La miserabile verità? A uno come Alberto Stasi c’è solo da dire grazie. Anche se fosse davvero lui l’assassino di Chiara Poggi. Perché? Perché è stato buono lì, in carcere, nonostante il senso di ingiustizia che a suo dire lo perseguita e nonostante in Italia – ora che non c’è più Silvio Berlusconi si può anche dire senza che si finisca politicamente strumentalizzati – la ricerca dei colpevoli conta più della garanzia che i colpevoli paghino davvero. Gli anni degli attacchi politici al sistema giustizia in Italia sono alle spalle, così come i personaggi che quelle istanze le hanno sollevate facendosene interpreti ormai non ci sono più, ma i problemi restano tutti. Ok, non sia mai, in un Paese che non conosce il significato umano del verbo “riabilitare” che si riconosca che forse quegli interpreti avevano ragione. Che niente funziona come dovrebbe e che la magistratura, a tutti i livelli, sembra più impegnata a perseguire pubblicità e lotta politica piuttosto che a tenersi lontana dal male assoluto dell’umanità: la sciatteria.

Sì, perché mentre ci si chiede quale possa essere il senso della mediaticità dei casi di cronaca nera (senza rendersi fino in fondo conto che le notizie, quasi sempre, escono dalle procure), mentre ci chiediamo tutti chi ha ucciso Chiara Poggi, chi ha ucciso Liliana, chi ha ucciso Pierina discutendo di omicidi come fossero trend di Google, si continua a non voler vedere che non solo non si è capaci di trovare i colpevoli veri, ma nemmeno di tenerli buoni quando sono stati in qualche modo trovati. E allora sì, viene da dire grazie a Alberto Stasi perché almeno lui, colpevole o no, buono c’è stato davvero. Il casino, semmai, l’ha fatto fare a altri, rispettando il suo ruolo – scomodissimo e umanamente difficile da rispettare – di condannato. Ok, è una provocazione, ma siamo sicuri che l’omicidio di chiara Poggi, come gli altri tristemente in trend su Google, non siano a tutti gli effetti armi di distrazione di massa? E che la mediaticità dei processi, in verità, non sia qualcosa che alla magistratura italiana fa dannatamente comodo, così che non ci si accorga di tutto quello che succede – ogni santo giorno – intorno a ciò di cui tutti parlano e a ciò su cui tutti sono stupidamente concentrati? Ci siamo accorti, ad esempio, che un condannato per una strage è a spasso ormai da settimane dopo che qualcuno ha permesso che andasse a laurearsi senza uno straccio di controllo? Il politicamente corretto, gli “eh, ma si è redento e è diventato bravo” non sono segno dell’essere stati buoni e aperti alla redenzione, ma di quella sciatteria già citata prima. Sostenere il contrario sarebbe impossibile, soprattutto leggendo, appunto, come la Giustizia, anzi l’Italia tutta, si sia fatta prendere infantilmente per il cu*o da Andrea Cavallari. Uno che di starsene buono lì passivamente alla Alberto Stasi non c’ha pensato neanche un secondo. E ha fregato tutti come neanche un idiota si sarebbe fatto fregare.

Chi è Andrea Cavallari? È il 26 enne condannato a undici anni di carcere per la strage della Lanterna Azzurra dell’8 dicembre 2018. Morirono sei persone (cinque minorenni e una giovane mamma) e altre 59 rimasero ferite in maniera più o meno grave dopo che lui, insieme a altri suoi amici, aveva spruzzato spray al peperoncino sulla folla. Indagini quasi lampo e processo celebrato velocemente. Colpevole lui, colpevoli i suoi amici. Anche per la Corte d’Appello. Quel ragazzo, in carcere, s’è messo a studiare, trovando il tempo di farsi una fidanzata, di godere di non pochi permessi, di vivere la reclusione un po’ come un college in cui tutto quello che ti si chiede per mantenere i privilegi è fare gli esami. Lo ha fatto, fino a arrivare alla laurea e al gran giorno. Dove? All’Università di Bologna. E quello stesso Paese che fino a pochi anni prima faceva laureare la gente online nel delirio del periodo Covid, ha permesso che Andrea alla sua cerimonia di laurea ci andasse da solo. Senza uno straccio di controllo. Senza, toh, un agente che vestito da parente commosso stesse lì a dare un’occhiata che tutto filasse liscio. Liscio non c’è filato niente. Perché Andrea, proclamato dottore, ha scelto di proclamarsi pure libero. Durante il pranzo di laurea, anche questo senza uno straccio di controllo, ha salutato i parenti dicendo che un amico era venuto a prenderlo per accompagnarlo dalla fidanzata. Poi il vuoto. Lo cercano dal 3 luglio. E forse la sua vera tesi di laurea in Giurisprudenza è proprio la facilità con cui è riuscito a evadere. Perchè racconta di un sistema giustizia che giustifica la fallibilità e segue il metodo della sciatteria. E che in qualche modo sfrutta a proprio vantaggio il fatto che mentre ci si chiede chi ha ucciso Chiara ancora dopo 18 anni, scoprendo di indagini che definire maldestre è dire poco, mentre ci si chiede chi ha ucciso Liliana o Pierina e mentre, magari, ci si chiede pure dove caz*o sta Andrea, finisce per dimenticare l’unica vera grande domanda che ci si dovrebbe fare: ma davvero in un Paese che si dice civile succede tutto questo?
