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Ma davvero il proprietario del Manchester City, lo sceicco Mansour bin Zayed al-Nahyan (Emirati Arabi), finanzia la guerra in Sudan? Il New York Times sgancia la bomba ma in Italia nessuno ne parla

  • di Alessandro Sforza Alessandro Sforza

  • Foto di: Ansa

2 luglio 2025

Ma davvero il proprietario del Manchester City, lo sceicco Mansour bin Zayed al-Nahyan (Emirati Arabi), finanzia la guerra in Sudan? Il New York Times sgancia la bomba ma in Italia nessuno ne parla
Un’inchiesta del New York Times sgancia la bomba sullo sceicco Mansour, il proprietario del Manchester City, e i signori della guerra sudanesi. Droni, armi e affari d’oro nascosti dietro il soft power del calcio. Ecco come uno degli uomini più potenti del mondo del calcio ha aiutato il Mohamed Hamdan a far scoppiare il conflitto nel 2023

Foto di: Ansa

di Alessandro Sforza Alessandro Sforza

Nel febbraio del 2023, in un sontuoso palazzo sul Golfo Persico, uno degli uomini più ricchi del Medio Oriente riceve un ospite che farà discutere: un comandante sudanese noto per colpi di stato, miniere d’oro illegali e una lunga lista di atrocità. Lo sceicco in questione? Mansour bin Zayed al-Nahyan, fratello del potente sovrano degli Emirati Arabi Uniti. In Occidente è famoso soprattutto per una cosa: è il proprietario del Manchester City, una delle squadre di calcio più vincenti al mondo. Eppure, dietro i riflettori del calcio e i lustrini del soft power, Sheikh Mansour coltiva un altro lato, molto più oscuro. Quello che lo lega a Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come "Hemeti", comandante delle forze paramilitari sudanesi Rapid Support Forces (RSF). Lo stesso che pochi mesi dopo quel ricevimento avrebbe innescato una guerra civile devastante in Sudan. Non è stato un incontro casuale. I due si conoscevano già da anni: nel 2021 si erano fatti fotografare insieme a una fiera di armamenti negli Emirati, tra missili e droni. Quando poi il conflitto è scoppiato nell’aprile 2023, Sheikh Mansour ha fatto molto più che offrire ospitalità. Secondo fonti americane e delle Nazioni Unite, avrebbe aiutato Hemeti a condurre la guerra, mascherando come “aiuto umanitario” la spedizione di droni e armi sofisticate. È quanto rivela un’inchiesta approfondita del New York Times, che ha ricostruito — attraverso immagini satellitari, testimonianze e documenti riservati — i legami tra gli Emirati e le RSF, con al centro la figura di Mansour. Gli Emirati hanno sempre negato di sostenere militarmente una delle parti in guerra. Ma intercettazioni telefoniche raccolte dagli Stati Uniti raccontano un'altra storia: Hemeti parlava regolarmente con i leader emiratini, incluso lo stesso Sheikh Mansour. Una collaborazione che ha contribuito ad alimentare un conflitto che ha causato oltre 150.000 morti, 12 milioni di sfollati e una crisi umanitaria fra le peggiori al mondo.

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Dei rifugiati della guerra in Sudan che risalgono il Nilo Ansa

Chi è lo sceicco Mansour bin Zayed

A prima vista, Mansour bin Zayed è un uomo riservato, schivo, quasi invisibile. Non rilascia interviste, non partecipa alle partite della sua squadra e raramente appare in pubblico. Ma dietro le quinte, è una pedina centrale nella strategia espansionistica degli Emirati, una monarchia che ha deciso di usare la ricchezza del petrolio per diventare un attore globale, tanto nei consigli d’amministrazione quanto nei campi di battaglia. Come ha detto l'ex diplomatico americano Andrew P. Miller, "lui è il gestore, il risolutore di problemi, l’uomo mandato dove c’è bisogno di discrezione e influenza." Un ruolo che Mansour ha già svolto in posti come la Libia, dove ha gestito direttamente i rapporti con il generale Khalifa Haftar, un altro signore della guerra sostenuto dagli Emirati. In quel caso, secondo il Pentagono, armi emiratine e mercenari russi della Wagner sarebbero stati impiegati per sostenere gli attacchi contro Tripoli, violando un embargo internazionale. Nel frattempo, lo Sceicco coltivava il suo impero parallelo: quello del calcio. Quando acquistò il Manchester City nel 2008 per 330 milioni di dollari, trasformò un club in declino in una potenza mondiale, spendendo oltre 3,5 miliardi per ingaggiare star del pallone e vincere titoli su titoli. E non si è fermato lì: ha acquistato squadre in Australia, India, Giappone e Stati Uniti, dove sta costruendo un nuovo stadio da 780 milioni di dollari a New York, nel cuore del Queens. Tutto questo ha fatto parte di una strategia precisa: usare lo sport come leva di soft power per ripulire l’immagine internazionale degli Emirati, dopo un tentativo andato male di acquistare sei porti americani nel 2006, fermato per motivi di sicurezza.

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Mansour bin Zayed durante una partita del Manchester City Ansa

L’ombra delle inchieste

Ora però, quell’aura di impunità inizia a incrinarsi. Nel Regno Unito, una legge ha bloccato l’acquisto di uno storico giornale britannico da parte dello Sceicco, per timori sulla libertà di stampa. E negli Stati Uniti, emerge che avrebbe beneficiato del mega scandalo finanziario 1MDB in Malesia, un giro da miliardi di dollari. Anche il suo gioiello calcistico è finito sotto tiro. Il Manchester City è stato accusato dalla Premier League di aver truccato i conti per anni, gonfiando le entrate e falsando le regole del fair play finanziario. Se le accuse venissero confermate, il club rischia multe, retrocessione, o addirittura la revoca dei titoli. Il processo è in corso, e potrebbe cambiare tutto. Ma il punto cruciale è che oggi, finalmente, lo Sceicco invisibile è al centro della scena. La figura enigmatica che ha legato il glamour del calcio europeo agli orrori della guerra africana sta perdendo la sua invisibilità — e forse anche il suo scudo.

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