Difficile non essere pessimisti, impossibile non incazzarsi. Quando un episodio straordinario e tragico, così e non altrimenti si può definire un'alluvione, diventa un evento ricorrente, vuol dire che è davvero giunta l'ora di interrogarsi. Ci sono delle responsabilità imputabili a qualcuno? Cosa poteva essere stato fatto? È mai possibile che non si possano prevenire eventi del genere? Case allagate, strade distrutte, aziende e scuole costrette allo stop. Dopo l'alluvione del 2023, il Politecnico di Torino aveva pubblicato un articolo sul proprio sito in cui esaminava la questione dal punto di vista scientifico. In casi come questo, è l'unica voce sensata da interrogare. È fin troppo facile fare il solito scaricabarile politico di accuse al governo che poi controaccusa il governo precedente. Troppo comodo trasformare la catastrofe in caciara. L'opinione, in queste occasioni ancora più che in altre, non serve a un beneamato caz*o. Senza la verità non si arriva mai a una soluzione.
Pieriugi Claps, professore al Politecnico di Torino, diceva un anno fa sul sito dell'ateneo che “Dobbiamo allora prepararci sia per gli eccessi sia per le carenze. Un mese fa si parlava della carenza idrica, ma anche in questo caso non si può dare la colpa a chi ha pianificato e progettato perché nel Po non si erano mai viste grandi siccità. Anche qui bisogna lavorare sulla manutenzione e la programmazione degli interventi, questioni entrambe trascurate per le risorse idriche negli ultimi vent’anni in Italia”. Vent'anni di abbandono. Non sono pochi. E non basta nemmeno dare la colpa al cambiamento climatico: il professore ed esperto di eventi estremi un anno fa diceva che per sostenere questa tesi “Servirebbe una quantità di dati di cui ancora non disponiamo”, per cui l'unica soluzione possibile è quella di “Prepararsi meglio sul lungo periodo, migliorando la manutenzione e accelerando la realizzazione delle infrastrutture”.
Il problema è politico, e il fatto che negli ultimi vent'anni non sia stata fatta la manutenzione necessaria può voler dire soltanto che sono tutti responsabili. Nessuno escluso. Lo dicono i dati, non è per fare populismo facile. E forse non ha torto chi, giustamente incazzato, punta il dito sul fatto che la prevenzione delle catastrofi non sia mai priorità dei parlamentari, che preferiscono occuparsi di proibire sostanze innocue come la Cbd o firmare emendamenti sulla castrazione chimica, o spendere milioni in consulenze inutili, amichettismo, grandi opere e convegni. Perché poi cos'è, se non una pagliacciata, andare nei luoghi alluvionati dopo la tragedia per farsi fotografare, per promettere e spergiurare. Ogni altro commento è inutile, e ci si augura che i soldi vengano tirati fuori prima, e non dopo, per poi non ritrovarsi come i pensionati avvinazzati della Città Vecchia di Fabrizio De Andrè, a stramaledire il tempo e il governo.