Parliamo di industria dell'hard. No, non in modo sensazionalistico o malizioso. Parliamo degli effetti reali che questo settore può avere su chi ci ha lavorato. Benny Green, pseudonimo di Serena D'Anna, ha trascorso anni in questo mondo. Oggi non ne fa più parte: è attiva su OnlyFans, ma ciò a cui tiene di più è la sua famiglia. Sì, perché indipendentemente dal lavoro svolto, anche il più spinto, dietro ci sono donne con una dignità, dei valori, degli affetti. Donne che fanno scelte consapevoli, spesso complesse. Ma Benny Green ci ha anche raccontato quanto sia difficile, per chi viene da quell’ambiente, farsi riconoscere come madre, come cittadina, come persona. Troppo spesso etichette e pregiudizi si estendono anche ai figli, colpendo il nucleo familiare con sospetti e discriminazioni, specialmente in contesti scolastici e sociali: "Vivendo una doppia realtà, quella dell’ambito social-pubblico e quella della vita comune, soprattutto come genitore, mi sono trovata a interfacciarmi con vari pregiudizi, in particolare scolastici", ci ha raccontato. "Mi è capitato, soprattutto quando ero interessata a cambiare casa, di ricevere un trattamento discriminante. Nel momento in cui veniva messo il mio nome, o comunque tutto ciò che è legato alla mia immagine, sembrava quasi non essere gradito, come se io potessi svolgere attività illecite nell’abitazione. Secondo me, se una persona si comporta in modo dignitoso, paga regolarmente tutto, non dovrebbe incappare in pregiudizi legati al proprio lavoro o alla propria immagine pubblica".

Benny, qual è il contesto in cui ti senti più giudicata?
Quello scolastico. Ho visto due tipi di atteggiamenti: da una parte ho incontrato persone molto intelligenti, anche mamme molto tranquille, che hanno sempre preso il tutto con leggerezza, magari scherzandoci sopra, ma senza mai esprimere giudizi. Dall’altra parte, invece, mi sono trovata in un istituto superiore, l'Istituto Alberti di Roma, dove ho percepito un atteggiamento quasi aggressivo da parte di alcuni insegnanti. Ora, io non appartengo alla categoria dei genitori che difendono i figli a prescindere: se c’è un comportamento errato, va corretto, dal genitore, dagli insegnanti, da chiunque. Ma quando tutto questo diventa accanimento tendenzioso, e si arriva a una mancanza di rispetto verso il genitore, è grave. Perché il genitore, come l’insegnante, ha un ruolo educativo, e la sua personalità non va attaccata solo perché, per esempio, utilizza una mail con un nome d’arte. Questa è una cosa che detesto. Mi è stato spesso detto, anche in famiglia, “non mandare l’email con la tua mail ufficiale perché c’è il nome d’arte”. Ma io trovo tutto questo profondamente sbagliato. L’atteggiamento, a mio avviso, dovrebbe essere neutrale. È vero che, soprattutto in un istituto superiore, i ragazzi sono più informati sui social e magari fanno discorsi… Ma finché questo non va a ledere l’andamento scolastico o non crea problematiche, perché dobbiamo far finta di niente? Un genitore che fa un lavoro diverso non è un genitore “meno genitore” degli altri.
Quindi noti una differenza anche nel trattamento verso i tuoi figli?
Sì, assolutamente. E anche nei miei confronti. Quando vengono fatte critiche troppo aggressive, a volte sembrano pretestuose. Anche solo un accenno a mia figlia, per esempio, perché magari ha un certo look, ma è normale che i preadolescenti siano ispirati dai social e dalla realtà in cui viviamo. Tutto questo non deve essere collegato a una presunta “diseducazione” da parte del genitore, solo perché fa un certo lavoro. Io non ho mai coinvolto i miei figli nel mio lavoro, né li ho mai incitati a fare altrettanto. La mia vita quotidiana e il mio lavoro sono ben separati. Il ruolo del genitore è difficile per tutti, sia che tu sia impiegata, sia che tu faccia il mio lavoro.

