Beppe di qua, Beppe di là. Sarebbe il sindaco della ex capitale morale italiana, ma i giornali amano denominarlo come farebbe Enrico, la talpa di Lupo Alberto. All’anagrafe è Sala Giuseppe, ma ormai è beppificato a vita. Al punto da essere trascritto così anche nei titoli dei giornali. Specie quelli di destra-destra, che come sempre non si risparmiano quando c’è da tagliare corto. Così è nel caso de La Verità, edizione del 17 luglio, che in prima pagina ospita il primo frammento di un articolo di Giorgio Gandola. Titolo: Beppe traballa. «Devo capire». Intanto il PD non lo difende. Che già la formula meriterebbe di essere musicata come tormentone estivo 2025: Anvèdi come traballa Beppe. E intanto che traballa, le geometrie politiche consolidate twistano pure loro. Perché stavolta pare che le difese più convinte (o meno timide, fate voi) vengano dagli avversari della destra anziché dagli alleati della sinistra. Nell’edizione del Corriere della Sera di sabato 19 luglio si schiera in suo favore addirittura il presidente del Senato, Ignazio La Russa; che proprio a Milano ha il feudo elettorale e perciò avrebbe tutto l’interesse a veder sloggiare il sindaco di (presunto) centrosinistra. Nonostante la mai rinnegata indole ducesca, La Russa si scopre democristiano dichiarando che: «Sarebbe troppo comodo ora per il PD scaricare Beppe Sala» (così riporta la giornalista che ha firmato l’intervista, Virginia Piccolillo). Che non è proprio una difesa ma nemmeno la perentoria richiesta di dimissioni che ci si aspetterebbe. E in fondo, di questo atteggiamento, si ritrova traccia anche nell’editoriale firmato, per l’edizione del 19 luglio di Libero, dal sempre più stralunato direttore Mario Sechi. Ancora una volta, il titolo dell’editoriale di prima pagina celebra la beppificazione: Beppe vittima dei compagni e di se stesso. E dato a Beppe quel che è di Beppe, Sechi dà ai lettori quello che è dei lettori: un paio d’etti di confusione mentale, scritta malissimo, con un (non) uso della punteggiatura da alcol test: "Cosa sta succedendo a Milano? È in corso l’ennesimo regolamento di conti all’interno della sinistra, quello di Beppe Sala non è (solo) un caso giudiziario, ma un dramma politico dove lui, il sindaco, è vittima di se stesso e dei suoi compagni che vogliono esibirne lo scalpo mantenendolo vivo, in carica e, de facto politicamente commissariato, praticamente uno zombie". Per inciso, noi abbiamo il massimo rispetto delle situazioni di scarsa lucidità, da cui scaturiscono frammenti di scrittura molto più simili a un Test di Rohrschach che a un editoriale. E tuttavia, non possiamo non rivolgerci all’editore del quotidiano di destra-destra, Angelucci, inviandogli una raccomandazione: fra i tanti benefit assicurati a Sechi per il ruolo di direttore, aggiungete un addetto alla punteggiatura. Perché è davvero destabilizzante la lettura di periodi come il precedente, o come quello che riportiamo a seguire: "Milano non sta vivendo una crisi giudiziaria, ma politica, non c’è una nuova Tangentopoli, siamo in un altro periodo storico, qui è in scena la bancarotta del progressismo, il trionfo dei massimalisti della sinistra, la fine di ogni prospettiva moderata a sinistra in nome dell’ammucchiatissima che le opposizioni manderanno in campo contro Giorgia Meloni nelle elezioni politiche".

