Milano continua a scandalizzarsi per i festini di Malmaison, gestiti da Davide Lacerenza e Stefania Nobile (finiti agli arresti domiciliari), per le sciabolate di champagne e per le notti brave di qualche imprenditore o personaggio dello spettacolo tra escort e cocaina. Ma se c’è un vero affare che vale miliardi e anche la promessa che nei prossimi anni la città resti alla portata di tutti e non solo dei ricchi, non bisogna guardare ai locali notturni. Ma al settore del mattone. E il "Piano Casa" di Beppe Sala era l’ultima scommessa la cui credibilità scricchiola in una city dove si costruisce sempre più in verticale, senza però riuscire a trovare spazio per chi non può permettersi un attico vista skyline. Doveva essere la risposta alla crisi abitativa, un piano decennale da 10.000 alloggi a canone calmierato, spalmato su 300.000 metri quadrati di terreni comunali. Ma mentre Palazzo Marino cerca di vendere la sua narrazione di una Milano più equa, la realtà è un’altra: chi vuole davvero costruire con queste regole? Il business immobiliare fa girare cifre enormi, e anche il "Piano Casa" sembra un affare colossale: tra costi di costruzione e investimenti, si stima che l’operazione possa valere tra i 650 milioni e 1,1 miliardi di euro. Ma attenzione: questi soldi non sono un regalo per i costruttori, perché il Comune non vende i terreni, li cede in diritto di superficie. Significa che chi investe dovrà rispettare paletti rigidi: affitti bassi, profitti limitati e un sistema che potrebbe non essere così conveniente per le imprese private.

La prima vera sfida era Porto di Mare, 144.000 metri quadri al confine con il Corvetto, che era diventato il banco di prova per capire se il "Piano Casa" poteva funzionare o se era solo una bella idea senza costrutto. Il Comune aveva fissato un canone massimo di 80 euro al metro quadro all’anno, un valore che il mondo immobiliare tradizionale considera troppo basso per rendere il progetto sostenibile. Non a caso, chi si sta facendo avanti non sono i soliti squali del real estate, ma operatori di housing sociale, come Redo, che lavorano con capitali “pazienti” e modelli di investimento diversi dal mercato tradizionale. Il rischio? Che il privato non partecipi affatto e che il piano resti fermo al palo. Se infatti fino a ieri si parlava della legge "Salva Milano" come della chiave per sbloccare decine di cantieri fermi tra ricorsi e burocrazia, oggi arriva la doccia fredda: il Comune non la sostiene più. Il sindaco Beppe Sala ha fatto marcia indietro, lasciando intendere che la giunta non vuole legarsi a un provvedimento che potrebbe essere letto come un favore ai grandi costruttori. E ora?

A complicare il quadro ci sono le dimissioni dell’assessore alla Casa, Guido Bardelli, travolto dalle chat con l’ex dirigente comunale Giovanni Oggioni, arrestato e ai domiciliari con l’accusa di corruzione, falso e frode processuale. Oggioni, secondo i magistrati, avrebbe lavorato per indirizzare pratiche edilizie a favore di alcuni costruttori, in cambio di consulenze ben pagate. Nelle chat con Bardelli, si parlava apertamente della necessità di "far cadere la giunta". Oggi, mentre il "Piano Casa" cerca di partire, il settore immobiliare è scosso dalle indagini, il rischio è che nessuno voglia metterci la faccia e che Milano resti ostaggio della sua stessa burocrazia, con cantieri fermi e progetti bloccati, mentre il mercato continua a spingere sulle solite residenze di lusso. Il vero problema del "Piano Casa" non è chi ci guadagna, ma se partirà davvero. Il Comune dice di aver ricevuto interesse per i primi bandi, ma nel mondo immobiliare c’è ancora molto scetticismo. Se Porto di Mare fallisce, tutto il piano rischia di diventare un miraggio da campagna elettorale, più che una risposta concreta all’emergenza abitativa. Nel frattempo, Milano continua a costruire, ma sempre più per chi può permetterselo. E sono rimasti in pochi.
