Il Pinkwashing è il fenomeno che non si può più nascondere, anche le donne del gaming lo sanno. In rete sono sempre più le persone stufe di subire comportamenti apparentemente lodevoli. Negli ultimi mesi sono già diverse le campagne di comunicazione incentrate sul fenomeno del Pinkwashing: stiamo parlando di quando un'azienda o un'organizzazione, utilizza cause come quelle per la parità di genere per creare strategie di marketing rivolte a migliorare la propria immagine. Il tutto realizzato senza necessariamente sostenere attivamente tali cause o proporre cambiamenti significativi in prima persona. In pratica, si sfruttano simboli o tematiche legate alle varie comunità di riferimento o alla salute delle donne, per ottenere un immediato vantaggio commerciale, senza un vero e proprio impegno concreto verso tali cause. E tutto questo ha francamente stancato molti. Tra i promotori attivi di un delle ultime proteste c'è Women in Games, organizzazione no profit che segnala il dilagare del fenomeno anche in un settore come quello dei videogiochi.
Abbiamo raccolto la preoccupazione della portavoce italiana Micaela Romanini, lei stessa nota sempre più aziende utilizzare la crescente consapevolezza pubblica sull'importanza della diversità di genere per promuovere i propri prodotti o il proprio brand, senza adottare misure concrete per migliorare la rappresentazione e le opportunità per le donne all'interno dell'industria. “Questo comportamento non solo mina i veri sforzi per promuovere la diversità e l'inclusione, ma perpetua anche gli stereotipi di genere e le disuguaglianze nel settore” afferma la referente. “I dati sul gender gap nel gaming parlano chiaro: nonostante le donne costituiscano una parte significativa della base di giocatori, sono ancora sottorappresentate nei ruoli chiave come sviluppatrici, programmatrici e nelle posizioni di leadership. Secondo i dati di Video Games Europe, solo il 24% dei lavoratori nell'industria dei videogiochi in Europa è femminile. Inoltre, uno studio del 2023 condotto da Iidea ha rivelato che solo il 20% delle donne lavora nel settore dei videogiochi in Italia, evidenziando ulteriormente la sottorappresentazione delle donne in questo campo. Questo è un chiaro segno che c'è ancora molto lavoro da fare per rendere l'industria più inclusiva ed equa per tutti. Lavoriamo per la creazione di un ambiente di lavoro più inclusivo e diversificato, dove le donne possano avere pari opportunità di crescita e successo".
Per avere un'ulteriore testimonianza di quale sia la situazione nel settore del gaming abbiamo raggiunto Costanza Angelini, project coordinator per una big del settore. L'abbiamo conosciuta ascoltando un interessante podcast come univHERsity, progetto nel quale viene data voce alle studentesse cafoscarine, che raccontano le loro sfide quotidiane, tra vita universitaria, sociale e le prime avventure nel mondo del lavoro. Costanza si autodefinisce una “super nerd” e proprio per la sua passione e tenacia le abbiamo chiesto un’opinione sul fenomeno del Pinkwashing. “Credo fermamente che negli ultimi anni siano stati fatti grossi passi avanti per l'integrazione delle donne e delle persone non binarie all'interno dell'industria videoludica e tutto ciò che la circonda. Il fenomeno del Pinkwashing sarà complesso da sradicare, soprattutto quando un ambiente come il marketing e la pubblicità sono intrinsechi di stereotipi di genere reiterati per anni. Non basta dire di sostenere le donne e mostrarle come figure piatte o peggio, di contorno. Allo stesso tempo combattere il divario di genere non significa creare pubblicità con sole protagoniste femminili, o creare prodotti unicamente per aggiudicarsi un pubblico femminile. Non esistiamo come genere da ricordare solo l'8 marzo" il commento di Costanza che però afferma allo stesso tempo: “Sono fermamente convinta che la situazione Pinkwashing possa essere ancora migliore, ma come sappiamo, è sempre complesso far comprendere nuovi concetti sociali a persone che magari per una vita non si sono poste il problema”.