La Cina dichiara “guerra” alla musica rock. L’ultimo manuale universitario cinese sulla sicurezza nazionale sostiene che il rock 'n' roll, la musica pop e internet sono strumenti occidentali utilizzati per promuovere la "rivoluzione colorata" tra i giovani del Paese, ossia tentativi di sovversione orchestrati da potenze straniere per destabilizzare il governo. Il manuale, lanciato recentemente, fa parte delle iniziative di Pechino per rafforzare il controllo ideologico e la sicurezza nazionale, soprattutto tra gli studenti universitari. Come riporta il South China Morning Post, il libro mette in guardia contro l'influenza della cultura pop occidentale e sottolinea il ruolo di internet nella formazione dell'opinione pubblica, considerandolo un campo di battaglia nella lotta ideologica tra Cina e Occidente. Cita le rivoluzioni in Tunisia e la Primavera Araba come esempi di movimenti destabilizzanti. Il manuale è basato sui discorsi di Xi Jinping e mira a sensibilizzare i giovani sui rischi per la sicurezza nazionale, insegnando loro a difendere la sovranità del Paese. Il Ministero dell'Educazione ha promosso l'uso del testo, esortando docenti e studenti a comprendere e proteggere la "sicurezza nazionale complessiva", un concetto introdotto da Xi nel 2014. La notizia non sorprende: da un punto di vista geopolitico, Cina, Russia e Iran – e non solo – mettono in discussione l’egemonia americana e, con essa, anche il suo sistema di valori. Rock compreso.
I regimi del passato – come l’Unione Sovietica – hanno sempre avuto un rapporto complicato con il rock. E lo stesso valeva per gli artisti occidentali. Correva l’anno 1968 quando i Beatles pubblicarono la canzone Back in the USSR, poi contenuta nell’album omonimo (il White Album) pubblicato lo stesso anno. Paul McCartney e John Lennon scrissero il testo della canzone in India, ispirandosi alla canzone pro-America di Chuck Berry Back in the USA. Una canzone dal tono sarcastico, in pieno stile beatlesiano, che racconta dalla prospettiva di una spia russa che, dopo un lungo soggiorno in America, torna a casa in Unione Sovietica. Benché non si trattasse affatto di una dichiarazione d’amore verso l’Unione Sovietica, in quel periodo, mentre gli orrori della guerra in Vietnam venivano trasmessi in tv e la fede nell’eccezionalismo andava scemando, il brano venne mal interpretato da una parte dell’opinione pubblica, suscitando polemiche. Dall’altra parte della Cortina di Ferro, il rock – così come il blues, il jazz e tutta la musica americana – veniva visto con grande sospetto. Non (del tutto) a torto, perché gli Stati Uniti “usarono” in più di un’occasione gli artisti per promuovere i loro valori – e dunque interessi – nel mondo. Lo dice il Dipartimento di Stato: da quando il compositore di fama mondiale Aaron Copland si è recato in Sud America durante la Seconda Guerra Mondiale e i più noti Jazz Ambassadors hanno cantato dietro la cortina di ferro tra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta, gli Stati Uniti “hanno chiesto ai musicisti e agli artisti americani di usare la musica come strumento diplomatico per promuovere la pace e la democrazia”. Esempi? L’amministrazione Kennedy sponsorizzò, nel 1963, la tournée mondiale della leggenda del jazz americano Duke Ellington.
Durante la Guerra Fredda, il rock, in particolare, divenne un simbolo di libertà nell'ex Unione Sovietica, e proprio per questo fu proibito. Dietro la Cortina di Ferro, come ricorda lo Spectator, il primo contatto delle persone con il Rock & Roll avveniva spesso tramite il suono disturbato di una radio che cercava di captare trasmissioni dall'Occidente. Il produttore del film Douglas Yeager ha citato la risposta dei musicisti sovietici sul loro primo incontro con la musica rock: "Non sapevamo cosa fosse, non sapevamo cosa dicessero, ma suonava come libertà". Più tardi, l'Unione Sovietica capì che era impossibile fermare completamente la musica e iniziò a invitare star straniere a esibirsi. I Beach Boys furono la prima band a suonare oltre la Cortina di Ferro, esibendosi a Praga pochi mesi dopo l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Armata del Patto di Varsavia nel 1968. Durante il concerto, dedicarono la canzone "Breakaway" ad Alexander Dubček, politico slovacco promotore del "Socialismo dal volto umano", ricevendo un applauso entusiasta. Joan Baez, invitata a Bratislava nel 1989, poco prima della Rivoluzione di Velluto, interruppe il suo concerto per dedicare una canzone a Charter 77, un movimento dissidente cecoslovacco. Dopo essere stata parzialmente censurata dal regime durante l'esibizione, continuò a cantare senza amplificazione, un evento che Snopko, ex ministro della Cultura, descrisse come il primo segnale della rivoluzione imminente. Anche Frank Zappa, negli anni '70 e '80, era considerato una figura di culto tra i fan dell'Europa orientale, specialmente tra quelli che ascoltavano musica "proibita" tramite registrazioni clandestine o stazioni radio occidentali come Radio Free Europe e Voice of America. Nel 1988, con l'inizio della perestrojka e l'apertura del regime sovietico sotto Mikhail Gorbaciov, Zappa visitò la Cecoslovacchia, dove incontrò il presidente Václav Havel, un grande fan della sua musica e un leader del movimento dissidente cecoslovacco: Havel propose a Zappa di diventare una sorta di ambasciatore culturale non ufficiale per il suo Paese, una testimonianza dell'influenza che la musica e l'arte potevano esercitare sulla politica e sul cambiamento sociale. Un periodo culminato con la Caduta del Muro, perfettamente incarnato da un inno senza tempo come Wind of Change degli Scorpions del 1990: Follow the Moskva down to Gorky Park, listening to the Wind of Change. Per noi, un inno di libertà. Per la Russia di Vladimir Putin, probabilmente, una canzone occidentale che promuoveva la vittoria dell’Occidente nella Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica. Punti di vista.