L’attesa per il tanto agognato rientro in patria di Enrico Forti, detto “Chico”, il cittadino italiano, oggi sassantacinquenne, condannato all’ergastolo nel 2000 per l’omicidio di Dale Pike a Miami, è finalmente finita. Lo aveva annunciato il 1° marzo 2024 la premier Giorgia Meloni e, stavolta, con quattro anni di ritardo dall’annuncio dell’allora ministro degli Esteri Di Maio (dicembre 2020), è successo davvero: il 18 maggio 2024 Enrico Forti ha rimesso piede in Italia e, dopo una prima notte trascorsa nel carcere romano di Rebibbia, è stato trasferito nel carcere di Verona per scontare la pena residua. Forti, che non si è mai dichiarato colpevole (ed è bene ribadirlo anche in questa sede), ha potuto ottenere il trasferimento perché si è formalmente impegnato a non impugnare la sentenza di condanna. Le sue prime parole testimoniano tutta la sofferenza e l’angoscia di un uomo che non ha mai smesso di sperare di varcare le soglie del carcere di massima sicurezza del carcere americano in cui la sua vita si è fermata ventiquattro anni fa: “Ho sognato ogni giorno questo momento. È la ragione per cui sono riuscito a tenere duro. Rientrare in Italia, anche qui dentro, per me è un passo positivo”. Perché se è vero che non è tornato in Italia da uomo libero, è altrettanto vero che la sua vita è comunque decisamente cambiata, in meglio. Ed è lo stesso Chico a riferirlo: “Dal personale, la direttrice, le guardie, i vestiti che indosso, italiani. E per la prima volta non ho una matricola addosso e non ho le manette, è un’altra atmosfera”. Intervistato dal Tg1 a ridosso dell’arrivo in Italia, accolto dalla premier Meloni, Forti ci tiene a chiarire un punto cruciale nella sua vicenda umana e giudiziaria: “L’unico motivo per cui ho accettato ora l’estradizione è che agli inizi dovevo dichiararmi colpevole, e non l’avrei mai fatto, io mi dichiaro innocente. Sono positivo, sono convinto che il futuro sia come io auspico”. Forti continua a dichiararsi innocente e ha tutte le ragioni per farlo nonostante una condanna all’ergastolo che arriva dopo un’inchiesta che possiamo definire, assai generosamente, lacunosa, incompleta e controversa, come avrà modo di verificare il lettore attraverso le pagine di quest’opera e dei vari documenti che vengono messi a sua disposizione.
Questa opera è l’unica che tratta il caso Forti dopo aver avuto accesso completo a tutti (tutti!) i documenti dell’inchiesta e del processo e dopo avere analizzato il monumentale fascicolo in maniera approfondita e chirurgica. Il libro trae spunto dalla consulenza tecnica che ho depositato nel 2012 (che venne sottoscritto anche dal giudice Ferdinando Imposimato, che all’epoca era il legale italiano di Forti) al governo italiano in cui ho affrontato tutti i punti centrali della vicenda, i suoi molteplici lati oscuri e le molteplici carenze investigative prima, e processuali poi. Questa è una storia che va studiata approfonditamente per poter fare valutazioni sensate e fondate scientificamente. In questi anni ho letto e visto numerosi contributi sul caso che contenevano errori macroscopici, segno evidente che chi si è cimentato nel valutare il caso l’ha fatto senza la doverosa completezza di informazioni. E. mi si consenta, spesso anche senza un minimo di competenza in ambito scientifico-forense e senza alcuna esperienza sul campo. E questa non è una professione che puoi pensare di svolgere solo leggendo qualche libro qua e là o mettendo insieme informazioni raccogliticce e incomplete pur di strappare qualche like. Dopo 25 anni di esperienza in ambito investigativo e criminologico in cui mi sono occupata, in qualità di consulente tecnico, dei più importanti casi giudiziari italiani, posso affermare senza tema di smentita che chi parla di vicende così complicate senza averle approfondite attraverso gli atti dell’inchiesta, nella migliore delle ipotesi, mostra di avere poche idee e molto (molto) confuse. E il caso Forti non fa eccezione. Purtroppo. Ci sono stati persino passaggi davvero surreali in questi anni… mi hanno persino segnalato fantomatiche raccolte fondi (che hanno avuto uno scarsissimo successo, va detto) lanciate da profili piuttosto “opachi”, assai probabilmente falsi, per ottenere il denaro necessario per chiedere copia degli atti alla Corte di Miami. Ma ora chi è interessato davvero a conoscere il caso, atti alla mano, con precisione e completezza argomentativa, ha l’occasione per farlo attraverso le pagine di quest’opera che rappresenta un viaggio circostanziato e sconcertante all’interno di un’inchiesta controversa, che ha portato a una condanna all’ergastolo per Chico Forti ben “al di qua” di ogni ragionevole dubbio… Enrico “Chico” Forti viene accusato di frode e circonvenzione di incapace in relazione all’acquisto dell’Hotel Pike’s e di concorso in omicidio per la morte di Dale Pike. Nell’accusa di frode e circonvenzione di incapace, quindi, si nasconderebbe il movente del delitto. In effetti la compravendita dell’Hotel Pike’s era veramente una truffa, ma ai danni di Chico Forti però. E infatti, in relazione alla frode e alla circonvenzione di incapace, l’italiano viene assolto con formula piena. Venuto meno il movente, di conseguenza, sarebbe dovuta venir meno anche l’accusa di omicidio, ma così non è stato. Il 15 giugno 2000 Chico Forti viene condannato all’ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata. Forti ha sempre sostenuto fermamente la sua innocenza in questi lunghi anni di detenzione. Sostanzialmente Forti ora ha aderito alla Convenzione di Strasburgo che gli consente di usufruire della possibilità di essere trasferito in un carcere italiano per finire di scontare la pena. Una volta in Italia, la strada possibile per tornare presto libero è sostanzialmente solo una, ossia ricevere la grazia dal Presidente della Repubblica perché il caso non potrà mai più essere riaperto, né in America né in Italia.
