Mentre la linea diretta con Mario Draghi comincia ad avere qualche disturbo sul Pnrr (e soprattutto sull’Europa), la leader di Fratelli d’Italia sembra essersi stancata delle trattative sul totoministri che rischia di diventare sempre più un toto-Salvini. E, come racconta il Corriere della Sera, Giorgia Meloni sarebbe pronta a fare “un governo da sola” portando una lista di ministri in Parlamento. Chi è d’accordo lo vota e chi non è d’accordo è fuori dal governo. E cco perché è ancora più importante conoscere il programma elettorale di Fdi che non è uno, ma due. C’è la versione originale del solo partito di Giorgia Meloni (“Pronti a risollevare l’Italia”), e c’è la versione - come vedremo annacquata - che va sotto la dicitura di “Accordo quadro per un governo di centrodestra”, depositato al Ministero degli Interni. Come tutte le piattaforme partitiche, leggendolo si prova il non gradevolissimo effetto “libro dei sogni”: impegni generici, promesse roboanti, annunci-slogan. Ma del resto, così fan tutti. Già Max Weber, che se ne intendeva, constatava più di un secolo fa che i lunghi elenchi di proposte in campagna elettorale hanno un “valore fraseologico”. Rimane il fatto che carta canta e scripta manent. Andiamo quindi ad analizzare un po’ il grado di fattibilità, o almeno di credibilità, dei desiderata del primo partito italiano. Per farlo, useremo come traccia di riferimento il programma in comune con Lega, Forza Italia e Noi Moderati, evidenziando, quando sia il caso, le parti mancanti rispetto a quello esclusivamente meloniano.
Energia: moratoria su bollette, gas italiano, nucleare
Difficoltà: sul caro-bollette trovare risorse nelle casse dello Stato senza generare debito (scostamento di bilancio), sul nucleare vincere la diffidenza popolare. Fattibilità: la variabile decisiva sul gas rimanda all’orientamento di Bruxelles, che solo ora si dice pronta a discutere un tetto al prezzo
La “sfida” dell’autarchia: vasto programma. Contro l’aumento dei costi dell’energia si fa appello a un maggior utilizzo dei fondi europei, che in generale sono chiamati a un uso più efficiente (ma si sorvola sul fatto che sono le Regioni a indire i bandi). Sul caro-bollette la Meloni ha detto e ripetuto che “la priorità è il caro-bollette, è fermare la speculazione sul gas”: allo studio ci sarebbe la moratoria per 6 mesi per famiglie e imprese sulle bollette non pagate, senza distacchi di luce e gas. Il problema sarà il solito: reperire i finanziamenti senza dover ricorrere allo scostamento di bilancio, cioè a nuovo debito pubblico. Molto dipenderà dall’ammorbidirsi dell’orientamento di Bruxelles, che solo negli ultimi giorni, per bocca della presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, si è detta disponibile a “discutere” un tetto al prezzo del gas. Per quanto riguarda l’autosufficienza vera e propria, si promette chiaramente un “piano” che includa la riattivazione dei pozzi italiani di gas naturale. Si caldeggia un tetto europeo al prezzo del gas (già bello che bypassato in questi giorni dalla Germania, che da brava potenza-guida ha proceduto per i fatti suoi). Dulcis in fundo, un’apertura a valutare “anche” il ricorso al nucleare, naturalmente “pulito e sicuro” (che la Germania, sempre per fare un confronto, ha invece via via dismesso, anche se le ultime due centrali esistenti resteranno in standby fino alla prossima primavera). Nessuna dichiarazione sul nucleare, tuttavia, si registra nelle ultime due settimane, forse perché il tema solleva immediatamente diffidenza in un’opinione pubblica divisa sui pericoli inerenti all’atomo. Nel dettaglio, la maggioranza di centrodestra pensa a una transizione alle fonti rinnovabili che sia “sostenibile”, salvaguardando cioè il sistema produttivo “da brusche conversioni, in particolare l’automotive” (sottolineatura esclusiva di FdI). In realtà, a parte gli ecologisti più forsennati, nessuno con un minimo di realismo immagina di passare dal petrolio e dal gas (importato finora al 40% dalla Russia) in quattro e quattr’otto. Significativo però che i meloniani abbiano particolarmente a cuore i tempi: vuol dire che faranno il possibile per gradualizzare e ammorbidire il trend globale.
