Ilaria Salis che entra in tribunale ammanettata a mani e piedi ha indignato a destra e a sinistra. E nelle ultime ore sta facendo scalpore un altro caso, quello di Filippo Mosca, detenuto in un carcere in Romania, in condizioni disumane, proprio come Ilaria. Ma se siamo bravi a riconoscere cosa non va nel sistema giudiziario di un altro Paese, ancora facciamo fatica a guardarci in casa, soprattutto se pensiamo alle condizioni dei nostri istituti penitenziari. Secondo un articolo di Repubblica, che ha definito il 2024 “l’anno nero delle carceri”, ogni due giorni in Italia un detenuto si suicida in cella. Ma in che condizioni versano le nostre carceri? Il pioniere delle battaglie per i detenuti è stato Marco Pannella, e ora, oltre al Partito Radicale, c’è la ong italiana “Nessuno Tocchi Caino”, il cui presidente, Rita Bernardini è attualmente in sciopero della fame insieme a Roberto Giachetti per chiedere al governo di ascoltarli e fare qualcosa. Le abbiamo chiesto conferme sui numeri che circolano in questi giorni e secondo la Bernardini rischiamo di tornare ai tempi della famosa sentenza Torreggiani, adottata l’8 gennaio 2013, con cui la Corte europea dei diritti umani, ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu). Poi le abbiamo chiesto cosa sta succedendo con il caso di Filippo Mosca, di cui la stessa Rita Bernardini si sta occupando personalmente.
Rita Bernardini, è vero che sta facendo lo sciopero della fame?
Sì. Io, insieme a Roberto Giachetti, lo stiamo facendo e oggi siamo al decimo giorno. Rientra nel grande satyagraha del 2024, deciso in una mozione del Congresso di “Nessuno tocchi Caino” del dicembre scorso. A questa iniziativa non violenta già aderiscono decine di cittadini, c'è chi lo fa per un giorno, chi per una settimana.
Il motivo?
Usiamo il metodo non violento per dialogare con il governo affinché si mettano in atto misure urgenti per ridurre il sovraffollamento e migliorare le condizioni di detenzione. Questo è il primo obiettivo da raggiungere. Noi ci troviamo in una situazione per la quale, con il trend del numero di ingressi in carcere, dell'aumento mensile, siamo arrivati già a 60.300 detenuti. Con questa tendenza, nel giro di poco tempo, arriveremo ai numeri che portarono l'Italia a essere condannata nel 2013 dalla Corte Edu per trattamenti inumani e degradanti.
Sta parlando della famosa sentenza Torreggiani?
Sì. La Corte Edu Aveva ritenuto quei trattamenti sistematici e non sporadici, in tutte le carceri italiane. Noi, dalle analisi che abbiamo fatto, abbiamo visto che, dei centottantanove istituti penitenziari, oltre cento hanno un sovraffollamento medio del centocinquanta percento.
Quanti detenuti vengono risarciti per aver vissuto questo tipo di condizioni?
Almeno un terzo dei detenuti sono attualmente risarciti dai tribunali di sorveglianza per le condizioni in cui versano. Condizioni giudicate inumane e degradanti. In realtà dovrebbero essere molti di più.
Finora sembra che ci sia un suicidio in cella ogni due giorni, le risulta?
Abbiamo avuto ottantaquattro suicidi nel 2022, l’anno scorso ne abbiamo avuti sessantaquattro, che resta comunque un numero altissimo. Con il numero di suicidi avuti finora arriveremo, se dovesse essere mantenuto questa tendenza, a oltre centocinquanta suicidi nelle carceri.
Chi è affetto da disagio mentale, però, non dovrebbe stare in cella e si parla di Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Ma non tutti possono accedervi, anzi.
Nelle Rems vanno a finire solamente coloro che sono stati dichiarati incapaci di intendere e di volere. Però ci sono quelli che, seppur al momento del reato erano capaci di intendere e di volere, diventano poi casi psichiatrici all’interno del carcere. Questi ultimi, però, restano in carcere, non vanno nelle Rems. È importante sottolineare che per poter entrare nelle REMS bisogna essere dichiarati incapaci di intendere e di volere nel momento in cui è stato commesso il reato.
