In un’Italia dove i banchieri parlano come tecnocrati, ma sognano da generali, la mossa di Monte dei Paschi di Siena (Mps) è un’offerta pubblica di scambio (ops, in gergo una scalata) su Mediobanca, il cuore aristocratico del capitalismo italiano (Piazzetta Cuccia), una manciata di metri quadrati nel centro di Milano da cui, per decenni, si sono tirati i fili del potere economico.
Cosa succede, in parole povere?
Mps, ancora formalmente legata allo Stato (il Ministero dell’Economia ne detiene una quota significativa), ha annunciato di voler acquisire almeno il 66,7% di Mediobanca, offrendo in cambio azioni proprie agli azionisti di quest’ultima. Non è una scalata ostile - giurano - ma una “operazione di mercato”, come ribadito dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio. Insomma: niente manovre da dietro le quinte, solo capitalismo alla luce del sole. O almeno così pare.
L’ops, acronimo che potrebbe sembrare una sigla da videogioco, è in realtà un meccanismo previsto dalla finanza per acquisire il controllo di una società scambiando azioni invece di offrire denaro contante. Mps spera di convincere un numero sufficiente di azionisti di Mediobanca a cedere i propri titoli per diventare il nuovo padrone di casa nella storica istituzione finanziaria.

Ma chi c’è dietro le quinte davvero?
Qui entra in scena l’altro protagonista: Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore e finanziere di lungo corso, già protagonista in battaglie societarie con Assicurazioni Generali. In pochi mesi è passato da una partecipazione del 7,4% in Mediobanca a sfiorare il 10%. Il tempismo non è casuale: il 16 giugno, l’assemblea dei soci dovrà esprimersi su un’altra ops, quella di Mediobanca su Banca Generali, in un incrocio di offerte che pare una partita a scacchi tra titani.
Lovaglio è tranquillo. Anzi, di più: ottimista. Secondo lui, l’offerta “avrà successo” e Mps riuscirà ad attrarre anche oltre il 20% degli investitori istituzionali, oltre ai grandi soci come Delfin (la holding della famiglia Del Vecchio) e lo stesso Caltagirone. L’obiettivo tecnico? Il 66,7%, una soglia cruciale per poter consolidare Mediobanca nel bilancio del Monte e — dulcis in fundo — utilizzare i dta, cioè i crediti fiscali differiti. Una mossa che, per i non addetti ai lavori, si traduce così: far fruttare vecchie perdite trasformandole in vantaggi fiscali. Una sorta di bonus-malus a tempo differito, con dentro molto più calcolo che fortuna.
Lovaglio insiste sul fatto che l’operazione non ha nulla a che vedere con i “salotti buoni” del capitalismo relazionale all’italiana, quelli dove si fanno e disfano le alleanze sotto il fumo dei sigari reali o immaginari. “Noi vogliamo un sistema bancario che aiuti le imprese a crescere”, afferma, e il messaggio è chiaro: meno potere simbolico, più valore concreto.
Dietro questo linguaggio tecnico, però, si cela un passaggio epocale. Se Mps riuscisse davvero a mettere le mani su Mediobanca, si troverebbe improvvisamente in un ruolo chiave nella finanza italiana, non più come reliquia sopravvissuta a sé stessa, ma come catalizzatore di una nuova stagione. E paradossalmente, la banca più vecchia del mondo – fondata nel 1472 – si troverebbe a disegnare il futuro del settore.

E il Tesoro? Zitto e buono
Lovaglio tiene a precisare che il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), pur essendo azionista di peso in Mps, “non ha mai interferito”. Nessun complotto di Stato, dunque, almeno sulla carta. Ma il silenzio del Mef su un’operazione di questa portata è esso stesso un messaggio: lasciare fare. Come a dire: se il Monte può finalmente diventare un attore del gioco, e non un paziente in perenne convalescenza, allora ben venga il rischio.
L’ops del Monte su Mediobanca è più che una questione tecnica: è un braccio di ferro simbolico, un test sulla reale capacità del sistema bancario italiano di rinnovarsi senza passare dalle solite stanze. Se avrà successo, segnerà il tramonto di una certa idea di finanza chiusa e autoreferenziale. Se fallirà, sarà un altro atto del dramma infinito del “bancarottismo di Stato”. Nel frattempo, Caltagirone osserva. E accumula. Ma la partita, stavolta, è tutta sul tavolo.

