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Ma perché dopo il G8 di Genova, Carlo Giuliani, Diaz e Bolzaneto LA SINISTRA È DIVENTATA LA DESTRA (e viceversa)? Il sogno no global è fallito. La soluzione? L’anarchia (che non significa caos, ma…)

  • di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

  • Foto: Ansa

21 luglio 2025

Ma perché dopo il G8 di Genova, Carlo Giuliani, Diaz e Bolzaneto LA SINISTRA È DIVENTATA LA DESTRA (e viceversa)? Il sogno no global è fallito. La soluzione? L’anarchia (che non significa caos, ma…)
Genova 2001: sogno, incubo o spartiacque? Da quel G8, tra fumo, sangue e ideali, Carlo Giuliani, Diaz e Bolzaneto, qualcosa si è spezzato. La sinistra è diventata destra, e viceversa. Ma cosa resta oggi di quel grido? E chi ha davvero raccolto l’eredità dei no-global? Forse nessuno: ecco perché serve l’anarchia (che, attenzione, non vuol dire il caos)

Foto: Ansa

di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

Sono passati ventiquattro anni da quel luglio 2001, quando Genova divenne il teatro di uno scontro epocale, non solo tra manifestanti e forze dell’ordine, ma tra visioni del mondo, speranze di cambiamento e un sistema globale che si stava consolidando sotto il segno del neoliberismo. Il G8 di Genova non è stato solo un evento storico, ma un punto di rottura, un momento in cui la modernità, intesa come fiducia in un progresso lineare e in istituzioni al servizio del bene comune, ha mostrato le sue crepe insanabili.

Per comprendere il significato del G8 di Genova, dobbiamo tornare al contesto di fine anni Novanta e inizio anni Duemila. Il mondo era in preda a un’euforia neoliberista. La caduta del Muro di Berlino nel 1989 aveva sancito, secondo la narrazione dominante, la vittoria del capitalismo occidentale. La globalizzazione, intesa come liberalizzazione dei mercati, finanziarizzazione dell’economia e predominio delle multinazionali, sembrava un destino ineluttabile. Ma non tutti erano d’accordo. Il movimento no-global, nato a Seattle nel 1999 durante le proteste contro l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), aveva dato voce a un’eterogenea coalizione di attivisti, ambientalisti, sindacalisti, movimenti cattolici e anarchici, uniti dalla convinzione che un’altra globalizzazione fosse possibile: una globalizzazione dal basso, basata sulla giustizia sociale, la tutela dell’ambiente e la redistribuzione delle risorse. Come ricorda Mario Pianta in un’intervista a Valori.it, il movimento no-global aveva colto i limiti del modello neoliberista, prevedendo le crisi che sarebbero esplose negli anni successivi, dalla crisi finanziaria del 2008 ai cambiamenti climatici.

Uno degli scontri al G8 di Genova Ansa
Uno degli scontri al G8 di Genova Ansa

A Genova, nel luglio 2001, circa 300 mila persone si riunirono per protestare contro il G8, il summit delle otto potenze economiche mondiali (Canada, Stati Uniti, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Italia e Russia). Non era solo una contestazione economica, ma un grido contro un sistema che concentrava la ricchezza nelle mani di pochi, devastava l’ambiente e marginalizzava i paesi del Sud del mondo. Il Genoa Social Forum, che coordinava le proteste, proponeva un’agenda alternativa: la cancellazione del debito per i paesi poveri, la Tobin Tax per limitare la speculazione finanziaria, e una globalizzazione rispettosa dei diritti umani. Tuttavia, Genova non fu solo il palcoscenico di un dissenso pacifico. Fu anche il teatro di una violenza senza precedenti, che culminò nella morte di Carlo Giuliani, negli abusi alla scuola Diaz e nelle torture nella caserma di Bolzaneto. Questi eventi segnarono non solo la fine di un sogno, ma anche una crisi profonda della fiducia nelle istituzioni democratiche.