Lavoro ed economia: riformare reddito di cittadinanza, meno tasse per chi assume, prepensionamenti
Difficoltà: decidere i criteri per i beneficiari del reddito grillino, finanziare deduzioni fiscali e i prepensionamenti. Fattibilità: ampia convergenza nel cambiare il reddito grazie anche agli appoggi esterni (Renzi, Calenda), basse invece le possibilità sulle pensioni per i paletti Inps
Per Meloni&C la manutenzione del welfare parte da un presupposto: abolire (ma nelle slides condivise con Salvini e Berlusconi si legge un più prudente “sostituire”) il reddito di cittadinanza. “Il reddito di cittadinanza è un’operazione fallita che ha innestato la cultura del non lavoro”, ha detto Lollobrigida il 3 ottobre a Quarta Repubblica. Al suo posto si prefigurano “misure più efficaci di inclusione sociale” e di “inserimento nel mondo del lavoro”. È evidente a chiunque che l’eliminazione semplice e diretta del sussidio targato M5S è materialmente impossibile, nel breve periodo. Significherebbe togliere dall’oggi al domani, al netto di lavoro nero e truffe, l’unica fonte di sussistenza per 2,49 milioni di persone (dati Inps fine luglio 2022), in gran parte concentrate al Sud. In ogni caso il partito dominus del centrodestra puntualizza che un aiuto analogo va dato solo ai “difficilmente occupabili”, ai “fragili” e agli “impossibilitati a lavorare”. Praticamente, un assegno di disoccupazione e/o per invalidi. Si desume che verrà sbaraccata la macchina dei navigator, i facilitatori dei Centri per l’Impiego che hanno potuto far poco, visti i chiari di luna di questi anni, per ricollocare in posti di lavoro i percettori del reddito. Secondo la Corte dei Conti, fino allo scorso marzo i navigator erano 1870, dopo che un terzo di loro si sono dimessi negli ultimi due anni. Neanche per loro il futuro è chiaro. Politicamente, però, data l’ostilità generale verso il reddito grillino (M5S a parte, s’intende), la sua riforma non dovrebbe imbattersi in grossi ostacoli parlamentari, potendo trovare appoggi anche esterni alla maggioranza (in Italia Viva-Azione, ad esempio). Significativo l’interesse per i pensionati con parenti a carico (i quali abbiano meno di 36 anni): per i nonni che mantengono figli e nipoti si vorrebbero delle agevolazioni fiscali, e più in generale una rivalutazione per pensioni minime, sociali e d’invalidità, così da far fronte alla svalutazione dell’euro. Meglio incentivare la “flessibilità in uscita” per “favorire il ricambio generazionale”. Ma come ha osservato il settimanale Panorama, non una testata antipatizzante, “l’Inps dovrà affrontare nel 2023 l’aumento della spesa pensionistica dovuto all’adeguamento all’inflazione”. Improbabile, dunque, avere le risorse per i prepensionamenti. Quanto all’economia e alle imprese, si mettono in fila il taglio del cuneo fiscale (la differenza fra quanto versa il datore di lavoro e quanto percepisce di netto in busta paga il lavoratore ridurre: secondo la Meloni, di 5 punti fino a 35 mila euro, per un costo di 16 miliardi), la riduzione dell’Iva sui beni di prima necessità e sui prodotti energetici, e la conversione in misura strutturale, e non più occasionale, della decontribuzione Sud per chi apre un’azienda nel Meridione. Tutti ottimi intendimenti, ma la parte ragionieristica, tot entrate tot uscite, è nella mente degli estensori (o di Dio). Sui bonus edilizi non si va oltre una vaga “salvaguardia delle situazioni in essere”. Più caratteristico, cioè più di destra, l’innalzamento del limite nell’uso del denaro contante. L’unico provvedimento “immediato” che si preannuncia è una “super deduzione” del costo del lavoro per imprese che assumono. Staremo a vedere, come si dice.
