“Gentile onorevole Salis, lei non ci ama: qui in redazione lo sappiamo bene, e ce ne siamo fatti una ragione. Quanto a suo papà, che parla e straparla in sua vece (deve trattarsi di un’eccezione rispetto a quello che a sinistra siete soliti definire ‘patriarcato’), da mesi riempie il nostro giornale di contumelie, con invettive che non riscuotono gran successo sui canali social, e anzi gli procurano una discreta quantità di pesci in faccia. Ma ognuno si diverte come può e come crede: e non saremo noi liberali a contestare gli intermezzi masochisti di suo padre. Veniamo a cose più serie”. È l’incipit della lettera di Daniele Capezzone, pubblicata oggi su Libero, a Ilaria Salis, tornata al centro dell’attenzione dopo che l’Ungheria di Orbán avrebbe chiesto all’eurodeputata di rinunciare all’immunità per affrontare un processo sulle presunte aggressioni a un militante nazista ungherese in cui, secondo le autorità del Paese, anche la donna italiana sarebbe stata coinvolta. Il direttore editoriale di Libero le dedica quasi seimila battute per incoraggiarla ad accettare la richiesta di Orbán, così da poter affrontare il processo ed eventualmente testimoniare la propria battaglia a favore di uno Stato di diritto: “Com’è noto, noi contestiamo a lei e ai suoi compagni la teoria (e forse anche la pratica: questo dovrà stabilirlo la giustizia) delle occupazioni illegali e abusive di immobili. E su questo terreno non c’è mediazione possibile tra chi difende la proprietà e chi invece intende occupare beni altrui, pubblici o privati che siano. C’è però un’altra faccenda che la riguarda, ed è il processo al quale lei è (anzi, sarebbe il caso di dire: sarebbe) sottoposta in Ungheria. Ci mancherebbe: anche per lei deve valere il sacro principio della presunzione di innocenza, nonostante il suo curriculum penale non immacolato e la sua notoria vicinanza a gruppi di estrema sinistra dediti agli scontri in giro per l’Europa con estremisti della parte avversa. Lei è per questo oggetto di gravissime e pesanti accuse a Budapest, per le quali – lo ripetiamo ancora – va considerata innocente fino a sentenza definitiva”.
Presunzione d’innocenza che, per essere garantita, deve essere accompagnata da un iter processuale giusto, equo e, soprattutto, non violento: “Nulla può giustificare le immagini - che Libero a suo tempo criticò senza riserve, dando volentieri la parola anche a suo padre - di una cittadina italiana, cioè sempre lei, trascinata in catene in tribunale. Scena sgradevolissima e ingiustificabile, che le valse la solidarietà di tutta Italia, noi inclusi. Altro conto è però quello che è successo dopo. La sua candidatura alle Europee non nacque - né fu presentata in questi termini - per sottrarla definitivamente a un processo. Ma come? Lei e i suoi compagni progressisti avete martellato per anni gli avversari politici con lo slogan secondo cui occorre ‘difendersi nel processo’ e non ‘dal processo’, e poi, invece, quando la cosa vi tocca personalmente, cercate la gherminella per impedire che si arrivi a sentenza? Ieri – con toni grevi e probabilmente controproducenti – gli eurodeputati ungheresi del partito di Viktor Orban hanno chiesto la revoca della sua immunità. Ma, nella forma e nella sostanza, avevano ragione loro. E lei si è subito inalberata. Cito fior da fiore delle sue dichiarazioni: lei si è augurata che ‘il Parlamento scelga di difendere lo stato di diritto e i diritti umani, senza cedere alla prepotenza di una democrazia illiberale in deriva autocratica che, per bocca anche dei suoi stessi governanti, in diverse occasioni mi ha già dichiarato colpevole prima della sentenza’. Non solo: sempre lei, onorevole Salis, una volta presa la rincorsa, non si è più fermata e ha aggiunto che in gioco non ci sarebbe soltanto il suo futuro personale, ‘ma anche e soprattutto cosa vogliamo che sia l'Europa, sempre più minacciata da forze politiche autoritarie’”.
Ilaria Salis ha anche commentato la richiesta ungherese facendo notare correlazioni e strane adiacenze temporali, come quella tra l’intervento in plenaria il 9 ottobre e, il 10 ottobre, questa richiesta. Complottismi che non fanno onore, secondo Capezzone, al suo ruolo: “Non ci siamo proprio, cara onorevole. Certo che lei ha diritto a un processo che sia giusto: ma quel processo si deve fare. Occorrerà vigilare affinché a Budapest i suoi diritti di difesa siano garantiti, affinché l’accusa faccia la sua parte nel rispetto delle regole, e affinché il giudice sia terzo. Ma lei non ha alcun diritto a farla franca usando l’immunità”. E per dimostrarne ciò che intende direttore, la firma di Libero cita un “precedente da studiare”, quello di Enzo Tortora, che “una volta eletto all'Europarlamento con Marco Pannella, si trovò in una situazione per certi versi simile alla sua”. E continua: “Dopo l'elezione, gli uffici giudiziari di Napoli presero atto della sopravvenuta immunità parlamentare e revocarono gli arresti domiciliari in cui Tortora si trovava. Ma nello stesso tempo, la (mala)giustizia italiana domandò all'Europarlamento l'autorizzazione a procedere contro il neoeletto. E cosa fece allora Tortora, l'innocente Tortora, anzi il perseguitato Tortora? Sia in Commissione sia in Aula fu il primo a chiedere che l'autorizzazione a procedere contro di lui fosse concessa, affinché potesse sottoporsi al suo processo. Chiese solo -ragionevolmente - di poter rimanere libero in attesa del giudizio, ma arrivò al punto di minacciare le sue dimissioni nel caso in cui, riconoscendogli immunità totale, i suoi colleghi lo avessero salvato dal giudizio di un tribunale del quale aveva peraltro ogni motivo per diffidare. Ecco, lei dovrebbe comportarsi così, e riscuoterebbe un plauso generale: chiedere e ottenere che il suo processo non svanisca nel nulla. Se invece la sua elezione diventasse un taxi per sfuggire al giudizio, assisteremmo all'ennesima dimostrazione di un'eterna differenza: quella tra un autentico liberale (Tortora) e un'autentica comunista (lei). Cordialità.” Un giudizio trasformatosi in martirio e, per questo, secondo Capezzone, più potente di qualsiasi dichiarazione.