L’anarchia, intesa non come assenza di ordine, ma come capacità di costruirlo secondo principi autonomi e intersoggettivi, offre una lente per leggere Genova 2001. Quel luglio, l’autorità statale mostrò il suo volto più brutale. La morte di Carlo Giuliani, un giovane di 23 anni ucciso da un colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica in piazza Alimonda, non fu solo una tragedia individuale, ma il simbolo di un sistema che, di fronte al dissenso, sceglie la repressione anziché il dialogo. Come documentato da Il Post (19 luglio 2021), Giuliani fu colpito senza nessuna ragione, in un contesto caotico in cui una camionetta dei carabinieri era stata accerchiata. Placanica fu prosciolto per legittima difesa, ma la dinamica dell’evento, con il Defender che passò due volte sul corpo di Giuliani, e l’assenza di soccorsi immediati, alimentò un senso di ingiustizia profonda.

Ancora più scioccanti furono gli eventi della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto. Nella notte del 21 luglio, la polizia fece irruzione nella scuola Diaz, dove dormivano attivisti del Genoa Social Forum. L’operazione, guidata da Vincenzo Canterini, fu giustificata con l’accusa – poi rivelatasi falsa – che nella scuola si trovassero armi e black bloc. I manifestanti furono picchiati selvaggiamente, alcuni in modo così grave da richiedere il ricovero. A Bolzaneto, i fermati furono sottoposti a umiliazioni, pestaggi e torture psicologiche, privati del diritto di contattare avvocati o familiari. Come riportato da Wired Italia (15 maggio 2021), la produzione di prove false da parte delle forze dell’ordine per giustificare l’irruzione alla Diaz aggravò il senso di tradimento verso le istituzioni.

Questi episodi non furono semplici “eccessi” di ordine pubblico, ma il risultato di una strategia deliberata. La militarizzazione di Genova, con zone rosse inaccessibili e l’uso di lacrimogeni al gas Cc (vietati dalla convenzione di Parigi del 1997), rifletteva un’arroganza istituzionale che vedeva nel dissenso una minaccia da schiacciare. Come scrive Giovanni Mari in Genova, vent’anni dopo (People, 2021), le forze dell’ordine fallirono nel garantire la sicurezza nel rispetto dei diritti, mentre il governo Berlusconi, in carica da pochi mesi, ereditò e amplificò una gestione autoritaria dell’ordine pubblico. Questo tradimento della fiducia nelle istituzioni ha segnato una cesura: la modernità, con la sua promessa di progresso e democrazia, si è rivelata incapace di dialogare con chi chiedeva un mondo più giusto.

Una delle scene di devastazione al G8 di Genova Ansa
Una delle scene di devastazione al G8 di Genova Ansa

L’inversione delle polarità: destra, sinistra e il paradosso della globalizzazione

Uno degli aspetti più sorprendenti dei ventiquattro anni successivi al G8 di Genova è l’inversione delle categorie politiche tradizionali. Nel 2001, la sinistra, o almeno una sua parte, era in piazza contro la globalizzazione neoliberista. I no-global, come ricorda Pianta, proponevano una critica radicale al capitalismo globale, denunciando la finanziarizzazione, le diseguaglianze e la devastazione ambientale. La destra, invece, incarnata in Italia dal governo Berlusconi, era entusiasta del G8 e del modello neoliberista. Eppure, oggi assistiamo a un curioso capovolgimento: le destre sovraniste, come la Lega o Fratelli d’Italia, hanno fatto propria una retorica anti-globalista, mentre la sinistra istituzionale si è spesso allineata al progetto globalizzante, difendendo istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea o il Wto.

Questo scambio di usanze è emblematico di un fallimento più ampio. La sinistra ha dissipato il potenziale del movimento no-global, lasciando che le sue parole d’ordine fossero cooptate dalla destra populista. La decisione di Piero Fassino, allora segretario dei Ds, di ritirare la partecipazione del partito alla manifestazione del 21 luglio sancì una frattura tra la sinistra di piazza e quella istituzionale, mai più ricomposta. Nel frattempo, figure come Donald Trump o Jair Bolsonaro hanno cavalcato il malcontento contro la globalizzazione, trasformandolo in una narrazione reazionaria che rifiuta il cosmopolitismo in nome di un nazionalismo chiuso e xenofobo.

