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Ma la pubblicità delle sigarette elettroniche è vietata o legale? “Conflitto di interessi tra istituzioni e brand del tabacco”: parla l'avvocato Massimiliano Dona

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

11 gennaio 2024

Ma la pubblicità delle sigarette elettroniche è vietata o legale? “Conflitto di interessi tra istituzioni e brand del tabacco”: parla l'avvocato Massimiliano Dona
Nonostante la legge italiana vieti in maniera assoluta la pubblicità (diretta e indiretta) di prodotti legati al fumo e al consumo di tabacco, nei centri commerciali o negli aeroporti la promozione di sigarette elettroniche avviene normalmente. Massimiliano Dona, avvocato ed esperto di tutela dei consumatori, ha messo in luce la questione su Instagram: “Le istituzioni attanagliate da un gravissimo conflitto di interesse…”. Ma come fanno i brand del tabacco ad aggirare il divieto?

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

“O mi sono perso e sto girando a vuoto in questo centro commerciale, oppure c’è più di un chiosco che ci propina la sigaretta elettronica”: è l’avvocato Massimiliano Dona a chiederselo in un video su Instagram. Dona mette in evidenza alcune gravi contraddizioni del sistema delle pubblicità di prodotti legati all’utilizzo del tabacco, strumenti che permetterebbero un avvicinamento maggiore al fumo, soprattutto per i giovani: “La sigaretta elettronica è una porta d’accesso per gli adolescenti”. Ma com’è possibile che una simile promozione sia permessa, dato che in Italia c’è un esplicito divieto di fare pubblicità a qualsiasi prodotto da fumo? In effetti, la Legge 52 del febbraio 1983 chiarisce che, riportando le parole dalla pagina del ministero della Salute, “‘la propaganda pubblicitaria di qualsiasi prodotto da fumo, nazionale o estero è vietata’, senza fare distinzioni tra pubblicità diretta e indiretta”. A questa prima definizione si sono aggiunti altri quattro decreti che hanno reso ancora più stringente e dettagliato il divieto di promuovere l’uso del tabacco. L’ultimo di questi decreti, approvato nel 2016, prevede anche che le confezioni non contengano elementi che lascino “intendere che un determinato prodotto del tabacco sia meno nocivo di altri o miri a ridurre l’effetto di alcuni elementi nocivi del fumo”. Insomma, la legge sembra chiara sul tema. L’interpretazione, però, è meno stringente: “In Italia ci sarebbe, il condizionale è d’obbligo, un divieto assoluto di pubblicità del fumo”. Il fumo, nelle sue varianti elettroniche, “non dovrebbe essere alla portata di tutti”. La pubblicità delle sigarette elettroniche (Iqos di Philip Morris, Glo di British American Tobacco e Ploom di Camel) invece è “aggressiva e presente ovunque. Passi un tabaccaio, ma un centro commerciale, un aeroporto… Davvero non se ne può più”.

Quello dell’avvocato, però, non è un discorso etico, legato a qualche considerazione morale (che comunque potrebbe essere messa in campo): “Sì, lo so, potremmo parlare anche del gioco, dell’alcol. Però, intanto, il fumo alternativo fa male comunque”. La cosa più grave, però, è che le aziende del settore si difendono grazie al loro sostegno all’agricoltura del nostro Paese. Un conflitto di interessi per cui bastano “investimenti qua e là” per garantirsi spazio promozionale nei luoghi più diversi. Ed è paradossale la difesa sulla linea “pubblicità agli apparecchi e non al tabacco”, data la vicinanza tra i due mondi, “un segreto di Pulcinella al quale purtroppo credono le nostre Istituzioni”. A cosa serve, quindi, l’allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità se poi vengono permesse certe cose? “Stando così le cose possiamo perdere fiducia nel futuro?”, si chiede Dona. Se anche le istituzioni dedicate alla tutela della salute non riescono ad andare oltre simili ambiguità, non possiamo poi scandalizzarci se queste, soprattutto agli occhi dei giovani, non siano più credibili.

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