E così, alla fine, anche i riflettori discreti ma penetranti di “One more time”, lo splendido podcast di Luca Casadei, hanno puntato “una Bestia di Satana”. Mario Maccione, nella fattispecie, il più giovane – all’epoca dei fatti accaduti e poi tante volte raccontati – fra i membri di quella banda (non certo una setta nel vero senso del termine) che il 17 gennaio 1998, in un bosco di Somma Lombardo (Varese), uccise Fabio Tollis e Chiara Marino. Ancora minorenne, Maccione era il medium della banda. “Ferocity” – questo il suo (sopran)nome di battaglia – era il punto di riferimento delle sedute spiritiche di gruppo. Quella era la sua “ricerca”, quello il suo ruolo. Un ragazzo pieno di odio iconoclasta, profondamente anti-cristiano, “inca**ato col mondo”. Cose per la prima volta raccontate nel 2011, quando per Piemme uscì “L’inferno fra le mani”, che Maccione scrisse in carcere. Libero dall’ottobre 2017, si reinventa in Sardegna, dove tuttora vive. Lo YouTuber Ale Della Giusta, qualche mese fa, assesta un bel colpo. Lo raggiunge nell’isola per intervistarlo, ma l’occasione risulta in gran parte sprecata. Tanti chilometri (e fatica, immaginiamo) per finire a montare un servizio formalmente impeccabile ma privo di reali notizie, con il (troppo?) giovane Della Giusta che si ritrova a stupirsi per affermazioni di Maccione già ampiamente note fin dai tempi del primo volume sulle Bestie, “I ragazzi di Satana” di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa (Bur, 2005).
Aprile 2024, arriva Luca Casadei, con la sua andatura maieutica, la sua pazienza, l’attenzione dell’etologo, la compassata finezza di chi è abituato ad ascoltare prima di parlare. Un’intervista monstre (un’ora e cinquantadue minuti la prima parte, un’ora e cinquantacinque la seconda) in cui Maccione, passo dopo passo, si racconta partendo da quegli anni lontanissimi in cui non era ancora “qualcuno che aveva ammazzato”. Casadei premette: “Non ti avrei mai intervistato se non avessi sentito il tuo pentimento”. Il pentimento, va detto, appare evidente. Per quasi quattro ore è infatti possibile ascoltare un uomo pacato, in buona parte risolto, evidentemente reduce da un viaggio infernale che, per una volta, ha previsto la tratta di ritorno. Maccione è animato dalla voglia di raccontarsi da persona “normale”, ma la sua normalità, giocoforza, è frutto di un enorme trauma. L’esistenza e l’esistenza di Mario Maccione, infatti, non potranno mai prescindere da quell’assurda mattanza che pose fine alle vite di due coetanei del gruppo, due amici. “Si può togliere la maschera del mostro”, dice, a metà del guado. La normalità di Maccione, un’autentica conquista, si misura con la possibilità di non legare la propria anima, per sempre, a un atto esecrabile. Per arrivare lì, a quella normalità, Maccione si racconta e racconta, spesso limpidamente.
Le cattive compagnie, la furia anti-cristiana, il metal, le droghe. La banda che, a un certo punto, con l’arrivo di Andrea Volpe, cambia natura e alza l’asticella. Qui, a voler conservare il gusto pedante della memoria, nascono i problemi di questa ennesima ottima intervista di Casadei, che giunge all’obiettivo ma deve anche lui, in qualche modo, arrendersi di fronte ad alcune amnesie di Maccione che oggi – col senno del poi e a pena scontata – non appaiono più come figlie di una strategia processuale, bensì funzionali alla chance di una piena accettazione di sé. “Di quella notte non ricordo nulla”. Però ricorda tutto il resto. Il prima e il dopo quella notte. Il blackout riguarda proprio le martellate con cui ha sfigurato l’amico Fabio. Un blackout della coscienza? Neppure Casadei può saperlo. Michele Tollis, padre di Fabio, il commovente guerriero che ha cercato il figlio ovunque e, grazie alla sua denuncia, ha fatto sì che il vaso di pandora venisse scoperchiato (2004), non ha perdonato Volpe (che ha incontrato in carcere), al quale però ha destinato un sincero “in bocca al lupo”. Di Maccione, invece, non si è mai fidato. Lo ha sempre ritenuto un bugiardo. Durante la lunga intervista, peraltro, il gioco per l’ascoltatore non dovrebbe essere quello di “individuare la bugia”, bensì provare a capire come un giovane uomo con una vita davanti si sia risolto, in chiave evolutiva, una questioncina così urticante come quella di aver preso parte a una delle catene di delitti più efferate della storia d’Italia. Anonima ma ben individuabile da chiunque abbia frequentato le cronache relative alle Bestie, nei racconti di Maccione emerge, spaventosa e psicopatica, la figura del “vampiro” Paolo “Ozzy” Leoni e insieme a lui il contorno di una Lombardia periferica e depressa costellata da famiglie disfunzionali, figli che non si sa dove trovino i soldi per bere e drogarsi, orge, atti di nonnismo che presto si trasformano in allucinanti prove di coraggio. Cronache stranote che Maccione deve di nuovo ripercorrere per spiegarci come è riuscito a riscoprire la famiglia, ad accettare sé stesso, ad apprezzare “la musica ambient”.
Così il fiume del racconto procede lento ma sicuro, travolgendo tutti: genitori (dov’erano?), forze dell’ordine (“Non pensavano a noi perché non eravamo credibili”), pedagogisti innamorati delle buone maniere relazionali e chi più ne ha, più ne metta. Verrebbe, come al solito, da finire per prendersela non solo con individui con un nome e un cognome ma con la generica “società”. Una tentazione che Casadei ci impedisce di vagheggiare perché sempre aderente alle emozioni, alle ragioni, ai contorti perché del soggetto che intervista. Che non è un mostro, ma è una persona che, in un determinato momento della propria vita, ha agito da tale. La storia di Mario Maccione, oggi, è anche quella di un ragazzo che ha contribuito alla morte violenta di due coetanei. Imbarazzanti i moventi: “Fabio non portava rispetto ai grandi e hanno voluto punirlo. Ci provava con le donne di uno dei capi della banda, non si rendeva conto che il suo modo di essere, leggero e simpatico, era visto come una grave mancanza di rispetto”. La storia di Mario Maccione è però anche quella di un uomo che, per arrivare a quarantatré anni sano di mente, ha dovuto “spiegarsi” quella e tante altre tragiche assurdità. Oggi, con il disagio, le dipendenze e la paranoia alle spalle, è ripartito dalle proprie origini (da Paola, ragazza con cui aveva un rapporto prima degli anni bui delle Bestie, la ragazza che gli scrisse per la prima volta rispondendo all’annuncio di Metal Shock) e dal mare della Sardegna. Per dare un senso alla vita. Non solo la propria.