Un potente fumetto manga, scritto col piede sinistro. Sul Corriere della Sera, CazzGPT imperversa come non mai. Nell’edizione mandata in edicola il 18 luglio, Cazzullo ha piazzato una doppietta da sogno. Innanzitutto, c’è stata l’immancabile rubrica della posta dei lettori, dedicata al tema del finanziamento pubblico dell’industria cinematografica. E il nostro CazzGPT si è esposto con l’assertività ch’è d’uopo per chi ha dato l’avviso di sfratto all’Onnipotente: "Che il cinema abbia un sostegno pubblico lo trovo del tutto normale. È una forma di espressione artistica, che come molte altre, dall’opera al teatro, in un paese che ha consumi culturali a livello nordafricano deve inevitabilmente essere sostenuta". Livello nordafricano: ci sarà mica in pelino di etnocentrismo, in questa etichetta? L’altro intervento che CazzGPT ha prodotto per quell’edizione del CorSera si è incentrato sulla complessa situazione politica attraversata dalla Francia. Un articolo di lunghezza esagerata nonché dimenticabilissimo, ma con un passaggio che riscattava i 5 minuti di lettura buttati via: Il tempo in cui la figura del capo dello Stato era avvolta da un’aura di grandezza e rispettabilità è finito da tempo. Il tempo è finito da tempo. E senza nemmeno avere il tempo di accorgersene. Sul Messaggero del 17 luglio, con un commento che parte dalla prima pagina, un sobrio Mario Ajello mostra tutto il suo distacco nel valutare i primi mille giorni del governo di Giorgia Meloni. Una pacatezza e un’equidistanza davvero encomiabili. Come quelle mostrate nel passaggio che segue: "La prima foto dei 1000 giorni, che scadono domani, potrebbe essere questa: un pianeta nel caos, il mundus furiosus, e un paese – il nostro – che quasi per contrappasso si poggia, dall’inizio del governo Meloni fino ad oggi, su una stabilità evidente a tutti. Sia fuori dall’Italia sia dentro. Sia agli occhi di chi sostiene il centrodestra sia agli occhi di chi non lo ha votato ma non ha visto realizzare nessuna delle peggiori aspettative: tra cui, appunto, quella dell’ingovernabilità o, peggio, dell’«allarme democratico» di fronte a una destra pregiudizialmente e ideologicamente ritenuta incapace o pericolosa. I 1000 giorni del melonismo al potere dicono altro. E ribaltano la narrazione che si voleva diffondere".

Non v’è parso di udire Wagner in sottofondo? E però, c’è un però. A proposito del quale chiediamo a Ajello: ci spiegherebbe il motivo per cui usa il termine “contrappasso”? Il cui significato, come lo stesso Ajello potrà verificare dando una sbirciatina al Dizionario Treccani online, è «Corrispondenza della pena alla colpa, consistente nell’infliggere all’offensore la stessa lesione da lui provocata all’offeso». Preso atto di ciò, che ci azzecca l’idea di contrappasso col contrasto fra la stabilità del governo Meloni e il “mundus furiosus”? Sarà mica che Ajello intendeva scrivere “contrappeso”? A ogni modo, per qualche istante ci è parso di vedere riesumato il TG4 di Emilio Fede. Bisogna tornare alla prima pagina dell’edizione di La Verità del 18 luglio per condividere con voi una notizia ferale. La comunica ai suoi (circa quattordici) lettori il sobrio Marcello Veneziani: "Fingere, fingere, fingere, e fingeremo. Scusate la parodia, ma devo confessare al Direttore e ai Lettori della Verità un crescente disagio e una brutta tentazione. Il disagio di scrivere d’attualità e la tentazione di smettere. Mi frena solamente l’insopprimibile impulso a scrivere o meglio l’impossibilità di tacere per continuare a vivere ed essere al mondo. Di che si tratta? Mi sento ogni giorno più distante, estraneo, schifato dallo scenario interno e internazionale che ci circonda, non ho punti di riferimento e siccome non ho la presunzione di sentirmi superiore a tutto questo, penso di essere io a sbagliare e a doverne trarre le logiche conseguenze". Qualora la ferale prospettiva si verificasse, toccherà anche a noi trarre le logiche conseguenze. E cercare un’altra marca di lassativo. La prima pagina dell’edizione del Fatto Quotidiano del 19 luglio ospitava, a partire dalla prima pagina, un articolo di Paolo Nori. Che, a dispetto di una prosa da eterno bimbominkia (o, viceversa, forse proprio a causa di questa) è stato finalista dell’ultima edizione del Premio Strega. Non stiamo a sintetizzare il senso di ciò che ha scritto nell’articolo, né a riportarne frammenti, perché altrimenti in futuro toccherebbe mettersi a citare pure i dialoghi dei Teletubbies. Ciò che merita rilevare è quella cosa che i bookmaker di tutto il mondo si sarebbero rifiutati di quotare, cioè la prima parola del titolo e dell’articolo: Io.