Circa il quaranta percento dei detenuti soffre di disagio mentale. Ci può confermare questo dato?
Se parliamo dell’assunzione di psicofarmaci, possiamo dire che questi sono assunti da oltre l’ottanta percento dei detenuti. I casi psichiatrici puri sono intorno al dodici percento. Se ci riferiamo invece ai disagi psichici dovuti alla detenzione, alla tossicodipendenza o a disturbi comportamentali, allora raggiungiamo la percentuale di cui stai parlando.
Il carcere non solo non favorisce la stabilità mentale, ma la peggiora e tantissimi si ammalano proprio durante il periodo detentivo. Per queste persone che tipo di soluzione c’è?
Tutti dicono che queste persone non dovrebbero stare in carcere, però continuano a starci. Tanto è vero che in carcere sono previste, in diversi istituti penitenziari, le cosiddette Atsm, che sono le articolazioni di salute mentale, che dovrebbero avere una maggiore attenzione sanitaria nei confronti del detenuto.
È realmente così?
Per quelle che abbiamo visitato noi posso dire che sono molto carenti anche dal punto di vista sanitario. Per di più ci sono tutti gli altri detenuti che sono in carcere e che non si trovano neanche nelle Atsm, ma sono in sezione. Tanto è vero che si verificano spesso problemi e che ci sono stati anche casi di omicidi da parte di casi psichiatrici.
Abbiamo il numero di suicidi, ma non consideriamo mai il numero di coloro che il suicidio lo hanno tentato senza riuscirci.
Esatto e sono tantissimi. Credo che siano più di settecento dall’inizio di quest’anno, come aveva riferito un sindacato di polizia penitenziaria.
Il rafforzamento della polizia penitenziaria può servire per ovviare a questi problemi?
La polizia penitenziaria è carente, in più non arriviamo nemmeno a mille educatori: sono ottocento quelli che sono effettivamente in pianta organica. Così come gli psicologi che sono pochissimi. Queste figure stanno in carcere per poche ore, mentre chi sta sempre a contatto con i detenuti è proprio la polizia penitenziaria. In alcuni momenti, soprattutto la mattina molto presto e la notte, capita molto spesso che ci sia un solo agente per tre piani. Se qualcuno si sente male, va fuori di testa o incendia la cella, se nemmeno i campanelli per chiamare l'agente funzionano, è chiaro che i detenuti cominciano a battere sulle sbarre per farsi sentire. Poniamo che qualcuno abbia un infarto in uno di questi momenti e nessuno lo soccorre o il soccorso arriva in ritardo e la persona muore, che succede?
Il sottosegretario Delmastro aveva parlato di un aumento del corpo di polizia penitenziaria.
Voglio vedere quanto viene fatto, perché gli agenti che loro hanno previsto servono solo a coprire coloro che stanno andando in pensione. I sindacati parlano di una carenza di diciottomila unità. Quando andiamo in carcere, visto che noi facciamo visite costanti, ci rendiamo conto che, effettivamente, questa carenza c'è eccome. Dovrebbero essere molti di più gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi e gli psichiatri. Questi ultimi sono una categoria professionale in via di estinzione, perché sono pochi e difficilmente si trovano all'esterno, anche nel pubblico. Se uno psichiatra può scegliere di andare a lavorare in un posto piuttosto che in un altro, sono pochi quelli che scelgono di andare a lavorare in carcere. Quindi la carenza è doppiamente più forte rispetto alla carenza che si riscontra nella società.
Tornando alle Rems, sono poche anche quelle?
Non so se sono poche, penso che rispetto alle Rems bisognerebbe prevedere altro.
Per esempio?
In Sicilia ci sono le cosiddette Cta, ovvero le comunità terapeutiche assistite. Queste ospitano casi di persone condannate alle quali è stata concessa la misura alternativa e quindi la possibilità di stare in comunità. Essendo queste comunità piccole, i detenuti vengono seguiti molto meglio, soprattutto non essendoci la militarizzazione. Lì è fissa la figura dello psichiatra, così come quella degli educatori, insieme a tutto un gruppo di persone che segue i detenuti in un percorso di reinserimento sociale. Il problema è che queste comunità sono troppo poche.