Non possiamo quindi più parlare di revisione del processo perché, avvalendosi dei benefici della Convenzione di Strasburgo, tale possibilità è stata persa per sempre. Ed è un vero peccato perché a mio avviso, atti alla mano, la possibilità di revisione c’era eccome. L’unico report ufficiale consegnato al ministro degli Esteri nel 2012 era a mia firma, con la collaborazione dell’avvocato Ferdinando Imposimato, che era il legale italiano di Forti. Gli anni intanto sono passati, la richiesta di revisione del processo non è mai stata presentata dal suo legale americano e quella del trasferimento rimaneva l’unica possibilità per Forti di fare rientro in Italia. Ora vedremo che cosa accadrà. Le nostre istituzioni hanno avuto modo di valutare il caso attraverso il mio report e sono convinta che faranno tutto il possibile per gestire il caso nella maniera migliore ora che Forti è rientrato su suolo italiano. Le prove che lo “inchiodano” in realtà sono decisamente fragili. Cominciamo con l’arma del delitto mai ritrovata, una pistola calibro 22, compatibile con un’arma che Forti si è esclusivamente limitato a pagare ma che è sempre stata solo nella disponibilità di Thomas Knott, il tedesco pluripregiudicato per una serie di reati in Germania, arrivato su suolo americano illegalmente, che aveva conosciuto Forti nel settembre del 1997. Proprio Knott, sulla scorta della documentazione allegata agli atti, l’aveva voluta, l’aveva scelta e solo all’ultimo momento, non avendo con sé il denaro sufficiente per l’acquisto, aveva chiesto a Forti di pagarla. Lo stesso commesso del negozio testimonierà di averla consegnata a Knott insieme al relativo munizionamento. E a casa di Knott vennero trovati i documenti della calibro .22 a lui intestati durante la perquisizione domiciliare effettuata dalla Polizia di Miami. Insomma, Forti quell’arma da fuoco non l’ha mai nemmeno presa in mano. Un’altra prova considerata schiacciante è la scheda telefonica trovata accanto al cadavere, dalla quale risultano alcune chiamate fatte da Dale Pike (la vittima) a Chico Forti, tutte a tempo zero di conversazione. Tuttavia, a ben vedere, le chiamate sono state fatte tra le 17.13 e le 17.18, un arco di tempo in cui, con ogni probabilità, Dale non era ancora stato sdoganato, dal momento che il suo aereo aveva avuto circa un’ora ritardo. Quel tipo di scheda telefonica, però, viene venduta solo fuori dalla dogana. Inoltre, Dale e Chico per trovarsi avevano utilizzato l’altoparlante dell’aeroporto fino alle ore 18, non si comprende quindi perché dopo le 17.18 Pike, pur disponendo della scheda telefonica, non l’abbia più usata. Facile supporre, di conseguenza, che quella scheda telefonica sia stata messa ad hoc accanto al cadavere da qualcuno che sapeva dell’appuntamento in aeroporto tra Dale e Chico. E c’è molto altro da dire. Nel mio testo Il grande abbaglio, uscito nel 2013 e ora ripubblicato da Mursia con tutti i documenti del report utilizzati per redigerlo, ho affrontato tutti i numerosissimi punti critici dell’inchiesta arrivando a una conclusione diametralmente opposta a quella a cui giunse la giuria della Corte di Miami ventiquattro anni fa.