Riforme: presidenzialismo (del Capo dello Stato o del premier?), autonomie, nodo giustizia
Difficoltà: iter lungo per modificare la Costituzione, idee diverse fra FdI e Lega sulla priorità fra presidenzialismo e autonomia. Fattibilità: incerta, anche contando sulla disponibilità a collaborare dell’opposizione di centro
Apertura trionfale con il presidenzialismo, ossia l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Da quel che la Meloni ha detto in campagna elettorale, è all’esempio francese, e non americano, che lei guarda: un semi-presidenzialismo, in realtà, nel quale cioè i cittadini eleggono sì il Capo dello Stato, ma questi deve coabitare con un primo ministro che può avere una maggioranza parlamentare di colore politico diverso, a differenza dell’omologo statunitense che accentra su di sé il potere esecutivo. Il responsabile riforme del partito, Francesco Lollobrigida, ha tenuto di fatto aperta la porta anche all’ipotesi di elezione popolare del Presidente del Consiglio, caldeggiata da Matteo Renzi. In qualunque caso, bisogna seguire la procedura contenuta nell’articolo 138 della Costituzione: la legge in questione deve essere approvata da Camera e Senato in due deliberazioni, con un intervallo minimo di tre mesi l’una dall’altra. Se 500 mila elettori, o un quinto dei membri di una della due Camere, o 5 Consigli regionali lo richiedono, si deve andare a referendum popolare, a meno che la seconda deliberazione non sia passata con i voti di due terzi sia di deputati che di senatori. A occhio, con i tempi a cui ci ha abituati la politica, è plausibile pensare a un periodo, fra incubazione, lavorazione e votazioni varie in parlamento ed eventualmente in via referendaria, da non meno di uno a, più facilmente, due anni. Il presidenzialismo è in “competizione” occulta, infatti, con l’autonomia regionale, bandiera storica della Lega. Nel programmone unificato è messa al secondo posto, ammonendo di ultimare il percorso avviato dalle Regioni che hanno fatto domanda (come il Veneto e la Lombardia, che nel 2017 sul tema hanno portato i cittadini a referendum consultivo). Ma la precedenza all’uno o all’altra è il nodo, tutto politico, che differenzia i due principali alleati di centrodestra. E questo potrebbe complicare il passare ai fatti. Si prosegue sulla giustizia, argomento caro specialmente a Forza Italia (ma anche alla Lega), con la separazione delle carriere dei magistrati (la corporazione delle toghe alzerà le barricate sempre, a oltranza), la “ragionevole durata” dei processi (ma come? Fratelli d’Italia aveva votato contro la riforma Cartabia, mentre Lega e Fi a favore), lo “stop ai processi mediatici” (anche qui: in che modo? con una nuova legge sulla stampa?), per finire con la semplificazione del Codice Appalti (pure qui, non è dato sapere come: semplificare può voler dire allentare le maglie in cui si infiltrano corruttele e criminalità).
