L’impero editoriale del gruppo Gedi Repubblica che sembra andare a picco. I dati di Prima Comunicazione hanno certificato infatti un tracollo tra settembre e ottobre della diffusione del quotidiano diretto da Maurizio Molinari: tra cartaceo e digitale, Repubblica ha perso nei dati di vendita giornalieri oltre 28mila copie, pari alla circolazione totale giornaliera di una testata come Il Giornale, scendendo da 150.700 a poco meno 122.600 copie vendute e perdendo, per la prima volta, il podio nella classifica dei quotidiani più circolanti nel nostro Paese. Il sorpasso de Il Sole 24 Ore pone la testata fondata da Eugenio Scalfari dietro la testata di Viale Sarca e il duo di testa Corriere della Sera-Gazzetta dello Sport. ha subito nei giorni scorsi una serie di “schiaffi” durissimi che hanno messo in discussione la tenuta della presa di John Elkann e di Exor sulla storica “capitana” dell’informazione progressista italiana, centrata soprattutto su Repubblica (e La Stampa).
Sintomatico che il tracollo sia avvenuto nel mese della focalizzazione del pubblico sulla guerra israelo-palestinese. Durante la quale Molinari e la sua testata si sono distinti per un approccio radicalmente vicino a Tel Aviv, abbandonando la tradizionale cautela ed equidistanza del progressismo italiano, che si manifestava quantomeno in un’empatia per la causa palestinese e il tentativo di distinguere tra spinte libertarie del popolo mediorientale e componenti terroristiche. Ma non finisce qui. Tra settembre e ottobre è anche detonato il caso Magneti Marelli, con l’affondo di Carlo Calenda sulla presunta collusione tra Repubblica e Maurizio Landini per coprire col silenzio del leader sindacale gli effetti della de-industrializzazione del gruppo di Corbetta venduto da Elkann nel 2019 in cambio di visibilità sulle testate Gedi.
Parliamo di due partite che per un pubblico attento all’informazione quotidiana e con non secondarie coordinate ideologiche come quello di Repubblica non appaiono da trascurare. Il lettorato della testata fondata da Eugenio Scalfari ha già digerito, negli anni, la torsione pro-Renzi del 2014-2016, la crociata anti-sovranista di Mario Calabresi e Molinari, l’occidentalismo progressista, il tentativo di scalare la fase di massima popolarità di Giuseppe Conte prima e il draghismo senza sé e senza ma poi, e come un fiume carsico la goccia ha, nel corso degli anni, eroso la pietra della nobile testata. Tutto questo mentre l’altra sorella maggiore di famiglia, La Stampa, diventava con l’ex direttore Massimo Giannini la voce nostalgica della tecnocrazia, con tanto di ultimi rumors sulla volontà di Quirinale e Europa di disarcionare Giorgia Meloni.
Il doloroso distacco da L’Espresso
Ma a pesare in maniera forse decisiva è stato il distacco definitivo da L’Espresso, il periodico ceduto nel 2022 a cui l’intera storia di Gedi è associata. Segno di una fine di un’era che ha portato a un distacco emotivo di molti lettori. Per il quale il duo tra la testata e la sagace rivista settimanale d’inchiesta significava un’inscindibile coordinata informativa. Oggi, il rischio di creare un giornale elitista con pretese di diffusione di massa, di tenere assieme il rispetto della storia ideologica di Repubblica e l’appiattimento delle testate sulle figure dei direttori va di pari passo con la presa di posizione di Elkann di “coprire la ritirata” dall’Italia con un conglomerato mediatico a lui favorevole. Elkann spinge per la ri-definizione del suo business verso mondi come Stati Uniti e Francia, non a caso riferimenti politici preferiti dalle testate Gedi. Acquistare la testata progressista per eccellenza ha dato respiro a Elkann per perseguire il suo piano.
