Volete acquistare una nuova auto elettrica di un brand occidentale? Benissimo. Sappiate però che in Europa il prezzo medio di un veicolo del genere si aggira intorno ai 63.000 euro, e in Italia può superare i 67.000. Avete invece bisogno di uno smartphone e volete comprare l'ultimo iPhone di Apple? Preparatevi a sborsare almeno un “millino”. Siete a capo di un'azienda e volete iniziare a usare modelli di intelligenza artificiale (Ia)? Prima di affidarvi a soluzioni made in EU, vi conviene dare un'occhiata al cinese DeepSeek R1, fino a 30 volte più economico rispetto all'O1 di OpenAI, ma con prestazioni comparabili (ne abbiamo parlato qui!). Potremmo continuare per ore, solo per evidenziare una stortura che attanaglia il sistema economico occidentale: un sistema che, per sua natura, è votato alla continua e incessante ricerca del profitto, incurante dell'aumento dei prezzi che viene scaricato sui consumatori desiderosi – o meglio ipnotizzati da un concentrato di marketing e pubblicità – di possedere l'ultimo X (inserite il nome di un qualsiasi prodotto di punta realizzato da un brand occidentale). Se a questo problema fisiologico aggiungiamo un contesto esterno attraversato da guerre commerciali, tensioni internazionali e interruzioni delle catene di approvvigionamento, la situazione diventa ancora più pesante. Diventa, infine, insostenibile se consideriamo un terzo tassello: la maggior parte delle aziende europee è costretta a importare dall'estero chip, terre rare, minerali strategici, ovvero la materia prima necessaria per realizzare i prodotti tecnologici più richiesti, come automobili, telefoni e computer... Ricapitolando: la ricerca incessante del profitto da parte delle aziende; le tensioni internazionali che implicano dazi e chiusure commerciali; l'obbligo di importare (a caro prezzo) dall'estero la “benzina” produttiva. Ecco perché il modello economico occidentale rischia di avere le ore contate.
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Anche perché, mentre noi (un “noi” che comprende l'Occidente intero) rincorriamo una crescita infinita e illusoria, dall'altra parte del mondo c'è chi (leggi: Cina) è riuscito a unire qualità e quantità, conquistando così i mercati con prodotti low cost. Pechino ha smesso di inondare il mondo con paccottiglia usa e getta. Ora il Dragone domina l’hi-tech, controlla quasi tutto ciò che serve per compromettere le capacità dei rivali (di nuovo: terre rare, minerali strategici ma non ancora chip) e ha quindi voce in capitolo sulle supply chain. Se un paio di decenni fa il gigante asiatico ha stravolto il settore della telefonia iniziando a esportare alle nostre latitudini smartphone low cost interessanti (Huawei ieri, Oppo e Xiaomi oggi), ora sta cercando di fare altrettanto nel settore automotive. Risultato? Un’auto elettrica prodotta da un colosso europeo costa molto di più rispetto a un Ev made in China. E non sempre c'è un abisso tra i due prodotti (anzi…). I dazi rischiano tuttavia di limitare la penetrazione dei veicoli cinesi in Europa e negli Stati Uniti. Ma Pechino si sta già calando altri jolly, come l'intelligenza artificiale, dove i modelli made in China sono ancora una volta mega competitivi e nettamente più economici delle loro alternative occidentali. Non è un caso che l’avvento di DeepSeek sia stato definito da alcuni commentatori come un “momento Sputnik” per l’Ia.
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Il modello economico occidentale è dunque messo alle strette dall'avvento di un modello più aggressivo: che fare? L'unica risposta partorita da Ue e Usa è stata quella dei dazi e delle tariffe. Ha iniziato Donald Trump, otto anni fa, durante il suo primo mandato alla guida degli Stati Uniti. Hanno proseguito sulla stessa linea sia il suo successore Joe Biden che i decisori di Bruxelles (nel mirino dell'Europa, al momento, sono finite soltanto le auto elettriche cinesi). Il tycoon repubblicano ha dunque calato un nuovo carico nel corso del suo secondo mandato, con l'obiettivo di congelare l'ascesa economica di Pechino, riequilibrare la bilancia commerciale tra gli Usa e gli altri Paesi (paradosso: nel mirino di Trump non c'è solo la Cina, ma anche l'Europa) e richiamare in patria le aziende che avevano delocalizzato all'estero. In attesa di capire se il ritorno al passato del leader repubblicano si realizzerà, toccherà ai consumatori pagare gli effetti dei dazi. Il motivo è semplice: i dazi non sono altro che una sorta di tassa, pagata dagli importatori, che finisce sulle spalle di famiglie e imprese. Statunitensi e non solo. Il risultato? Un aumento dei prezzi al consumo. L'ennesimo.
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