Entro in una psicosi. Ne avverto i sintomi. Sempre gli stessi. Oltre i vetri della finestra, il salice traluce il chiarore lattiginoso di metà pomeriggio. Il paesaggio è incolore, la psicosi è la ragione della paura, dell’impotenza. Come ai tempi di Saddam, ero una liceale, e la minaccia era il mostro che si esauriva in poco per nostra fortuna. I tg annunciavano laconici: missili puntati contro l’Occidente. Le minacce contro l’Occidente. O Gheddafi. O durante la guerra nei paesi dell’ex Jugoslavia. L’errore era il fuoco amico. La Russia latrava lo spettro di una reazione con armi non convenzionali. Lo sguardo si ispessiva nel terrore, un fato apocalittico, qualcosa di biblico a ridosso di una quotidianità anonima d’un tratto colta in un rimpianto, lontanissima. Chi è il nemico vero? Siamo in guerra? Centomila soldati sono disposti al confine con i paesi dell’Est. La cosiddetta alleanza atlantica procede, la mia psicosi mi induce a temere il solo nemico, l’americanismo, la sudditanza europeista. I titoli del tg della rete di Stato ignorano la politica estera. Potrei usare l’avverbio: incomprensibilmente. E invece no. Siamo nell’ordine del basso paradosso che enuncia la realtà. La manipolazione, una forma di gaslighting, impregna le nostre vite, capisco che la storia non è mai stata raccontata se non attraverso la voce tradita dalla propaganda, simile al gracchiare infausto di una radio di guerra, il megafono di una dittatura, di un partito, di un potentato oscuro.
Cos’è la guerra? La città in cui vivo si staglia a pochi chilometri da una decisiva stazione militare Nato che è Sigonella. Abbiamo un triangolo industriale, basterebbe farlo saltare ed ecco servita la bomba chimica. Basi sotterranee per testate nucleari si dispongono intorno al cerchio dei silos e delle torrette fumanti. Non abbiamo vie di fuga o sotterranei dove riparare casomai sussistesse la possibilità di un attacco aereo secondo la tradizione belligerante, rassicurante in fondo. Meglio che una pioggia silenziosa di plutonio e uranio, mentre fuori il mondo splenderebbe comunque, le margherite dei campi, il glicine sul davanzale. Gli sceriffi del mondo. Accendono conflitti nel pianeta, radono al suolo vestigia e sacrari come reliquie, millenarie e raffinatissime, dai nomi esotici, restituiscono campi di battaglia, estesi ai confini inauditi, gli sceriffi del mondo. I loro cieli però sono impenetrabili. Le città hanno perimetri inaccessibili che non saranno guadati da ostilità, da democrazie importate al napalm. Lo fanno loro, importano democrazie, che spaccano il cranio, mutilano innocenze appese al resto di quel che era, di solito una vita, come tranci di vitello.
Gli sceriffi del mondo non possono guardare troppo indietro, non hanno un passato, non conoscono la storia, la stessa si limita al fatto di cronaca, di certo nera, truce, l’abominio storiografico di una strage, case container, baracche con le ruote, deserti e saguari erti provocati da nubi di sabbia. Un Goya, un Velazquez, un Rembrandt: non compaiono negli annali. Allora devono guardare in alto, o al futuro (che chiameranno progresso, avvenirismo gagliardo), strade sconfinate, inferni metropolitani, spiagge accecanti, le lande della geenna, eppure. Il motivo della mia infelicità credo che si chiami intelligenza intuitiva. Mi fa vedere le cose prima. Fino a esprimersi in veri e propri episodi di chiaroveggenza, al momento inspiegabili e non collocabili in alcunché. Forme di empatia tale da entrare nell'emotività, generica emotività. O in una terra invisibile dove sono depositate le spiegazioni. Alcune almeno. Non ho altre intelligenze, altrimenti sono un'incapace. Ma questa intelligenza mi procura infelicità. Ai tempi della cosiddetta abominevole pandemia, i perseguitati erano illuminati dallo spirito della verità. La medesima illuminazione che oggi, anche agli ignoranti come me, permette di leggere la storia bellicosa nel suo infame e miserevole progetto. Lo spettro dell'Isis, che dorme come il cane Pluto, tirato fuori all'occorrenza. Mi viene in mente l’11 settembre e penso che la storia sia da ricapitolare. Tuttavia gli americani hanno città linde e blindate e nessuno può accendervi conflitti, disturbare il loro fallico nulla, che cresce come un'erezione in verticale, non avendo altro, cattedrali, affreschi, Giotto e Caravaggio. Non sono la vecchia Europa, sono desolanti come un linoleum, mediocri come i loro film di cassetta che hanno contaminato le produzioni occidentali, fast food di mediocrità. Multisale di idiozie. In psicologia come la chiamano? Invidia del membro fallico? Ovvero il genio, una retrospettiva di grandi gesta, arti, spiriti. Che loro non hanno. La guerra non entrerà mai in casa loro, l'accendono nel mondo. Un attentato di matrice islamica durante il Ramadan. Un po' strano. Vogliono vederci a pezzi? Finalmente soli a contemplare specularmente l'immaginifico fungo equiparabile al grande rutto della fine della specie.