamo del cervello sempre come se fosse un organo che non è un organo. No: il cervello è il re di tutti gli organi, controlla tutto. Per quale motivo non ne parliamo mai nelle scuole?