I giudizi di valore nei confronti di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar sono tanti e spesso negativi: stati autoritari, teocrazie, poco rispettose delle minoranze, degli omosessuali, luoghi in cui la donna ricopre un ruolo subordinato. In effetti, da occidentali, non possiamo che mantenere una certa distanza rispetto a certi comportamenti. Ma la geopolitica non è costume, quanto influenza e strategia. Quegli Stati, così ricchi e pieni di risorse, stanno giocando tutte le loro migliori mosse sullo scacchiere internazionale, trasformandosi in qualcosa di più dei “benzinai nel mondo” che credevamo essere. Ce lo spiega Milena Gabanelli nel suo Dataroom, in cui ha sottolineato come, al di là dei petroldollari, il loro potere finanziario sia ormai allargato in altri settori: “Alla cultura della rendita basata su petrolio e gas, i nuovi eredi hanno affiancato altro. Bin Salman, per esempio, ha convogliato una massa enorme di petrodollari, stimata tra i 400 e gli oltre 700 miliardi di dollari, nel Pif, il fondo sovrano Public Investment Fund. Con questa leva finanziaria ha attivato investimenti in energie rinnovabili, trasporti, fabbriche automatizzate, società del digitale, turismo, servizi sanitari. Le risorse finanziarie servono anche da incentivo per attirare almeno 3 mila miliardi di dollari dall’estero”. Molti, infatti, gli investitori stranieri, soprattutto americani, disposti a partnership con l’Arabia Saudita. Il Qatar, invece, attraverso il calcio, l’acquisto di star europee e il Mondiale del 2022 ha cominciato ad affacciarsi come prezioso interlocutore anche per gli Stati Uniti. Spiega Gabanelli: “Il Qatar ha sempre mantenuto relazioni con le componenti fondamentaliste del mondo islamico, considerate insidie destabilizzanti da sauditi ed emiratini. Nel 2021, però, anche grazie alla mediazione americana, i tre Paesi ristabilirono normali relazioni. Il Qatar ospita la base militare americana più grande della regione: per Washington era urgente tornare alla stabilità”. Il potere diplomatico del Qatar si sta manifestando anche nell’ultimo periodo, dato che “allestisce, a Parigi e al Cairo, i tavoli principali per la trattativa tra americani, israeliani, egiziani e Hamas. Tregua in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi catturati dai terroristi”. Perlatro, il Qatar finanzia Hamas con circa 30 milioni di dollari ogni anno. Già nel corso della guerra in Ucraina le forze militari dei due stati in conflitto si erano affidate alla mediazione emiratina per lo scambio di prigionieri, a dimostrazione del fatto che, ormai, il ruolo di queste potenze in ambito diplomatico non è più trascurabile. Anche se il simbolo di questa nuova strategia erano gli “accordi di Abramo”, fortemente voluti dal principe saudita bin Salman, Benjamin Netanyahu e l’ex presidente Donald Trump. Tutto bloccato, però, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Questa maggiore apertura alle necessità delle potenze occidentali, però, non significa alleanza su tutti i fronti. Su questo ancora Gabanelli: “L’esclusiva. L’Arabia Saudita, per esempio, acquista il 73% del proprio fabbisogno di armi dagli Usa. I contratti di fornitura in corso stipulati con l’industria bellica americana ammontano a 126,6 miliardi di dollari. Ma ciò non impedisce al principe bin Salman di coltivare rapporti con tutti gli avversari di Washington”. Al contrario, quindi, la tattica di Emirati Arabi e Arabia Saudita è quella di fare il proprio interesse indipendentemente dall’interlocutore. Per questo, i due paesi sono parte dei Brics, i paesi non allineati con l’Occidente, che “hanno progetti ambiziosi. Uno su tutti: puntare su una moneta comune che possa scalzare il primato finanziario mondiale del dollaro”. Spiega Milena Gabanelli che questo tipo di startegia è detta “multivettoriale”, un “opportunismo senza limiti” con cui agire all’interno dei vuoti lasciati dalla comunità internazionale secondo le proprie necessità. Una capacità di “parlare con tutti” che ormai è prerogativa di pochi Stati: “Gli Stati Uniti e gli europei non sono più in grado di farlo, come hanno dimostrato questi ultimi anni di guerra in Ucraina e poi a Gaza. Ed ecco allora che il pragmatismo incurante delle contrapposizioni tra blocchi (Usa-Cina per esempio), si trasforma in una risorsa preziosa per le diplomazie dei Paesi in conflitto. Arabia Saudita, Emirati arabi e Qatar sono diventati i mediatori perfetti per quest’epoca di incertezza”. Insomma, un potere che travalica quello delle risorse energetiche e del petrolio. Chi li vede ancora come i “benzinai del mondo” si sbaglia. Sono potenze che tengono in equilibrio la bilancia del mondo e dei conflitti. Al di là della lontananza dei valori, ininfluente o quasi sul piano strategico, il loro ruolo di mediazione è quanto ami attuale. E difficilmente, sembra, noi occidentali potremo farne a meno.