Diretto e il più possibile chiaro: Papa Francesco è morto e per capire chi è morto, al di là delle idee riassunte in qualche articolo, bisogna capire cosa rappresentasse. Quando muore un Papa non muore semplicemente un “premier”, un politico che ha “detto qualcosa”. Quando muore un Papa muore una figura strana, unica nel suo genere, soprattutto in Occidente. Ma è morto da poche ore e non c’è tempo per riflettere. La sinistra e la destra già se lo litigano. Papa rivoluzionario, green, pacifista, non violento. Papa anti-gender e, nei fatti, meno woke di quel che sembrava (dal sacerdozio femminile ai matrimoni per gli omosessuali). Quasi nulla sui cinque dubia (se non sapete cosa sono leggete qui) e le sue risposte, pochissimo commento alle Encicliche, nessun riferimento alla sua cultura e formazione di gesuita. Ma soprattutto, niente sulla prima parte di quella diade fondamentale. Non solo Francesco, un nome che rimanda al Santo dei poveri, dell’umiltà, dell’altruismo totale. Ma Papa. Cosa vuol dire essere papi? Davvero il Papa è di sinistra o di destra? Per capirlo bisognerebbe leggere un altro pontefice frainteso sia da destra che da sinistra, Benedetto XVI.
Benedetto XVI lo spiega bene durante la messa di insediamento il 7 maggio 2005: “Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”. Se è davvero così, allora nessun Papa deve essere preso come un jukebox di sentenze buone per ogni stagione politica, a prescindere dal significato profondo. Non serve la fede per credere alle parole di un Papa, ma serve conoscere la Chiesa per comprenderle davvero. Nessuna frase ufficiale di un Papa è la frase di un uomo che non deve rendere conto a Dio e ai suoi rappresentanti in terra. Così, nessuna delle frasi di Papa Francesco deve essere presa come slogan da piazza: né quando condanna la guerra e scrive di ambientalismo, né quando condanna l’ideologia gender. Quel che dice è un contrappunto su un tema già dato, che è quella della Chiesa cattolica. Questo concetto viene anche definito, in modo apparentemente complesso, “ermeneutica della continuità”. La fede non è una serie di punti separati tra loro, ma un fiume, un’intelligenza viva, non c’è l’interruttore. Non esiste Papa Francesco senza i suoi predecessori, così come non esiste un papa senza i suoi successori.

Lo spiega ancora una volta Benedetto XVI in Elogio della coscienza: “Il vescovo [dunque anche il vescovo di Roma, cioè il papa, ndr] è un testimone dei mores ecclesiae catholicae, di quelle regole di vita che si sono sviluppate nella comune esperienza della coscienza credente nella lotta con Dio e con la realtà storica”. Non è un battitore libero, un parvenu. Deve conoscere la tradizione, “poiché si tratta di una tradizione che nasce dalla coscienza e che parla alla coscienza”. Esistono, certo, gli errori di percorso, i momenti di discontinuità, le divergenze nell’interpretazione, soprattutto quando si esce dal campo teologico e si entra in quello dell’attualità (una su tutti: l’idea di pace di Papa Francesco, radicalmente diversa da quella del suo predecessore). Ma nulla è sufficiente a tagliare ai bordi il filo che lega Bergoglio alla storia della Chiesa che ha rappresentato. Certo accentrando su di sé un modello di comunicazione decisamente eccentrico, molto diretto, netto, in questo senso forse rivoluzionario, certo. Ma è questione di forma, più che di sostanza. Mentre c’è chi si stupisce di scoprire Papa Francesco meno “queer” e transfemminista di quel che si credeva, bisogna chiedersi: ma dal papa volete questo? Che sia più o meno queer, più o meno contro i femminicidi, più o meno contro l’inquinamento. Cos’è, Taylor Swift? No, non è un influencer, che deve posizionarsi. E usarlo per questo, anche quando magari è sembrato che fosse sua intenzione esporsi secondo le logiche “laiche” e secolarizzate del dibattito pubblico, non è solo sbagliato, ma comico.