Politica estera: fedeltà alla Nato
Difficoltà: le conseguenze economiche e sociali della guerra in Ucraina peseranno, riaprendo divisioni (per esempio, sulle sanzioni). Fattibilità: la linea atlantista non è in discussione
Al primo punto, dopo un prevedibile richiamo all’“interesse della Patria”, si corre a precisare che si rispetteranno le alleanze, cioè in pratica l’Alleanza Atlantica, ivi compreso l’onorare le spese militari (che sono anzitutto determinate da quanto gli Stati Uniti, nazione egemone, decidono di versare per il bilancio comune). La Meloni, da premier in pectore, il 27 settembre su Twitter ha giurato “leale sostegno alla causa” dell’Ucraina. In totale continuità con Draghi e per la verità con tutti i precedenti governi, l’Italia resterà allineatissima alla politica Nato. Ovviamente, le conseguenze economiche e sociali del conflitto Occidente-Russia peseranno sulla tenuta della politica atlantista di fondo: non è un mistero che la Lega, ad esempio, sia critica sulle sanzioni contro Mosca. Non si fa menzione del vecchio pallino di destra dell’esercito europeo, anche se nella versione dei soli Fratelli d’Italia si propone una “colonna europea della Nato”, senza ulteriori specifiche. Si recupera un tormentone classico, l’Europa “più politica e meno burocratica”, e finalmente si arriva al dunque: la richiesta di revisione del Patto di Stabilità, ovvero delle regole sul debito che cingono d’assedio Stato e amministrazioni locali. Una revisione in realtà già effettuata in tempo di pandemia, per ovvie ragioni emergenziali. Interessante, se fosse articolata, la “formula Mattei per l’Africa”, un non meglio precisato “modello italiano di sviluppo” da esportare nel continente nero. Si conclude con un’ancor più classica “difesa delle radici classiche e giudaico-cristiane”, tutte da capire in concreto come attuare.
Infrastrutture: Tav in tutta Italia e ponte sullo stretto
Difficoltà: tutta da progettare un’alta velocità nell’intero Paese, sostenibilità del ponte a Messina. Fattibilità: dipende dal negoziato con l’Ue sul Pnrr
Il punto saliente è l’urgenza di revisione del Pnrr, il piano di ripresa dell’economia dei Paesi Ue, attraverso “un accordo con la Commissione”. Per essere realisti, l’accordo si deve trovare con le potenze dominanti dell’Unione (Germania su tutti) e con i Paesi più severi e di braccino più corto sui conti, Olanda e Finlandia in primis. Importante è l’impegno a estendere la linea dell’alta velocità ferroviaria in tutto il territorio nazionale (ma con quali progetti e distanze, e con quale spesa? fino in Sicilia?) e a costruire il ponte sullo stretto di Messina, eterna promessa che la politica italiana ogni tanto riciccia fuori nonostante il nodo della sostenibilità economica. Si chiude con un’ovvia banda larga per digitalizzare tutta Italia, sempre senza spiegare priorità e costi.
Fisco: flat tax, basta Irap e trasparenza bancaria
Difficoltà: la flat tax non dà certezze sulla copertura finanziaria e ha nemici non solo a sinistra. Fattibilità: molto incerta, anche se resta una bandiera dell’intero centrodestra
A parte l’ovvietà di una pressione fiscale da ridurre (di quanto? non si sa) e di un secco no a qualunque ipotesi di tassa patrimoniale, al centro è la flat tax per partite Iva fino a 100 mila euro di fatturato. “Prevediamo una flat tax sul reddito incrementale e di portare a 100 mila la flat tax per gli autonomi dalle attuali 65 mila. Questo è quello che c’è scritto nel programma, non c’è scritto di più e sicuramente con la prima legge di bilancio non ci sarà di più”: firmato Giovan Battista Fazzolari, responsabile programma di Fratelli d’Italia. Difficile calcolarne gli effetti (più facile con la flat tax secca, che vorrebbe Forza Italia: costerebbe 50 miliardi, teoricamente da compensare con l’emersione del nero). Confindustria si è detta contraria. Nel programma di Fratelli d’Italia, e non in quello in comune con gli alleati, sono presenti anche l’abolizione graduale dell’Irap (l’imposta regionale sulle imprese), la lotta all’evasione a cominciare da banche, grandi aziende e grandi frodi sull’Iva, e la pubblicazione della lista di grandi insolventi degli istituti bancari salvati dallo Stato (come il Montepaschi o la Banca Popolare di Bari). Come mai sono stati eliminati dalle istanze di coalizione?
