Piazza San Pietro, stesso colonnato, stessa speranza. “Mia mamma era lì come 42 anni fa. Allora aspettava le parole di Wojtyla, oggi aspetta un segno dal nuovo Papa”. È Pietro Orlandi a scriverlo, con una foto di lui e sua madre di spalle, in cammino verso l’ennesimo silenzio. Perché anche stavolta, nessun appello. Nessun nome. Nessun cenno a Emanuela Orlandi durante il primo Angelus di Leone XIV. Eppure, Pietro ci crede ancora. “Mi sento con una nuova speranza, le sue prime parole, ‘la pace sia con tutti voi’, mi hanno colpito. Ma per noi, la pace esiste solo se arriva la verità”. È una richiesta che suona familiare. Quasi quarantadue anni di appelli, lettere, cortei, manifestazioni. E quattro pontefici che si sono alternati mentre la famiglia Orlandi cercava un corpo, un volto, un perché. “Non chiedo al Papa di dirci la verità. Magari non la conosce – ammette Pietro – ma può aiutarci a trovarla. Voglio incontrarlo, parlare con lui. Anche solo in modo riservato. Leone XIV sembra una persona aperta, ha detto che la Chiesa accoglie chi soffre. E allora ascolti chi ha sofferto troppo a lungo”.


Il riferimento a Papa Francesco è amaro. “Speravo che, prima di morire, lasciasse almeno una lettera. Non l’ha fatto. Quello che sapeva se lo è portato nella tomba. Come tutti gli altri”. Ma il fratello di Emanuela non molla. Non lo ha mai fatto. “Noi non ci fermeremo. La verità non può restare nascosta per sempre. Anche i fedeli aspettano un segnale. Se Leone XIV farà chiarezza, la Chiesa ci guadagnerà. E tanti giovani torneranno ad ascoltarla”. Perché, alla fine, Emanuela non è solo un mistero vaticano. È un nodo che stringe ancora la coscienza di un’intera generazione. E Pietro è lì, con sua madre, nello stesso punto di partenza. Ma questa volta, spera davvero che sia l’inizio di qualcosa.

