La scoperta dell’Uomo di Atreju (nome scientifico: homo melonis; sottogenere: sboronis; familia: testiculis tactis) sta cambiando i paradigmi della scienza archeoantropologica. Accade così che la figura del generale Roberto Vannacci (nome scientifico: Homaccione Vannacius; sottogenere: sumus homnes vel caporalis?; familia: nigra manu tactus), generalmente dato come appartenente all’Uomo di Atreju, possa invece fare parte di una tribù differente: l’Uomo di Pontida (nome scientifico: homo citofonis). Dagli ultimi scavi pare infatti che l’Uomo di Pontida sfidò in battaglia l’Uomo di Atreju nella Gallia Belgica, in zona palude di Bruocsella. Quello che fino adesso gli storici avevano catalogato come i resti di un unico esercito e di una unica tribù sembrano invece testimonianza di una battaglia ivi consumatasi. Le differenze cominciano ad affiorare. Innanzitutto i calzari. L’Uomo di Atreju andava in battaglia con le Hoganis, mentre l’Uomo di Pontida-Vannacius combatteva scalzo, calciando allegro l’acqua della palude in segno di gioia nel combattimento. Esso portava anche, al collo, un amuleto detto “nigra manu”, che di fronte al nemico toccava spavaldamente in segno di coraggio. L’Homo Vannacius insegnò all’Uomo di Pontida una inedita forma di combattimento: essa consisteva nel correre all’indietro “bellum e contrario”, in maniera da distrarre i nemici “masculoris concubitoribus” mostrando loro le terga. Alcuni, ahimè, venivano sacrificati (anche se pare ci fossero molti volontari, soprattutto quelli che si occupavano di comunicazione) in rapporti sessuali “e contrario” durante il quale il nemico veniva sopraffato. Pare che il grido di guerra di questi valorosi martiri fosse: “La faccio io la cavallona di Troia!”. Ma sono ipotesi degli archeologi.
Esso Uomo di Pontida, almeno a quanto ci raccontano gli scavi di Piacenza, aveva anche mutuato (e superandolo) dall’Uomo di Atreju la tecnica di guerra della “cinghia mattanza”. Le regole di tale tecnica bellica sono descritte nel “De Rerum Cinghiamattanza” [il riferimento è alla notizia della protesta contro il generale Vannacci a Piacenza, dove un manifestante è stato preso a cinghiate in faccia da un sostenitore andato alla presentazione; ndr]: “Primo me sfilo la cintura, due inizia la danza, tre prendo bene la mira, quattro cinghiamattanza”. Se all’interno dell’Uomo di Pontida vi fosse una faida tra il legittimo detentore dell’ampolla sacra di Pontida, Matteo Salvini, detto il Primo Citofono o anche “colui che sostituì la canotta con la felpa”, e l’Homaccione Vannacius è al momento oggetto di studio. Ma su una cosa tutti gli scienziati concordano: l’Homo Vannacius, al contrario di quanto si pensava, non era un barbaro, possedeva un’idea di mondo e sapeva che due più due fa tre. Il suo sistema ducecentrico (mutuato dall’Uomo di Atreju ma portato alle estreme conseguenze) prevedeva una natura fascista, “Mondo Duce” era il suo motto, e forte era la convinzione che qualsiasi ambientalismo o rispetto della natura stessa fosse roba da chi possedeva molti sesterzi: “Il mondo è fascista e se ne frega!”. Il povero, secondo la visione dell’Homaccione Vannacius, dovevano vivere nell’inquinamento, in casermoni di edilizia popolare, dovevano bonificare lagune, lavorare nelle risaie, abitare le discariche e schiattare dal caldo, con gli anfibi, venti chili di zaino, cinquanta giri di caserma di corsa e chi si ferma flessioni. Scat-ta-re! Gli scavi nella palude di Bruocsella sono ancora in corso. Così come i Celti l’Uomo di Pontida usava darsi coraggio con una pozione denominata Valdobbianone, preparato dal druido Zaia, anche se, pare, l’Homaccione Vannacius preferisse il chinotto (la versione italica della bevanda atlantista). Gli studiosi non sanno ancora gli esiti di tale funesta e sanguinosa battaglia.