Famiglia: più figli, asili gratis, legge aborto da implementare
Difficoltà: spesa enorme per gli obbiettivi sulla natalità, contrarietà degli abortisti sulla “piena applicazione” in senso anti-aborto. Fattibilità: bassissima, per i pochi spazi di manovra in bilancio
Da notare subito che Fratelli d’Italia, d’intesa con leghisti e berlusconiani, vuole aumentare la spesa pubblica su questo fronte, allineandola alla media europea. Secondo uno studio di LaVoce.info, lo Stato italiano spende 20 miliardi annui (dati 2019), l’1,1 per cento del Pil. In Europa è il 2,3%. Più del doppio. Solo Cipro e Malta erogano meno di noi. In pratica, si propone di mettere a bilancio quasi 42 miliardi di euro. L’equivalente della prossima manovra finanziaria. A cui, per soprammercato, ne vanno aggiunti svariati per ottemperare alle altre esigenze programmatiche. Come per esempio gli asili gratis, il taglio dell’Iva sui prodotti per l’infanzia, l’introduzione progressiva del quoziente familiare (più la famiglia è numerosa, meno imposte dirette si pagano), agevolazioni fiscali per giovani coppie alle prese con il mutuo. Una lista della spesa sicuramente imponente, e di difficile quantificazione. Al di là dell’aspetto contabile, è assolutamente degno di nota che nel programma comune non sia fatto cenno, come invece è per i soli Fratelli d’Italia, alla “piena applicazione” della legge sull’aborto, cioè a promuovere il non-aborto tramite la prevenzione e la creazione di un fondo per donne sole e in difficoltà. Inoltre è stato espunto anche il “mantenimento” delle unioni civili, varate da Matteo Renzi e date per acquisite dai meloniani, ribadendo allo stesso tempo contrarietà totale alle adozioni per omosessuali e alla maternità surrogata.
Immigrazione e sicurezza: decreti Salvini, blocco navale
Difficoltà: coalizione compatta su questi temi, ma non scontati né gli accordi con gli Stati africani nè il sostegno dell’Ue. Fattibilità: dal punto di vista legislativo alta, ma sui migranti dipenderà dalla politica europea
Tradizionale cavallo di battaglia della destra, la sicurezza passa, senza preamboli, dai “Decreti sicurezza” di salviniana memoria. Qui è il leader della Lega ad aver colonizzato l’agenda programmatica. Prova ne sia che invece Fratelli d’Italia, nella sua, prevede invece una “lotta senza tregua a tutte le mafie, al terrorismo e alla corruzione” che riporta indietro ai tempi in cui la destra italiana, che una volta era targata Msi, era in prima fila come forza legalitaria (oggi qualcuno direbbe: giustizialista). Per carità, dal rafforzamento del poliziotto di quartiere e della videosorveglianza al “combattere lo spaccio con ogni mezzo”, la spinta securitaria è molto forte, accompagnata da “azioni incisive e urgenti” contro la violenza sulle donne. Di “blocco navale” contro i migranti via mare non si parla espressamente nel programma di coalizione, mentre è citato in quello FdI, e sostanzialmente si tratta di accordarsi con gli Stati nordafricani per fermare le navi cariche di immigrati prima che partano, gestendo i flussi in hotspot (campi che in Libia erano, indiscutibilmente, dei lager) di cui dovrebbe farsi carico l’Unione Europea. Il che non è affatto scontato. L’indice di fattibilità in questo caso dipende tutto dalla benevolenza dei “fratelli” europei, e dal prezzo che i governi africani chiederanno in cambio (sempre che di governi regolarmente funzionanti si possa parlare, visto che nella martoriata e divisa Libia la situazione è ancora fluida, per usare un eufemismo). Dopo le elezioni, su questo né la Meloni né altri hanno proferito parola.
