Premessa igienico-argomentativa: al netto dell’eventuale simpatia umana o solidarietà politica, di personaggi come Ilaria Salis o di Chico Forti a me e voi non deve interessare nulla. Non in quanto Salis Ilaria e Forti Chico, due fra migliaia di individui coinvolti in traversie giudiziarie simili. A farci occupare di queste due persone, è solo e soltanto ciò che riguarda anche noi in qualità di cittadini. Ovvero in primo luogo, per entrambi i casi, il destino carcerario di due nostri connazionali all’estero. In secondo luogo, il fatto che l’una, accusata di lesioni in Ungheria, sia stata candidata ed eletta al Parlamento europeo, e che l’altro, condannato in via definitiva per omicidio, sia stato accolto “come un re” una volta trasferito dagli Usa nelle patrie galere, e che sul suo conto possa anche solo circolare l’ipotesi di un futuro alla Salis, trovando chi lo candidi per finire presumibilmente eletto al Parlamento italiano. Purtroppo, invece, ne hanno fatto delle icone. “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, scriveva Bertold Brecht. Era una sciocchezza d’autore. Di eroi, c’è sempre stato bisogno e ce ne sarà sempre. Purché eroi. Meritevoli cioè di ammirazione per gesta fuori dall’ordinario e particolarmente nobili. Che cosa ci sia di straordinario o di esemplare nelle azioni compiute dalla Salis o da Forti, non si sa.
La Salis nel suo casellario giudiziario ha due condanne, per invasione di pubblici edifici (case popolari al Corvetto a Milano) e resistenza a pubblico ufficiale (per impedire lo sgombero di alloggi al Corvetto). Dal processo con l’accusa di aver partecipato al pestaggio di due neonazisti a Budapest nel febbraio 2023 è stata catapultata all’immunità dello scranno da deputata europea, ottenuto con 176 mila preferenze nelle liste di Alleanza Verdi e Sinistra Italiana. A sua difesa, si sostiene che sono tutte vicende legate al suo impegno di attivista da centro sociale per il diritto all’abitazione, che in barba alla nostra Carta non è garantito a tutti come dovrebbe essere. Le motivazioni della sua lotta oltre i limiti della legalità, con il rischio di scontare 24 anni di detenzione nel Paese dell’illiberale Viktor Orban, basterebbero per elevarla a modello. A parte che di attivisti e associazioni che si battono per dare un domicilio decente a chi ne abbia diritto – sempre che se ne abbia il diritto - ne esistono in gran numero, in Italia, qui la domanda è: è sufficiente per fare della Salis un’eroina, essere stata trattata dalla giustizia ungherese secondo standard per noi inaccettabili correndo il pericolo di una pena che, per il codice in Italia, sarebbe stata abnorme? Cosa c’era di mirabile nel recarsi nella capitale ungherese in occasione di una celebrazione storica contro l’Armata Rossa e, stando all’accusa, mettersi a picchiare? Certo, cosa da tutti non è. Ma allora, con questo metro, dovremmo addirittura beatificare gli spaccavetrine stranieri che calarono in Italia nel G8 di Genova del 2001: anche loro sapevano di poter rimediare la gattabuia, secondo le nostre leggi (il che, capiamoci bene, non giustifica l’ignobile e barbarica mattanza di cui si resero colpevoli agenti e funzionari della polizia italiana alla Diaz e Bolzaneto). L’attivismo illegalistico e violento ha il solo pregio che chi vi fa ricorso almeno mette sul piatto la propria libertà personale e incolumità fisica. Ma resta illegalistico e violento, il che, se può essere discutibile sul piano morale e politico, resta comunque punibile su quello giudiziario. E tutti i casi, privo di una unicità da epopea.
24 anni se li è invece già fatti dietro le sbarre Enrico “Chico” Forti, il trentino vincitore del Telemike nel 1990, ex campione di surf e vela, condannato all’ergastolo in Florida per l’omicidio premeditato di un uomo, l’australiano Dale Pike, nel 1998. L’interessamento per fargli scontare il resto della pena in madrepatria - ovvero, in caso di buona condotta, concedergli la semi-libertà – si era già messo in moto nei governi precedenti, ma è con l’attuale governo di Giorgia Meloni che l’esito è stato raggiunto e l’uomo è stato oggetto di una mezza santificazione che ha pochi precedenti. Salutato al suo arrivo direttamente dalla premier neanche fosse un Capo di Stato, intervistato sulla tv pubblica dal solito Bruno Vespa, circondato da una canea innocentista come se il verdetto del tribunale americano (e la Corte d’Appello di Trento che lo ha confermato) non contassero niente, Forti è stato fatto passare come vittima. La notizia di questi giorni, secondo cui Forti avrebbe chiesto a un altro detenuto nel carcere a Verona con presunti legami con la ‘ndrangheta di “mettere a tacere” Marco Travaglio, Selvaggia Lucarelli e un terzo di cui non si ricordava, se vera sarebbe di una gravità tale da far scordare, al recluso eccellente, ogni immediata prospettiva di migliorare la propria condizione. L’avvocato di Forti nega decisamente. Ma anche qua, l’interrogativo è un altro: quali inimitabili caratteristiche hanno reso il signor Enrico Forti, ergastolano per un assassinio comune, degno di essere benedetto da cotanta aureola di gloria mediatica e istituzionale? La risposta la sappiamo: il dubbio che avrebbe subìto una condanna ingiusta. E infatti la sua consacrazione a questo serve, al centrodestra nostrano: a ribattere il tasto della fallibilità dei giudici (in quanto tali, perfino americani), sfruttando nello specifico l’italianità del reo. Ma gli altri 2058 italiani detenuti in terra straniera (fonte: sindacato polizia penitenziaria)? Quelli cosa sono, compatrioti di serie B, figli di una Meloni minore?
Da qualsiasi angolo si guardino le vicende Salis e Forti, la constatazione ovvia è una: le fazioni politiche strumentalizzano i casi giudiziari ciascuna per il proprio tornaconto di parte. La considerazione già meno ovvia, invece, è che il nostro immaginario è ridotto talmente male che si innalzano a esempi un’attivista come tanti altri attivisti che, se non fosse stata arrestata e portata davanti a tribunale dell’Ungheria di Orban, non sarebbe mai finita a Strasburgo, e un uomo giudicato omicida negli Stati Uniti che, se dagli Stati Uniti non avesse ottenuto proprio ora, con la destra anti-toghe al potere, l’agognato trasferimento in Italia, sarebbe stato liquidato e dimenticato dopo giusto due servizi in cronaca. E aggiungiamo: proprio perché una qualunque Salis e un qualunque Forti vengono eroicizzati, abbiamo una disperata necessità di autentici eroi. E mica solo noi italiani, si badi. Solo che noi italiani mettiamo sempre un carico di parodia, ai deficit di etica universali. Dopotutto, siamo il Paese che rinomina l’aeroporto internazionale di Malpensa in omaggio a un ex capo del governo non solo frodatore fiscale, ma soprattutto ballista matricolato, macchietta ambulante, truffatore di minorenni (cercatevi le origini della villa ad Arcore, ovvero il caso di Anna Maria Casati Stampa) e tra i maggiori corruttori dell’ethos pubblico in un’Italia che già ne aveva poco. Aveva anche delle qualità, senz’altro. Anche la Salis e Forti ne avranno. Basta non dimenticarsi dei difetti.