120 mila sfollati e 90 morti. L’alluvione di Valencia è una tragedia che l’Italia dovrebbe comprendere più di altri, per via dei due eventi simili avvenuti nel 2023 e alla fine di questa estate in Emilia-Romagna. Che un evento del genere possa essere associato al cambiamento climatico dovrebbe essere una considerazione basilare. Magari non questo? Forse, ma molti casi simili. E comunque dire che questo non possa essere collegato alla crisi dell’ambiente richiede almeno qualche studio. Nel 2023 uno studio che ancora doveva essere revisionato per la pubblicazione, uscito per il World Weather Attribution, sosteneva che l’alluvione del 2023 non fosse la conseguenza del cambiamento climatico. A giugno del 2023, su Nature Italy, la giornalista Chiara Sabelli ha aiutato a contestualizzare queste informazioni. Funziona così. Invece in Italia e all’estero, nel giro di due giorni, è diventata virale l’opinione secondo cui sicuramente quanto avvenuto a Valencia non può essere ricondotto al cambiamento climatico.
Il motivo? Un caso simile nel 1957, quando c’era decisamente meno inquinamento, sempre a Valencia. Secondo il ricercatore - ed ex docente associato dell’Università dell’Alabama (lui si definisce “in esilio”) - Matthew M. Wielicki: “Tragiche inondazioni hanno colpito Valencia, Spagna, ma il vero disastro? Gli allarmisti del clima si sono affrettati a etichettare questo come 'senza precedenti' e ad accusare la CO2. Chiariamo alcuni fatti: 2024: 14 pollici di pioggia, 422 ppm di CO2. 1957: 20 pollici in 2 giorni, 314 ppm di CO2. A meno che non ne vediamo altri 6 pollici, queste inondazioni sono tutt'altro che senza precedenti. La verità è che Valencia è già stata colpita in questo modo, ed è un modello naturale. Allora perché non sono state costruite infrastrutture migliori per le inondazioni dal 1957? Forse perché è più facile dare la colpa alle emissioni che agire concretamente” (come vedremo Wielicki ha ragine a metà, quando parla di manutenzione). Più prosaicamente anche in Italia persino un leader politico come Marco Rizzo si lancia in considerazioni di natura scientifica: “VALENCIA. Quando la propaganda usa anche il meteo. Il mainstream ci vuole assuefatti alle idiozie e al comando della grande finanza. Ricordiamo che l'alluvione di Valencia trova riscontro nel grande disastro del 1957 (80 morti e 6.000 case distrutte) e in altri 25 episodi simili”.
Le cose stanno così? Non proprio. Secondo il più aggiornato e autorevole documento sul clima redatto a livello mondiale, il report dell’Ipcc (The Intergovernmental Panel on Climate Change) del 2023, il cambiamento climatico sta aumentando probabilità, gravità e frequenza delle alluvioni e, di conseguenza, delle inondazioni lontano dalle coste. Questo dato è confermato da uno studio del 2023 uscito sulla rivista Global Environmental Change, che individua per altro i Paesi europei più a rischio, in ordine: Germania, Francia, Italia e Spagna. Invece di chiedersi se questo o un altro evento catastrofico siano legati al cambiamento climatico, i politici dovrebbero chiedersi cosa hanno fatto per andare incontro alle indicazioni dell’Icc e degli esperti.
La risposta è particolarmente triste e suggestiva se guardiamo proprio all’inondazione di Valencia. Infatti, secondo il report dell’Ipcc: “Per le inondazioni interne, la combinazione di misure non strutturali come i sistemi di allerta precoce, il miglioramento della ritenzione naturale dell'acqua, come il ripristino delle zone umide e dei fiumi, e la pianificazione dell'uso del territorio, come le zone interdette alla costruzione o la gestione delle foreste a monte, possono ridurre il rischio di inondazioni (confidenza media)”. Bene, a Valencia l’allerta è arrivata con 11 ore di ritardo. In Italia possiamo chiederci: cosa è stato fatto in tutte quelle zone non urbanizzate in Emilia-Romagna per rendere il terreno più adatto a eventi di tale portata? Niente. Potremmo ripartire da qui. Magari i politici, prima di fare gli scienziati, potrebbero fare i politici. E gli elettori, prima di fare i ricercatori, potrebbero fare i cittadini.