Quante volte avete sentito dire che il mondo è governato dai “poteri forti”? Quando qualcosa non torna - in politica, in economia, negli affari – c'è sempre qualcuno che rammenta una fantomatica mano invisibile che deciderebbe tutto quello che conta, in barba a democrazia, regole e diritti internazionali. E se vi dicessimo che è vero? Oggi quella mano invisibile sembra appartenere a una élite senza volto che comprende grandi e grandissimi fondi d'investimento. Sono entità mastodontiche che hanno un unico scopo: investire per fare profitto, per poi moltiplicarlo ancora, ancora e ancora. Forse li avrete sentiti nominare in merito a notizie di acquisti di società o robe similari elogiati dalla stampa mainstream come se fossero i salvatori dell'Economia con la “e” maiuscola. I più importanti di loro si chiamano Blackrock, Vanguard, State Street. Sono i cosiddetti “colossi del risparmio gestito” e controllano, insieme a pochi altri attori, qualcosa come oltre 50 miliardi di dollari. Ossia “dieci volte il bilancio annuale degli Stati Uniti”, come ha spiegato Alessandro Volpi, storico dell'università di Pisa che al fenomeno ha dedicato molteplici libri, l'ultimo intitolato “La guerra della Finanza” (Laterza).

E quindi? Beh, se vi pare poco... Fondi del genere sono così ricchi, così strategici, così intrecciati con l'economia globale da poter essere in grado di influenzare, o peggio ricattare, governi e Paesi in base ai loro interessi speculativi. Interessi, si badi bene, che non coincidono quasi mai con quelli di esecutivi, nazioni e cittadini. È per questo che li chiamano i “poteri forti”, che sono temuti da tutti e che nessuno sa bene come funzionino. Certo, hanno amministratori delegati e dirigenti, ma le loro facce sono note giusto agli addetti ai lavori. Al popolo arriva forte e chiaro il loro nome: nomen omen. Abbiamo parlato di Blackrock, Vanguard e State Street. Loro sono i Big Three, i migliori del campo. Hanno partecipazioni azionarie in ogni azienda che conti. La lista è lunghissima, infinita, e impossibile da riportare per intero. Blackrock, per esempio, possiede tre quarti di Unicredit, è il principale azionista di Intesa e il secondo, dopo lo Stato italiano, di Eni, Enel, Terna e Snam, cioè il nostro fiore all'occhiello (almeno in teoria). Vanguard e State Street non possono certo lamentarsi, controllando rispettivamente il 3% di Generali e quote di Fineco. Infine, dato che siamo in un clima di guerra permanente, le Big Three detengono il 30% del capitale di Lockheed Martin, l'azienda statunitense che produce i famigerati caccia F-35.

I Big Three sono tutti americani ma hanno un serio problema: hanno fatto incaz*are Donald Trump, che di mestiere fa il presiedente degli Stati Uniti d'America. Il motivo è il seguente: il presidente Usa ha scelto di schierarsi con l'universo delle criptovalute e degli hedge fund, i fondi più speculativi, convinto che criptovalute e dazi siano l'unico modo per difendere il predominio del dollaro sull'economia mondiale. I grandi fondi, poi, sono globalisti per natura e apprezzano tassi alti della Federal Rserve, la Banca centrale degli Stati Uniti, perché così possono incrementare le loro ricchezze: l'esatto opposto di Trump che vorrebbe ridimensionarli. Insomma, nel ventre del capitalismo occidentale è in corso una guerra fratricida che ha spinto i fondi, sempre loro, a mettere nel mirino l'Europa: una preda ambitissima per la sua forte liquidità nell'ambito del risparmio. Se non si possono più fare affari d'oro negli Usa, hanno pensato i Big Three, spostiamoci allora nel Vecchio Continente. Detto, fatto. Qui, tra l'altro, le sponde non mancano. Prendete il cancelliere tedesco Friedrich Merz: era un ex dirigente di Blackrock e, guarda caso, ha promosso una riforma costituzionale per finanziare un riarmo senza precedenti da parte della Germania. Vuoi vedere che alla fine hanno ragione quelli? Quelli che collegano le decisioni della politica all'azione dei “poteri forti” senza volto?
