“Benvenuto assassino”, titolava il Fatto Quotidiano a proposito del ritorno di Chico Forti nel nostro Paese, accolto dalla premier Giorgia Meloni in persona. Un titolo forte, di cui noi di MOW abbiamo già parlato. Oggi, sulle pagine de Il Giornale, è arrivato il commento da parte di un altro giornalista che nella sua carriera di titoli provocatori ne ha fatti eccome. Vittorio Feltri, infatti, ha scritto “Almeno si rispetti la madre di Chico Forti”, in risposta al pezzo pubblicato sul quotidiano di Marco Travaglio e alle critiche arrivate da sinistra. Il fondatore di Libero, infatti, si è soffermato su quella che, a suo dire, sarebbe un'ipocrisia da parte di chi cerca solamente di attaccare la Presidente del Consiglio: “Insomma, mi domando: qualora Salis venisse condannata in Ungheria per i reati per i quali si trova in carcere in attesa di giudizio, giornali ed esponenti politici rossi la chiamerebbero ‘criminale’, ‘picchiatrice’, ‘violenta’, ‘delinquente’ o parlerebbero di ingiustizia, persecuzione, ingiusto e inaccettabile martirio?”. Non è in questione la necessità di creare clamore, come aveva chiarito in un precendente articolo, intitolato "Quel titolo come un pugno", ma occorre che il titolo susciti “un sorriso o una risata, non di certo esso deve fare male”. Il bersaglio, in questo caso lo stesso Chico Forti, rischia di rimanere ferito. Non solo lui, ma anche “chiunque si trovi nella sua situazione”, che oltre all’ingiustizia subita in tribunale patirebbe anche “il giudizio collettivo e dall'odio di coloro che non sanno o non comprendono che in galera ci finiscono persino quelli che colpe non hanno”. A quel punto, scrive Feltri, servirebbe porre una domanda a proposito della cognizione della colpevolezza o dell’innocenza di Forti: “Opportuna osservazione. Non lo so se egli sia innocente nella misura in cui chi ha vergato quel titolo insultante non sa se Chico Forti sia effettivamente reo di omicidio. Di fatto tante anomalie e stranezze contiene questa storia”. Occorrerebbe, quindi, andare oltre. Leggiamo ancora nel pezzo del 20 maggio: “Vorrei fare presente quello che, a mio avviso, un dettaglio irrilevante non è”, prosegue Feltri, “questo signore avrebbe potuto essere estradato 25 anni fa, tornare in Italia, avvicinarsi ai suoi familiari, ma si è rifiutato di dichiararsi colpevole di un assassinio che con fermezza afferma di non avere compiuto”. Un’innocenza professata non solo per convinzione, ma anche per principio e onore, secondo il giornalista.
Dopo questa premessa, Vittorio Feltri si sofferma su quelle che sarebbero le vere ragioni del titolo del Fatto: “Io credo che Chico sia stato massacrato tanto duramente al suo rientro in patria soltanto perché si voleva colpire colei che ha reso il suo ritorno possibile, ossia Giorgia Meloni”. Il fine ultimo sarebbe politico, dunque, che si riflette anche sulle critiche rivolte alla premier per la sua presenza all’arrivo di Forti: “Criticare Meloni, inoltre, perché ha accolto di persona Forti è ridicolo. L'estradizione è un successo di questo esecutivo, in particolare del primo ministro. Dunque, non vedo perché ella non avrebbe dovuto farlo, ossia accogliere Chico”. A questo si aggiunge il fatto che, nel caso che al governo ci fossero stati altri, l’accoglienza sarebbe stata la stessa: “Lo avrebbe fatto pure l'ex ministro Luigi Di Maio se solo fosse stato in grado di riportare a casa Forti. I suoi vani tentativi furono celebrati dal Fatto Quotidiano, che allora, e parliamo solo di qualche anno fa, non definiva di certo Chico ‘assassino’’, sottolineava ancora Feltri nel precedente articolo. Nella chiusura del pezzo di oggi, invece, si rivolge al padre di Ilaria, Roberto Salis: “Al padre di Salis che attacca il governo per questioni politiche, ossia perché la figlia è in piena campagna elettorale, preferisco di gran lunga la composta e canuta mamma di Chico, la quale non ha fatto vittimismo, non se l'è presa con il mondo intero, non ha puntato alla carriera politica per i parenti, non ha fatto campagna elettorale, ma ha atteso con pazienza di riabbracciare il figlio. E ha atteso non per qualche settimana. Nemmeno per qualche mese. Ma per venticinque lunghissimi anni”. Infine, l’appello: “Lasciamo in pace questa famiglia”.