Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, se n’è andato sul finire del 2022 con una dichiarazione d’amore verso Cristo: “Ti amo, Signore”, pare abbia detto. i funerali sono in programma domani. Sulla sua figura i fedeli e l’opinione pubblica, cattolica e non, si sono lungamente divisi, chi facendone il campione di un Cattolicesimo conservatore se non retrogrado, chi esaltandone al contrario proprio la carica di opposizione alla post-modernità. Tutti, in ogni caso, gli riconoscono la statura di teologo di razza e intellettuale pari ai grandi pensatori contemporanei. Inclusa Sandra Letizia, teologa cattolica e “femminista intersezionale”, che nell’intervista che segue segnala però i limiti del pontificato del defunto Papa emerito. A cominciare dall’insufficiente capacità di parlare al cuore dei cattolici (anche un per colpa dell’aspetto da… Palpatine di Star Wars), e di non aver saputo andare fino in fondo (come del resto anche l’attuale pontefice, Francesco) nel ripulire la Chiesa dalla piaga dei preti pedofili, benchè sia stato il primo a riconoscerla come un problema. Alla fine, il valore profeticamente positivo e “rivoluzionario” del suo passaggio in Vaticano sono state le sue dimissioni nel 2013.
Cosa rappresentava il papa emerito Benedetto XVI per il nostro tempo?
Benedetto XVI ha sicuramente rappresentato un’innovazione, e non solo per il fatto che le sue “dimissioni” hanno causato la compresenza di due Papi in vita (non un Papa e un anti-Papa, ma proprio due Papi), sicuramente una grande novità per la Chiesa cattolica, ma anche per il suo lavoro come teologo. Joseph Ratzinger, infatti, ha significato molto per la teologia contemporanea, soprattutto quando era Cardinale e Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, producendo una sua teologia originale. In generale penso che, come Papa, Benedetto XVI si sia sforzato di essere un buon pastore. Nelle sue encicliche “Deus Caritas est”, “Spe salvi” e “Caritas in Veritate” è palese il tentativo di utilizzare e veicolare un messaggio che possa arrivare a tutti i cattolici.
Quali erano i temi che gli stavano a cuore?
I temi di queste encicliche sono l’idea di Dio come amore che si dona all’essere umano, la speranza che questo amore sia la vera fonte della salvezza e poi di nuovo l’amore che però si manifesta nella Verità con la V maiuscola, perché riferita a Dio. Amore, Speranza e Verità sono anche tre parole che appartengono al nostro quotidiano, qualcosa che tutti sperimentiamo nella vita. La scelta di approfondire questi temi non può essere legata al tentativo di Papa Benedetto XVI di essere un vero pastore che parla al Popolo di Dio indipendentemente dallo status culturale? Cioè, quello che dobbiamo chiederci è: il Papa è riuscito in questo intento? Personalmente non credo.
Perché non ci è riuscito?
Sicuramente non lo hanno aiutato il suo essere tedesco (e qui capiamo che possano entrare in gioco anche dei pregiudizi, del resto a chi può piacere un Papa cresciuto nella Gioventù Hitleriana?), il suo assomigliare a Palpatine di Star Wars e avere quindi un aspetto “cattivo” (posso dirlo?) e il fatto che il suo magistero si sia collocato tra l’amatissimo Giovanni Paolo II e l’altro amatissimo Papa Francesco. Ha dovuto competere con due Papi che sono stati e sono dei super-pastori, che hanno saputo toccare le persone, parlare con loro e come loro, che hanno saputo mostrare al mondo le loro debolezze e, in questo modo, mascherare e mettere in secondo piano i difetti del loro pontificato. Benedetto XVI, invece, con quella faccia da villain, nell’immaginario collettivo, che speranze aveva di fare qualcosa di buono?
Quale crede sia stato il suo lascito più importante in tutti questi anni?
