Per Claudio Cerasa, direttore del Foglio, Meda è il vero pericolo di oggi. Sì, avete letto bene: Meda. Lo scrive nel suo editoriale firmato con la sua classica ciliegia. Ma Meda? Guido Meda, il mito delle telecronache motociclistiche? Il punto di riferimento della MotoGP e dello sport su Sky? Fortunatamente no, qui Meda è un’altra cosa. Un acronimo, un presagio, un’ossessione politica. Make Europa Dead Again, secondo Cerasa.
Per Cerasa, Meda (l’acronimo, non Guidone) è il vero pericolo dietro le politiche trumpiane e dietro le scelte di Giorgia Meloni. dietro le politiche trumpiane e dietro le scelte di Giorgia Meloni. E se Maga (Make America Great Again) era già indigesto agli euroconvinti, e Mega (Make Europa Great Again) sembrava una forzatura da soft power, Meda è la versione hardcore: la fine dell’Europa, o perlomeno di quella che abbiamo conosciuto finora.
Trump, Musk e la sindrome da guerra commerciale
Cerasa costruisce il suo ragionamento come una scalata al vertice del protezionismo trumpiano, con l’approccio di chi sa che il pubblico vuole un nemico chiaro. I dazi voluti dall’ex presidente americano, argomenta, “daranno uno choc immediato alle economie nordamericane e mondiali”, citando il Financial Times, e produrranno un effetto autolesionistico sugli stessi Stati Uniti. Ma c’è di più: questa guerra commerciale per il direttore del Foglio è il riflesso di qualcosa di molto più grande, un disegno strategico che mira a dividere l’Europa per isolarla: “Avere un’Europa più disgregata, più debole, meno coesa è il primo obiettivo del presidente americano”, scrive Cerasa, aggiungendo che questa è la vera posta in gioco del nuovo ordine trumpiano.
E se Trump è il generale, il suo braccio destro mediatico è Elon Musk. L’uomo più ricco del mondo sostiene politicamente tutti i partiti che mirano a “rendere non l’Europa un pochino più grande (great again), ma un pochino più debole (dead again)”.
Meloni l’equilibrista impossibile?
E qui entra in scena la protagonista principale della politica italiana: Giorgia Meloni, sospesa tra due poli al momento inconciliabili. Da una parte, l’Europa che la premier deve dimostrare di non voler affossare. Dall’altra, il richiamo dell’alleato Trump, che invece pare volere un’Europa divisa e vulnerabile. Cerasa tratteggia così la sfida: “Essere trumpiani provando a tenere insieme l’Europa anti-trumpiana senza diventare una nemica di Trump ed evitando che il trumpismo possa diventare un problema grave per gli amici di Trump”. Un numero di equilibrismo geopolitico che farebbe impallidire Philippe Petit sulla fune tra le Torri Gemelle.
Ma c’è di più: se la Meloni ha trovato sintonia con il trumpismo sui temi dell’immigrazione – “meglio non far sapere però a Trump che nell’attesa di perfezionare il modello albanese l’Italia di Meloni ha messo in campo la politica di accoglienza di migranti più importante della storia d’Italia” – sul piano economico la strada è tutt’altro che tracciata.
Dazi o libero scambio? L’errore da non fare
La chiave, secondo Cerasa, non è giocare a chi impone più dazi, ma semmai “moltiplicare quegli accordi di libero scambio in giro per il mondo (come il Mercosur) che potrebbero aiutare le nostre imprese a esportare di più e i paesi europei a crescere di più”. Perché le guerre commerciali, lo dimostra la storia, sono sempre finite male. “Il punto vero che molti follower del trumpismo spesso fingono di non cogliere”, sottolinea Cerasa, “è che la politica dei dazi di Trump è lo specchio perfetto di tutto quello che i seguaci del trumpismo cercano di nascondere quando parlano del proprio beniamino alla Casa Bianca”.
Insomma, la sfida di Meloni non è solo con la sua coalizione, né solo con Bruxelles. È con la geopolitica economica stessa. Può provare a essere il “ponte” tra l’America di Trump e l’Europa di Ursula von der Leyen. Ma quanto tempo potrà restare in piedi prima che qualcuno lo faccia crollare?
Meda, l’incubo dell’Europa e la lezione da imparare
Il finale dell’analisi di Cerasa è chiaro: l’Europa ha due strade. Una, quella di chi pensa di poter sopravvivere senza una strategia comune, con “più bilaterali e meno unione”. L’altra, quella di chi capisce che l’unico modo per resistere è muoversi in modo compatto. Se l’Europa pensa di giocare in difesa contro Trump e Musk, è già spacciata. Se invece decide di alzare il livello della partita, potrebbe persino trasformare Maga e Meda in Mega.
Perché se c’è una cosa che il mondo dovrebbe aver capito, dopo decenni di onde sovraniste e protezioniste, è che la globalizzazione non si ferma con un tweet o con un dazio. E se Giorgia Meloni vuole davvero essere un leader che lascia il segno, dovrà scegliere bene da che parte stare. Quindi? Chi lo sa. Nel dubbio, viva Meda. Guido.