Ronen Bergman e Mark Mazzetti hanno pubblicato un’inchiesta, tradotta in Italia da Internazionale, che fa chiarezza, un volta tanto, in mezzo alla propaganda. Due premi Pulitzer, il primo autore tra le altre cose di un saggio sugli omicidi mirati di Israele (Uccidi per primo) e parte del gruppo del New York Times che ha vinto quest’anno il premio per i reportage da Gaza dopo il 7 ottobre, il secondo - che il premio lo ha vinto tre volte - esperto di intelligence e sicurezza, che raccontano una storia lunga cinquant’anni. Dall’inizio di questo conflitto, trasformatosi in pochissimo tempo in un massacro, oggi inibito da una pace/minaccia statunitense (Trump ha fatto pressioni su Netanyahu) ma reso attuale dall’oltranzismo israeliano e dalla violenza vendicativa di Hamas a Gaza, si è parlato sempre di presunte date di inizio. C’è chi fa risalire la questione al ’48, quando Israele venne fondato (Francesca Albanese), c’è chi fa risalire questa storia, e non necessariamente a sfavore di Israele, alla seconda metà dell’Ottocento, alla fine dell’Impero ottomano e alla discriminazione degli ebrei nei Paesi arabi (Benny Morris). C’è chi la fa risalire allo stesso periodo ma parteggiando per i palestinesi (Ilan Pappé) e chi invece la fa risalire al 7 ottobre 2023, e cioè con l’attacco terroristico di Hamas. C’è anche chi, come David Grossman o Jaques Attali, individuano come punto di frattura la Guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967), che potrò all’occupazione illegale di Gaza e ai primi insediamenti in Cisgiordania. Il merito di questa lettura della storia è semplificare le cose e permetterci di reagire realisticamente a un problema reale; ipotizzare che Israele sia illegittimo fin dalle sue origini è un lavoro non solo complicato, ma superfluo (Israele non sparirà). Credere che la storia possa essere riavvolta fino alla preistoria di quei popoli è compiti degli studiosi accademici. Ronan Bergman e Mark Mazzetti ci spiegano perché Netanyahu non è il mostro più cattivo in Medio Oriente (reductio ad Hitlerum), anzi è solo un carrierista senza scrupoli che si è servito del vero potere che muove una parte della politica e della comunità israeliane.
I veri cattivi, cioè i più cattivi, così cattivi da essere diventati cruciali nella politica israeliana, sono i coloni israeliani in Cisgiordania. Il loro potere si rafforza e concretizza proprio dopo la guerra del ’67, quindi non è banale concentrarsi, come fa la sinistra israeliana, su questi ultimi decenni, senza ricorrere ad artifici retorici prodotti nelle aule dei dipartimenti di Cultural Studies occidentali Bergman e Mazzetti, in L'impunità dei coloni: come un movimento estremista ha conquistato Israele (Internazionale Extra Large, 2025; articolo uscito sul New York Magazine a inizio 2025), dimostrano che per quasi cinquant’anni lo Stato israeliano non è stato in grado di applicare la legge ai coloni in West Bank. Più precisamente, si mostra la connivenza dei governi che talvolta hanno protetto i coloni e in altre occasioni li hanno semplicemente lasciati fare, nonostante i report interni, le informazioni di intelligence e le prove raccolte sul campo che testimoniavano la violenza, l’aggressività e la criminalità delle azioni degli estremisti in Cisgiordania. Ne avevamo già parlato, poco prima dell’uscita di questo volumetto in Italia, riflettendo proprio sul modo in cui i coloni, oltre a essere un problema per i palestinesi, fossero una minaccia per la tenuta democratica di Israele (l’articolo è questo). Come spiegano Bergman e Mazzetti, lo Shin Bet aveva le informazioni necessarie per processare e condannar ei coloni, che l’hanno quasi sempre fatta franca. I leader politici, i rabbini estremini, i terroristi, hanno ricevuto condanne barzelletta di pochi mesi, come nel caso del rabbino Levinger, che nel settembre del 1988 uccise un palestinese sparando all’impazzata contro dei negozi, mentre era a bordo della sua auto e alcuni palestinesi stavano lanciando dei sassi contro i vetri. Levinger disse: “So di essere innocente e di non avere avuto l’onore di uccidere quell’arabo”. L’onore. In realtà innocente non era e patteggiò per una condanna a cinque mesi per omicidio colposo. Dopo tre mesi era già fuori. Questa storia ci viene raccontata da un infiltrato israeliano tra i coloni, nome in codice Shaul, che non verrà mai preso sul serio dai servizi di intelligence. Al contrario, i suoi report verranno definiti imprecisi, nonostante il quadro emerso fosse drammatico. In un’intervista del 2015 Shaul dirà: “Nella maggior parte dei casi gli attivisti erano dei pazzi, delle vere canaglie”. Uccidevano, rubavano, minacciavano, bullizzavano. E lo Stato di Israele, più o meno compiacente, era inibito al punto da lasciar correre. E così è stato per decenni.