In realtà qualcosa di buono l’ha fatto. L’amatissimo Giovanni Paolo II non gli aveva lasciato in eredità una Chiesa e soprattutto una Curia romana facili da gestire. Possiamo dire che una buona parte del pontificato di Benedetto XVI sia stata dedicata a cercare di sistemare gli equilibri di potere interni alla Chiesa cattolica, per non parlare della questione relativa alla pedofilia. Ricordiamo che gli scandali legati alla questione della pedofilia nella Chiesa sono esplosi durante il pontificato di Giovanni Paolo II che non si è proprio prodigato per risolvere la questione. Benedetto XVI, invece, ha riconosciuto l’esistenza del problema, talvolta ne ha pure parlato apertamente. È stato anche il primo pontefice a incontrare alcune vittime abusate dal clero e il primo, già come Cardinale, a richiedere una riforma del diritto canonico proprio in merito a questo tema. Come Papa ha attuato delle riforme modificando alcune norme del codice di diritto canonico, affinché la questione relativa agli abusi sui minori venisse affrontata più seriamente dalla Chiesa Cattolica. Su questa stessa linea si sta muovendo Papa Francesco.
Cosa non ha funzionato finora nella lotta alla pedofilia interna alla Chiesa Cattolica?
È indubbio che quello che è stato fatto da Benedetto XVI, e quello che sta facendo Papa Francesco, non sono azioni sufficienti a eliminare o anche solo ad attenuare il problema, perché nessuno dei due Papi ha pensato di risolvere il problema alla base, attraverso, per esempio, una seria formazione nell’ambito dell’affettività e della sessualità nei seminari.
La rinuncia all’incarico di Vescovo di Roma, a distanza di dieci anni, che significato ha avuto?
La rinuncia è stato un atto rivoluzionario e spero anche profetico. Prima di lui solo Celestino V si era dimesso, se possiamo usare questo termine, dal ruolo di Papa, e chiunque abbia letto la Divina Commedia sa quanto poco sia stato apprezzato questo gesto ai tempi. C’è da dire che anche la decisione di Benedetto XVI inizialmente ha lasciato tutti un po’ interdetti; nessuno si aspettava che un Papa rinunciasse al suo incarico, soprattutto un Papa come Benedetto XVI, apparentemente così legato alla Tradizione, a una visione di una Chiesa standardizzata. Ma in realtà Benedetto XVI è, come abbiamo detto, un fine teologo, e soprattutto un grande ecclesiologo: probabilmente aveva capito che essere capace di comprendere quando il proprio ministero fosse concluso era perfettamente in linea con il ruolo di Papa.
Ancora non si è fatta luce sui motivi delle dimissioni del 2013. Troppo destabilizzanti?
Ci sono diverse speculazioni. Personalmente preferisco pensare che si sia reso conto di aver fatto tutto quello che poteva fare e che la Chiesa in quel momento aveva bisogno di altro, di qualcosa che lui, per carattere, cultura, indole… non poteva darle, e così si è dimesso. Prima di diventare troppo vecchio, troppo malato, troppo inabile. Prima di diventare preda del desiderio di potere di qualcun altro.
A cosa verrà associato il nome di Ratzinger, per lei?
Per me sarà semplicemente uno dei Papi che hanno governato la Chiesa durante la mia vita. Ironicamente, e da fan di Star Wars, lo assocerò sempre alla sua somiglianza con Palpatine. Seriamente, e da teologa, lo assocerò alla sua teologia, mentre, da fedele, al suo gesto profetico di essersi dimesso.
Benedetto XVI ha saputo interpretare il presente?
Sì e no. Dal punto di vista sociale non è stato molto attento al presente e a tutte quelle questioni che caratterizzano il nostro secolo. Anzi, su questioni relative alla sessualità, alla parità di genere, all’omosessualità è stato sempre abbastanza conservatore. Dal punto di vista della gestione della Chiesa, però, sì: ha riconosciuto che c’erano dei problemi e ci ha lavorato molto. Mi piace pensare che dopo averne sistemato un po’ e aver dato il via a qualche riforma canonica abbia pensato “Bene, qui è tutto abbastanza in ordine, ora ci vuole qualcuno che si occupi della parte sociale; vediamo se Bergoglio è disponibile”. E così si è dimesso, dando la sua definitiva interpretazione di una Chiesa nel presente, cioè una Chiesa che, in fondo, sa cambiare, che non aspetta di morire, ma che continua a esistere perché capace di mutare e adattarsi.