L’affondo dell’Ingegnere
Questo non è andato giù allo storico patron di Repubblica, l’Ingegnere per antonomasia, Carlo De Benedetti. Il secondo schiaffo a Gedi è arrivato proprio dall’attuale editore di Domani e storico patron della testata attraverso un’intervista a Il Foglio. Per De Benedetti Elkann ha comprato le testate per “coprire la deindustrializzazione e la smobilitazione degli impianti produttivi automobilistici di un gruppo che ormai è francese. Per il resto, di come vanno questi giornali mi pare evidente che non gli importi nulla”, ha aggiunto, preconizzandone la vendita. Sempre in punta di penna, Guia Soncini su Linkiesta ha analizzato nel dettaglio le accuse dell’Ingegnere mostrando tutte le fragilità e le trascuratezze della Gedi nella galassia Exor-Stellantis-ex Fiat: “Perché nell’app della Stampa non è possibile fare una ricerca? Perché pur da abbonati paganti di Repubblica è impossibile aprire qualsivoglia articolo vecchio che si trovi in archivio? Perché l’archivio non lo valorizzano, permettendoci di leggere i vecchi Arbasino, i vecchi Eco, persino i vecchi Baricco, invece d’illudersi che pagheremo per leggere i nuovi (inserite voi i nomi)? Perché se scrivono una puttanata sulla carta (la settimana scorsa Furio Andreotti, lo sceneggiatore del film della Cortellesi, si chiamava Giulio) non approfittano della versione online per correggerla? (Sì, è passata una settimana ed è ancora Giulio)”.
Il caso prepensionamenti minaccia i conti
Terzo colpo a Gedi, meno chiacchierato ma non secondario, è il rifiuto dell’istanza di patteggiamento da parte del Gip di Roma Andrea Fanelli per il caso di alcuni presunti prepensionamenti farlocchi per i quali sono indagate le cinque società del gruppo Gedi e due alti manager della società, Monica Mondardini, ex amministratore delegato di Gedi, oggi alla guida della Cir di Carlo De Benedetti, e Maurizio Moro, ex capo del personale del gruppo. Nel dicembre 2021 la Guardia di Finanza aveva attestato la possibilità di un danno erariale all’Inps pari a 22 milioni di euro per alcuni procedimenti di questo tipo. I due imputati avevano patteggiato cinque mesi di reclusione e pena sospesa. Fanelli ha impugnato la sentenza ritenendola troppo lieve. E ora Gedi rischia una forte inchiesta capace di mettere ulteriormente a rischio il tenue risultato positivo raggiunto nel 2022. I primi due anni della gestione Elkann, il 2020 e il 2021, sono stati difficili con perdite notevoli di 216 milioni di euro complessive, mentre nel 2022 è tornato finalmente l’utile. Il risultato netto è stato positivo per 2 milioni di euro lo scorso anno a fronte di una precedente, massiccia perdita di 50 milioni nel 2021. Chiaramente una spada di Damocle di questo tipo mette il gruppo sotto pressione per la tenuta economica futura.
La domanda da porsi è se Elkann abbia, ora che la svolta verso l’esterofilia totale è pressoché completata, ancora l’interesse a tenere Gedi. E quale sia il futuro di un gruppo che rincorre un’agenda politica diversa da quella insita nel suo Dna e che prova a essere riferimento di un campo che non c’è più: un centrosinistra con cultura di governo, europeista, attento alle istanze occidentali, a vocazione maggioritaria. Cosa c’entrino John Elkann e Elly Schlein, per riassumere il tutto in una battuta, lo dobbiamo ancora capire, al netto del comune amore per l’America e la velata esterofilia. Ma dopo le botte ricevute tra aule di tribunali, carta stampata e edicole, il futuro del gruppo è tutto da scrivere.
Quale futuro?
La vendita dei quotidiani veneti di Gedi lascia pensare a un avvio di smobilitazione di Elkann dall’editoria. Ma finché Repubblica resterà, anche malconcia, nelle sue mani tutto sarà possibile. Fermo restando che il dato principale è quello delle vendite: la testata simbolo dell’editoria progressista ora non è più a diffusione di massa. E questo può avviare la retrocessione di Repubblica a testata di dimensione media, e non più maggiore. Una conseguenza di una gestione Elkann che al rilancio vero del marchio e del gruppo non ha mai veramente tenuto e che nelle due direzioni Calabresi e Molinari ha assistito al graduale declino di un quotidiano incapace, assieme al suo gruppo, di fare egemonia come un tempo.