Sanità: prestazioni meno care, cure più facili ai salutisti, psicologo di base
Difficoltà: come trovare i fondi per aumentare visite e medicine esenti da ticket. Fattibilità: bassa, anche per le complicazioni sul meccanismo che premia i più attenti alla salute
Messo in conto l’incremento dell’organico di medici e infermieri, la sanità secondo FdI va proiettata “oltre la pandemia”, con l’abbattimento delle liste d’attesa. Senza specificare però quanti camici bianchi e operatori si intendono assumere, un po’ difficile fare previsioni. Idem per la promessa ad allargare il bacino di prestazioni esenti da ticket: quali, quante, e per quale ammontare? L’unica novità di peso è rappresentata dall’idea, contenuta nel programma massimo, di rafforzare “la medicina predittiva con un meccanismo di premialità nell’accesso al sistema sanitario per chi segue un regolare e concordato percorso di monitoraggio dello stato di salute”. Se capiamo bene, si tratterebbe di velocizzare l’accesso alle cure, che sono un diritto universale e assoluto, per chi si dimostri più attento a controllarsi. Suggestivo, benché un po’ da “Stato etico” salutista. Anche in questo caso, i risvolti pratici sono tutti da declinare. C’è inoltre il progetto di istituire un Garante della Salute, un’authority apposita “con poteri ispettivi” a cui il cittadino possa rivolgersi per segnalare disfunzioni e casi di malasanità. Ma c’è davvero bisogno di ulteriore burocrazia? Capitolo Covid: nessun obbligo vaccinale, addio definitivo al green pass, basta con la “compressione delle libertà individuali” e sì alla “ventilazione meccanica controllata” (auguri, con il costo dell’elettricità alle stelle) e al “potenziamento dei trasporti” (ri-auguri, con il costo delle fonti di energia, senza contare quello delle tratte bus e treni da aumentare). Un jolly per la lunga, e benemerita nota sul “benessere psicologico” da garantire, con il bonus psicologo come “primo passo” e l’istituzione dello psicologo di base convenzionato, accanto al medico di famiglia e al pediatra.
Turismo e cultura: difesa delle imprese balneari, liceo del Made in Italy
Difficoltà: possibile scontro con l’Europa sulle concessioni agli stabilimenti nelle spiagge. Fattibilità: problematica, variabile a seconda della volontà di contrastare l’Ue
Impossibile non partire dalla premessa di “valorizzare la Bellezza dell’Italia”. E chi non lo farebbe? Ma a parte un’intuibile lista di cose da promuovere (le “eccellenze”, il “patrimonio artistico e archeologico”, “l’offerta turistica”), la preoccupazione che balza agli occhi è la “tutela della nautica e delle imprese balneari: 300.000 addetti del settore” che vanno difesi. Da cosa? Dalla riforma Draghi, che in nome delle prescrizioni europee prevede di riassegnare tutte le concessioni ai gestori delle spiagge entro il 31 dicembre 2024, mettendole a gara e risarcendo i concessionari uscenti. Qui, per esempio, si parrà la nobilitate, o per meglio dire la volontà politica del governo Meloni di contrastare l’Europa. Parallelamente, Fratelli d’Italia (ma non gli altri del centrodestra) potrebbe tirare fuori dal cilindro la più agevole creazione di un “Liceo del Made in Italy”. Più agevole si fa per dire: è molto dubbio che possa consistere nell’immediato in un liceo vero e proprio nuovo di zecca, da affiancare al classico o allo scientifico. Un’operazione dai tempi non brevi.