Si dovrebbe lavorare anche sul fronte della riduzione dei detenuti
Esatto. È vero che le figure di cui sopra sono poche, ma se riduciamo la popolazione detenuta migliora il rapporto numerico tra queste figure e i detenuti. Tieni presente che in Italia entrano in carcere persone per scontare residui di pena di 15 giorni, ma questo che senso ha? Far entrare una persona in carcere, per poi dovergli fare il colloquio con lo psicologo, la cartella e tutto quanto… non capisco la finalità rieducativa di questo tipo di pene. È solo per dire che quella persona ha scontato la pena fino all'ultimo.
E le persone in attesa di giudizio quante sono?
Da questo punto di vista bisogna essere onesti perché sono diminuite rispetto alle percentuali di prima. Siamo intorno al 28%, prima erano sopra il 34%. Sono ancora tante se pensiamo che la media europea arriva al 22%. Siamo al di sopra della media, ma c'è stato un netto miglioramento.
Parlando invece degli italiani in carcere all'estero, stai seguendo la vicenda di Filippo Mosca?
La vicenda di Filippo l'ho seguita in prima persona ed è nato tutto da un'intervista che ho fatto alla madre per radio Leopolda, in cui la madre era veramente angosciata, soprattutto per le condizioni di detenzione del figlio, nonché per le modalità con cui si era svolto il processo.
Come nasce il contatto con la famiglia di Filippo?
Io sono stata contattata non dalla madre, ma dalla fidanzata di Filippo, che mi ha mandato una mail. La fidanzata aveva visto che, quando ero parlamentare, mi ero occupata del caso di un altro italiano detenuto in Romania, per cui ha pensato di scrivermi. Dopo uno scambio di mail in cui lei mi ha descritto tutto il caso, mi ha dato il telefono della madre, che vive e lavora a Londra. Da lì ho fatto l'intervista in radio alla madre, poi abbiamo fatto con Giachetti l'interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Sei ancora in contatto con la madre?
Noi siamo in costante contatto. L'ho sentita anche ieri.
Ci sono novità?
Sembra che l'ambasciata si stia muovendo e che forse lo spostino di cella, anche perché ha avuto minacce per la sua stessa vita. È stato aggredito dentro la cella, cella che ricordiamo essere di 30 quadrati e in cui sono dentro in 24. Ha ricevuto un pugno, poi un detenuto rumeno gli ha buttato l'acqua bollente addosso, per cui lui ora ha una gamba ustionata e un labbro spaccato. Giustamente, quando gli è stata buttata addosso l'acqua, ha reagito per difendersi e a quel punto, è subentrato un altro detenuto con un coltello, che ha tentato di accoltellarlo, ma per fortuna è stato fermato dagli altri. La preoccupazione della madre è cresciuta esponenzialmente nel momento in cui il figlio le ha raccontato questa cosa.
Quindi possiamo dire che l'ambasciata italiana si sta muovendo?
Sì, sembra proprio così. Forse lo trasferiscono in un'altra cella, più piccola, ma con solo italiani che stiano tutti insieme.
Cosa state chiedendo oltre allo spostamento di cella?
Lui ha il processo d'appello ad aprile e la procedura potrebbe essere analoga a quella che è stata disegnata dal ministro degli Esteri per Ilaria Salis in Ungheria. Quindi, chiediamo di ottenere la detenzione domiciliare lì, in attesa del processo, e nel mentre fare in modo che il processo si svolga secondo i canoni democratici di uno stato di diritto. Poi, all'esito del processo, chiediamo di rimandarlo in Italia. Vediamo oggi, quando avrò altre notizie dalla madre, se quantomeno lo hanno spostato di cella.
Su Ilaria Salis si sta muovendo bene il governo?
La soluzione prospettata da Tajani mi sembra buona, ovvero che lei ottenga la detenzione domiciliare e che esca da quell'inferno.
Quindi non ti senti, a differenza di tutti gli altri, di condannare il governo sulla gestione di Ilaria Salis?
Noi il governo lo abbiamo interrogato, vediamo come si svolgerà la situazione, ma non si può accusare subito. Bisogna attendere quello che succede.