Magneti Marelli, il colosso della componentistica auto da 51.000 dipendenti, ha avviato negli Stati Uniti la procedura di fallimento con il cosiddetto Chapter 11. Una mossa drammatica che arriva dopo la cessione del gruppo da parte di Stellantis, allora sotto la regia di John Elkann, oggi indicato come principale responsabile del tracollo. Nonostante la rilevanza industriale del marchio e la sua storica presenza globale, nessun investitore ha voluto farsi carico dell’azienda, ormai appesantita da un debito ingestibile. Secondo quanto riportato da La Verità, Marelli sarebbe stata trasformata in una vera e propria polveriera finanziaria, un asset ceduto in perdita e abbandonato al proprio destino. Mentre negli Usa si prova a ristrutturare, in Italia, dove le ricadute sull’occupazione rischiano di essere pesantissime, le istituzioni sembrano osservare la crisi con una disarmante indifferenza.

Marelli ha avanzato una richiesta di bancarotta protezione, sostenendo un debito complessivo di circa 4,9 miliardi di dollari. Il piano prevede un finanziamento di emergenza da 1,1 miliardi di dollari da parte dei creditori, l’80% dei quali ha firmato un accordo di sostegno alla ristrutturazione. Al termine della procedura, il controllo dell’azienda potrebbe passare a un consorzio di investitori guidato dal fondo Strategic Value Partners. Tra i principali creditori figurano Stellantis e Nissan, con esposizioni non garantite pari a circa 767 milioni di dollari. Questo significa che in caso di fallimento le loro richieste potrebbero rimanere in gran parte insoddisfatte. Il nodo centrale è che un’operazione così vasta, che impatta migliaia di lavoratori in Italia, è sembrata priva di interventi tempestivi: nessuna cordata ha rilevato il gruppo e la politica locale non ha agito con adeguata tempestività. I sindacati lanciano l’allarme: se nulla cambia, si rischiano tagli al personale, ridimensionamento di siti produttivi e conseguenze drammatiche sull’occupazione.

La prospettiva occupazionale è particolarmente critica: a Venaria Reale, uno stabilimento piemontese, sono a rischio oltre 1.600 posti di lavoro, mentre il gruppo coinvolge decine di migliaia di famiglie su scala nazionale. Le istituzioni regionali si limitano a indicazioni vaghe, spostando la questione al tavolo ministeriale, senza però proporre misure concrete per salvaguardare stabilimenti e dipendenti. Dal punto di vista economico, il ricorso al Chapter 11 consente a Marelli di continuare l’attività operativa anche durante la ristrutturazione, ma il rischio concreto è che il risanamento passi attraverso una ristrutturazione strutturale, tagliando ruoli, sedi o linee di produzione. Le richieste di salvaguardia i posti di lavoro arrivano dai sindacati e dai rappresentanti politici locali, ma al momento mancano evidenze di un coinvolgimento sistematico delle istituzioni nel garantire un piano industriale concreto. Il destino di Marelli rappresenta un bivio importante per l’economia italiana, dove la scelta di privilegiar l’utile immediato e le ristrutturazioni finanziarie può avere conseguenze devastanti sul lungo periodo. L’eredità lasciata da Elkann e dagli strategici orientamenti aziendali si configura come una lezione amara: l’importanza di proteggere il patrimonio industriale e le vite dei lavoratori deve restare al centro di ogni decisione. Mentre i creditori si contendono ciò che resta di questo gioiellino, il dibattito resta aperto sulla necessità di interventi statali e di riforme strutturali che possano evitare simili disastri in futuro.