I tuoi figli come vivono questa situazione?
I miei figli convivono con questa realtà da quando erano più piccoli, dal 2020. All’epoca non capivano e ho spiegato loro il mio lavoro in modo adatto alla loro età. Ho presentato tutto come uno spettacolo, come un personaggio di un film. Volevo che sentissero tutto da me, prima che ne venissero a conoscenza da altri. In seguito, certo, c’è stato qualche scontro con i coetanei: battutine, prese in giro. Ho cercato di spiegar loro che dovevano essere forti e saper affrontare certi discorsi con distacco. Ho insistito sul fatto che: “Sì, i tuoi amici hanno visto quei video, ma è un lavoro”. Oggi sanno che non lavoro più con l'hard e che sono su OnlyFans, ma vedono tutto con più leggerezza. Sanno che in casa c’è un’altra dimensione: ho un compagno, dei gatti, una vita assolutamente normale. E questa mia scelta mi ha anche richiesto molti sacrifici. Mi sono privata di eventi e occasioni lavorative proprio per stare vicino ai miei figli. Il lavoro su OnlyFans, paradossalmente, mi permette di essere sempre presente. Non ho orari fissi, sono reperibile, sono presente alle riunioni scolastiche, alle convocazioni. E quando noto, nonostante tutto, atteggiamenti aggressivi da parte dell’istituto, questo mi fa male. Perché manca il rispetto. Un professore non dovrebbe permettersi certi toni. Ma purtroppo ci sono ancora molti cliché.
Ti riferisci a qualche episodio in particolare?
Una volta sono stata chiamata da una professoressa alle 8 di mattina con un tono al limite dello sgarbo: “Signora, dove si trova? Perché suo figlio fa questo, fa quello…” Va bene, punitelo. Dagli le note. Prendete provvedimenti. Ma io sono la madre, non l’alunna. E l’insegnante non deve attaccare me. Mi è anche capitato che mi riattaccassero il telefono in faccia. Sempre la stessa insegnante. Allora uno inizia a pensare: è vero, tu donna, solo perché ho un aspetto diverso dal tuo, provi rabbia o fastidio verso di me? Ma perché? Ma è brutto, soprattutto in un ambito educativo. Insegnare il pregiudizio è una forma di diseducazione. L’anno scorso, per esempio, mio figlio è stato attaccato, e io con lui, perché indossava una maglietta con il simbolo della marijuana, simbolo di un brand. Io non me ne ero nemmeno accorta. Ma sono stata accusata di dare messaggi diseducativi. Allora, dico: il messaggio è diseducativo solo se c’è propaganda. Altrimenti, è solo un logo. È un po’ come quel vecchio brand con l’omino e la donna in posizione sessuale: chi lo indossava non voleva certo fare propaganda a comportamenti in pubblico. Ci sono piccoli accanimenti che fanno emergere quanto pregiudizio ci sia ancora. E questo peggiora la vita dei ragazzi. Se si affrontassero certe cose con più naturalezza, anche loro le vivrebbero meglio. Se siamo noi adulti a puntare sempre il dito e a vedere tutto con malizia, allora siamo noi che mettiamo quella malizia negli occhi dei ragazzi. Parliamo di ragazzi del liceo, ragazzi che iniziano ad approcciarsi alla sessualità. Bisognerebbe educarli a viverla con consapevolezza, non come qualcosa di sbagliato. Perché non educarli piuttosto al rispetto, alla prevenzione delle malattie, alla tolleranza? Anche perché questi ragazzi, è vero, magari mi seguono sui social. Ma quando vado a scuola non mi metto certo a pubblicizzarmi. L’informazione c’è, quindi cerchiamo almeno di sdrammatizzarla. Ad esempio, ho ricevuto una mail in cui mi si diceva che mia figlia aveva le unghie troppo lunghe e colorate. Va bene, se c’è un regolamento che vieta ciò, lo rispetto. Ma quando mi si dice che “attira troppo l’attenzione”, allora lì c’è qualcosa che non va. Quale teenager oggi non si cura le unghie? E succede sempre nei miei confronti. E i miei figli ne subiscono le conseguenze.

Nell’ambiente scolastico c’è ancora chiusura mentale. Mi viene in mente il caso della maestra licenziata perché aveva un profilo su OnlyFans. Pensavo a quello, perché riflettevo sugli stereotipi ancora fortemente radicati all’interno delle scuole...
Esatto. Dall’esterno, probabilmente, nessuno immaginerebbe che io sia una casalinga un po’ fissata con l’ordine e la pulizia. E per carità, non dico che sia l’unico modo per gestire una casa, ma io sono davvero molto tradizionale. Il mio modo di vivere la mia dimensione privata è classico, casa è casa. E non ho una vita sociale clamorosa da scandali o cose del genere. Il lavoro è una cosa, poi faccio la mamma, mi dedico alle pulizie, ho anche un compagno. Ho cercato di creare questo nucleo sano, con il compagno e i gatti. Eppure, solo perché ho scelto di lavorare con la mia immagine, di offrire uno spunto di fantasia al mio pubblico, vengo criticata come genitore. Ma io posso essere una buona madre o meno indipendentemente dal lavoro che faccio. È questo che trovo profondamente discriminante. Ti faccio un altro esempio: quando ho cercato di affittare una casa a Vicenza, mi è stato detto chiaramente che la mia immagine "non era gradita". Ma perché? Avevo fornito tutto: dichiarazione dei redditi, acconto, garanzie… eppure venivo giudicata per ciò che rappresento agli occhi degli altri, non per il mio comportamento reale. Se io fossi un'inquilina problematica, certo, sarebbe giusto che il condominio non mi volesse. Ma solo perché sono una content creator su OnlyFans, chi dice che io non possa essere una persona rispettosa o tenere la casa in ordine? È sempre la stessa storia.