Ambiente e agricoltura: una raffica di “piani”
Difficoltà: passare dagli annunci pianificati ai fatti concreti. Fattibilità: aleatoria, in sostanza ci si adegua agli impegni internazionali sul climate change
È definito come una “priorità”, com’è per tutti. Al punto che sembra di leggere, con tutto il rispetto e senza evocare nessuna Greta Thunberg, il programma di una forza ambientalista tout court: pianificazione a tutto spiano (piano nazionale per l’economia circolare, piano straordinario contro la dispersione dell’acqua, piano straordinario di resilienza contro il dissesto idrogeologico), nuove riserve naturali, rimboschimento, incentivi al trasporto pubblico, il tutto per “rispettare gli impegni sul cambiamento climatico”. In realtà, i “piani” sono impegni che raramente poi vengono seguiti dai fatti, sono a costo praticamente zero. Sarebbe interessante, invece, vedere applicati i “dazi di civiltà” che i soli Fratelli d’Italia vagheggiano contro i Paesi extra-Ue che non rispettano i nostri standard ambientali. Una sorta di protezionismo patriottico-ecologico. Comparto agricolo: la coltivazione della terra è la “nostra storia” e il “nostro futuro”. Anche qua ci sta, secondo l’agenda di centrodestra, un bel “piano strategico” per lo sviluppo. Più in concreto: lotta all’italian sounding (i marchi stranieri che utilizzano, magari deformandoli quel che basta, i nomi dei nostri prodotti più famosi come il parmigiano, per altro già tutelato dall’Ue); rifinanziamento delle agevolazioni, molto generose, per i giovani agricoltori; ennesimo piano ma specifico sull’irrigazione agricola; varie sulla promozione delle filiere, delle produzioni locali eccetera. Niente di sconvolgente, quanto a novità.
Scuola e giovani: aumentare stipendi ai prof, cambiare 3+2 all’università, priorità a sport e impresa
Difficoltà: il costo per adeguare gli stipendi degli insegnanti è un’incognita. Fattibilità: difficile, o in ogni caso lungo, mettere mano all’impianto dei corsi universitari
In cima alle priorità è messa l’esigenza di “rivedere in senso meritocratico il percorso scolastico”. Grande è la curiosità di sapere con quali modalità imprimere la svolta. Nel frattempo, anche se nel programma esteso alla coalizione non se ne fa cenno, FdI vorrebbe equiparare gli stipendi degli insegnanti alla media europea. Ora, secondo i più recenti studi un professore italiano percepisce mediamente più di 30 mila euro, mentre un collega in Europa oltre 44 mila. L’allineamento costerebbe 11,6 miliardi (un quarto della prossima manovra). In ogni caso, il centrodestra tutto auspica, tanto per cambiare, un “piano” per eliminare il precariato. Secondo un calcolo fatto da Tuttoscuola, per azzerarlo bisognerebbe mettere sul piatto altri 800 milioni. Ai quali vanno aggiunti altri soldi per l’“ammodernamento” e “messa in sicurezza” degli edifici e altri ancora per il “buono scuola” per coloro che frequentano le private (in gran parte cattoliche: è la “libertà educativa”). La proposta più d’impatto investirebbe l’università, che si trova nel programma di Fratelli d’Italia ma non della coalizione: la revisione dell’attuale sistema 3+2 (una prima parte triennale a cui fa seguito il biennio di specializzazione), in modo da avere “laureati prima”. FdI aveva intitolato, dannunzianamente, “Largo ai giovani”. In sostanza, per l’intero centrodestra si tratta di sostenere lo sport e gli “stili di vita sani” con borse di studio per “meriti sportivi”, nonché reintrodurre il prestito d’onore per universitari. Non manca la sensibilità per avviare la gioventù italiana a farsi imprenditrice, specialmente nell’artigianato: l’impresa, alla maniera della classica destra liberale, va considerata come “prospettiva per le nuove generazioni”. Chissà allora perché è stato espunto dal programma unitario il punto, esclusivo di FdI, che recitava “meno tasse per i primi tre anni per gli autonomi under 30”. Bisognerebbe chiedere lumi, su questo come sugli interrogativi individuati fin qui, a Fazzolari, il Gianni Letta meloniano. Chi ha pochi dubbi è la Goldman Sachs, di cui è noto lo strapotere nella finanza mondiale: “…dato il limitato spazio fiscale di cui il nuovo governo potrà godere – hanno scritto i suoi analisti - riteniamo che solo una piccola selezione delle proposte avanzate durante la campagna elettorale abbia un’effettiva possibilità di attuazione”.