L’ora del vittimismo. L’indagine giudiziaria sulla gestione dell’urbanistica aggiunge quotidianamente materiale al romanzo polifonico sul mondo di mezzo milanese. Ogni giorno porta il suo aneddoto e il quadro che si compone, al di là delle responsabilità penali che andranno comunque provate, è quello di un desolante cinismo del lusso palazzinaro che è, a suo modo, un’idea di città. Ma intanto che l’aneddotica s’impingua, c’è anche chi s’ingegna per organizzare la controffensiva. Nella giornata di sabato 26 luglio le edicole della nazione hanno accolto un primo coro a due voci, composto da Il Foglio e Il Giornale. Sul Foglio è stata piazzata una doppietta. A partire dalla prima pagina veniva riportata una chiacchierata, firmata da Carmelo Caruso, con l’imprenditore Camillo Agnoletto. Che, oltre a essere il fondatore di Assimpredil Ance (l’associazione delle imprese edili lombarde) è anche cugino dell’ex sindaco Giuliano Pisapia e “del no global” Vittorio Agnoletto. Giusto per dire che l’intervistato è “uno de sinistra”, e dunque che pure gli intelletti ostili diano retta. Ma cosa dice Agnoletto? Prendiamo alcuni frammenti: "Milano ha paura della procura. Si sta mostrificando una città ma chi la risarcirà in caso di errore?". All’Agnoletto cugino la formula della mostrificazione deve essere parsa sexy, se è vero che la ripete in un passaggio successivo: "(…) si sta mostrificando un luogo, Milano, paralizzando la vita di centinaia di famiglie, con il mutuo, che non potranno entrare in quelle case. Cantieri fermi equivalgono a stipendi bloccati. L’indagine non la pagheranno i grandi fondi d’investimento, ma le fasce deboli, quelle che la sinistra dovrebbe tutelare". Confessiamo che, alla lettura di questo passaggio, abbiamo provato un brivido. C’è che sta diventando così infrequente associare, nel discorso pubblico, la sinistra alla tutela delle fasce deboli anziché a Capalbio. Siamo quasi commossi. Del resto, se Beppe Sala viene presentato come sindaco di centrosinistra, ecco spiegati lo stupore e la sua misura. Ma rimaniamo sulle pagine del Foglio per dare conto dell’altro intervento in difesa della Milano ferita e infangata.

Lo firma Michele Masneri e già dagli elementi della titolazione si capisce quale sarà il tono dello scritto: Milano sott’odio. Oltre l’inchiesta sui grattacieli, contro la città lombarda riaffiora un antico sentimento di fastidio da parte del resto d’Italia. Ecco un’altra versione del vittimismo: la mostrificazione provocata dall’azione della procura della repubblica cede il passo al malcelato godimento di un “resto del Paese” che come un avvoltoio se ne stava appollaiato in cima al Pirellino o al Bosco Verticale, in attesa dell’infausto evento. Il contenuto dell’articolo rispetta pienamente quanto anticipato dalla titolazione, come si può leggere dal primo frammento: "Ah, Milano, la città che tutti amano odiare. Questo sentimento riaffiora regolarmente, direbbero i colti, come un fiume carsico, o come un naviglio aperto, e rieccolo in questi giorni, con le inchieste sui palazzoni che al netto delle responsabilità penali sembrano ispirare un vero sabba contro la città lombarda. Un processo popolare, una rivolta degli ultimi, come quando la maestra si distrae e il primo della classe finisce imbruttito dai ciucci. Così improvvisamente ecco cronache inquietanti che narrano di una città dove i grattacieli sorgono in giardino col favore delle tenebre, coi cittadini stritolati tra nuovi colossali edifici… Milano distopica, Milano capitale di tutti i mali. Certo, magari c’è qualcosa di vero, e poi si vedranno i processi, ma per ora l’unica certezza che riconosciamo a Milano è che è appunto la più odiata dagli italiani". Ovvio che si tratti di opinioni, e che in quanto tali vadano rispettate pur nel dissenso. Aggiungiamo che, quantomeno, nella scrittura elegante di Caruso e di Masneri sono anche opinioni ben confezionate. La prospettiva cambia se si prende in considerazione l’articolo firmato da Filippo Facci sul Giornale del 26 luglio. Basta il titolo per avere il senso: Il Sud regno degli abusi. Ma indagano solo Milano. Ohibò. Questo Sud fuori dalle regole che torna sempre utile quando c’è da usare l’arma del “e invece quell’altro lì?”. Scrive Facci: "Chiedersi che cosa accadrebbe se la procura milanese indagasse sul resto d’Italia (tutto) non è neppure corretto, perché il punto modale, a Milano, è se la legalità sia applicata in modo equo: ma la legalità, formalmente, c’è o c’era, il punto è solo se la legalità normativa sia stata stiracchiata per interessi privati; ma, altrove, l’illegalità è certa, ed è talmente strutturale che la magistratura si è già arresa in partenza. A Milano, quindi, si sequestrano le torri progettate da archistar e a Ischia si condonano le case costruite sulle frane".