Lo Shin Bet stesso tratta ormai i coloni e i palestinesi in modo diverso e chiaramente discriminatorio. I coloni israeliani, che occupano terre in modo illegale non solo per gli standard internazionali ma anche secondo la legge israeliana (almeno dagli anni Novanta in poi), vengono giudicati dal tribunale civile, nonostante quei territori siano gestiti dall’esercito israeliano e dunque siano sottoposti alla legge militare, ben più severa. Legge che invece si applica ai palestinesi, accusati di terrorismo ogni qualvolta tentino di reagire contro i coloni. L’unica eccezione, l’unico tentativo di misurarsi realmente con la piaga dei coloni, fu Rabin, primo ministro israeliano e firmatario degli Accordi di Oslo.Già da anni la situazione era diventata abbastanza tesa da far sì che in un incontro del 1982 negli Stati Uniti, l’allora senatore del Delaware Joseph Biden (sì, il presidente Joe Biden) rimproverasse il primo ministro Begin, che tuttavia se ne fregò ampiamente, arrivando due anni dopo a concedere la grazia persino a dei terroristi conclamati della Jewish underground, colpevoli di aver organizzato gli attentati contro i sindaci della Cisgiordania. Rabin, si diceva, che venne considerato un traditore dall’estrema destra israeliana e dai coloni: i rabbini estremisti emetteranno una maledizione contro di lui, la “Pulsa dinura”, una morte cabalistica, praticamente una scomunica, la destra del Likud, quella di Netanyahu e Ariel Sharon, avviò una campagna di odio contro di lui, tanto che Carmi Gillon, a capo dello Shin Bet, temeva proprio i loro discorsi, nella convinzione potessero alimentare azioni violente. E in effetti nel 1995 Rabin venne ucciso. Gli sparò un fanatico di nome Amir, un estremista di destra, che disse di aver fatto ciò che in molti sognavano di fare. Ma molti chi? I rabbini estremisti, i coloni, certo. Ma forse non solo loro. Il mese prima della morte di Rabin, un potente politico di estrema destra, Ben Gvir, comparve in tv mostrando lo stemma del cofano di una Cadillac, la Cadillac di Rabin, e disse: “Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo anche a lui”. Full stop.
Il resto della storia la conoscete, perché tutti ve ne hanno parlato. Ben Gvir (quello che ha dato dei terroristi ai componenti della Global Sumud Flotilla) è ora uno dei ministri del governo Netanyahu, che per non potere il potere nel 2022 sceglierà di allearsi con i più estremisti e fanatici dello spettro politico del suo Paese. L’altro è Smotrich, fanatico convinto che Gaza vada riconquistata, per tornare ai fasti della Grande Israele, un’invenzione su cui si basa anche il credo dei coloni in Cisgiordania (che non a caso chiamano quella terra “Giudea e Samaria”): si convinsero, cioè, che il Messia avrebbe anticipato la sua venuta se avesse visto gli ebrei impegnarsi nella conquista dei territori palestinesi, una convinzione che è diventata in parte sentire comune tra molti israeliani (ma non tra tutti). Le domande ora sono: che peso ha questa componente fanatica dentro e fuori dal governo? Quanto paura fanno non tanto ai palestinesi, ma agli israeliani moderati e democratici? E cosa vogliono ora, che la guerra potrebbe essere finita? Le risposta sono: il peso è enorme, sono una forza pervasiva all’interno della società e delle istituzioni israeliani, tanto da aver congelato un intero sistema, il sistema giuridico, di un Paese; la paura che fanno è proporzionale alla loro forza, e quindi chiunque ha paura di andare contro di loro, di fatto temendo una guerra civile; infine, l’obiettivo, per esempio secondo il deputato Ehud Olmert, è proprio “la guerra, un’altra intifada, perché sarebbero la prova definitiva che è impossibile raggiungere la pace con i palestinesi e che c’è solo una via d’uscita: distruggerli”.