E guai a mettere in dubbio il lavoro delle archistar: lesa maestà. Facci prosegue così, insistendo sul tema di un presunto eccesso di zelo della procura milanese: "Milano è diventata un caso perché notoriamente «fa», perché è troppo visibile per passare inosservata, troppo controllata per potersi mimetizzare. È dove tutto è formalmente in ordine che interviene la Procura: non per collusioni con la criminalità, o evasioni, bensì per delle ipotesi di interpretazioni estensive della ritenuti sufficienti [qui c’è un refuso, manca qualcosa fra “della” e “ritenuti”] a invocare l’arresto di qualche colletto bianco, che l’entusiasmo social è assicurato". Il sacco di Milano ha titolato qualche idiota. Come si dice in milanese “chiagni e fotti”? Esercizio di snobismo quotidiano by Michele Serra. Nell’edizione di Repubblica del 27 luglio l’uomo che s’annàca sull’amaca dedica l’etto di quotidiana degnazione alla vicenda dei vocali indirizzati da Raoul Bova a Federica Monzino e successivamente resi pubblici da Fabrizio Corona. Serra ci teneva a dirci che sta bellamente evitando di informarsi su tutta la vicenda. Ne prendiamo atto, e aggiungiamo che se altrettanto bellamente avesse evitato di rendercelo noto avrebbe fatto un servigio a tutti noi. Fra l’altro, la sua dichiarazione ha il medesimo effetto della smentita, che è una notizia data due volte. Allo stesso modo, dicendo che snobba la notizia, Michele Serra finisce per darle ulteriore alimento. Un genio. Ma ciò che spicca, di quell’annacàta sull’amaca, è la chiusura: Ancor più facili da evitare i casi, sempre più numerosi, nei quali i protagonisti (e le vittime) del gossip sono a me sconosciuti, tipo “Uber Pagnacca accusa Yolanka Meraviglia”, o “Charlene di Provini delusa da Max Cucuzza si consola col meteorologo di Tele Norba”. In quel caso anche i nomi, nel momento stesso in cui li leggo, svaporano come rugiada al primo sole. Bisogna che qualcuno, a Repubblica o nella cerchia d’immediata prossimità di Serra, si faccia carico dell’incresciosa missione. E gli spieghi che questo umorismo poteva funzionare ai bei tempi di Cuore. Aggiunga che dai tempi di Cuore (ultima uscita in edicola: 2 novembre 1996) sono passati trentaquattro anni, durante i quali è cambiato il nostro modo di ridere o di fare umorismo. E infine, rimarchi che quel canone umoristico sortisce ormai il medesimo effetto delle barzellette di Gino Bramieri o degli sketch di Macario. Editoriale di prima pagina, di cui riportiamo il primo frammento: "Non so se il politicamente corretto con cui la sinistra ha avvelenato l’Italia permetta ancora di dire la parola prosciutto senza offendere qualche islamico radicale, di quelli che fanno finta di pregare nelle moschee e invece poi si scopre che le moschee sono abusive e loro progettano la jihad contro noi poveri occidentalini, buonisti, ma il prosciutto ce l’abbiamo sugli occhi della democrazia". Lercio? No, Tommaso Cerno sulla prima pagina de Il Tempo.