Il pensiero sovversivo è stato smarrito dopo Genova: i sistemi di governance attuali hanno rivelato i loro limiti, così come le strutture intellettuali che dovevano farne da apparato critico. La sinistra ha perso la capacità di immaginare alternative radicali, accettando spesso il quadro neoliberista come inevitabile. Al contempo, la destra ha strumentalizzato il disagio sociale, ma senza offrire soluzioni reali. Questo paradosso riflette una crisi più profonda: la globalizzazione, lungi dall’universalizzare diritti e giustizia, ha amplificato le diseguaglianze, come previsto dai no-global. La concentrazione della ricchezza, la delocalizzazione delle aziende e la perdita di sovranità degli Stati, denunciate nel 2001, sono oggi realtà innegabili.

Una delle proteste pro Carlo Giuliani
Una delle proteste pro Carlo Giuliani Ansa

Il fallimento di un sogno e la sua eredità

Il G8 di Genova fu il culmine di un sogno: quello di una “globalizzazione dal basso” che unisse popoli e culture in nome della giustizia. Ma quel sogno si infranse contro la repressione e la mancanza di un’alternativa sistemica. Come ammoniva Immanuel Wallerstein al Forum Sociale Mondiale del 2001, la fine del neoliberismo non garantisce automaticamente un futuro più giusto; al contrario, può aprire la strada a derive autoritarie. E così è stato. Le crisi successive – dal 2008 alla pandemia, fino ai cambiamenti climatici – hanno confermato le analisi dei no-global, ma senza che emergesse un movimento capace di capitalizzarne l’eredità.

Eppure, non tutto è perduto. L’anarchia filosofica offre un’arma per resistere a un sistema che interpreta la vita umana in modo sempre più oppressivo. Non si tratta di caos, ma di un ordine basato sulla libertà e sulla responsabilità individuale. Genova ci ha insegnato che le istituzioni non sono sempre al servizio del popolo; per questo, dobbiamo costruire comunità di resistenza che pratichino la giustizia nella vita quotidiana. Movimenti come Fridays for Future o le imprese responsabili citate da Leonardo Becchetti su Vatican News (20 luglio 2021) mostrano che è possibile agire dal basso, anche senza una rivoluzione sistemica.

L’eredità di Genova è duplice. Da un lato, ci ricorda il fallimento di un sistema che reprime anziché ascoltare. Dall’altro, ci spinge a non arrenderci. La filosofia deve scardinare la realtà che diamo per scontata e aprire a mondi possibili. Genova ci invita a immaginare mondi in cui la giustizia non sia un’utopia, ma una pratica quotidiana. Libri come Globalizzazione dal basso di Mario Pianta (Manifestolibri, 2001) o Genova, vent’anni dopo di Giovanni Mari offrono strumenti per comprendere quel passato e costruire un futuro diverso.

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Il mondo dopo il 2001: un cambiamento globale

Il 2001 non fu solo l’anno di Genova, ma anche dell’11 settembre, che cambiò per sempre il panorama geopolitico. La “guerra al terrore” inaugurata dagli Stati Uniti spostò l’attenzione globale dalla critica al neoliberismo alla sicurezza e al controllo, soffocando ulteriormente il dibattito sulla giustizia sociale. In Italia, il governo Berlusconi sfruttò il clima post-11 settembre per giustificare una stretta autoritaria, mentre in Europa e nel mondo le istituzioni sovranazionali continuarono a consolidare il modello neoliberista.

Ventiquattro anni dopo, il mondo è profondamente diverso. La crisi climatica, la digitalizzazione, l’ascesa dei populismi e le nuove diseguaglianze hanno confermato molte delle preoccupazioni dei no-global, ma hanno anche evidenziato la necessità di un nuovo linguaggio politico. La sinistra deve recuperare la capacità di immaginare alternative radicali, mentre la destra deve essere sfidata sul terreno della coerenza: il suo anti-globalismo è spesso una facciata per proteggere privilegi locali, non per promuovere giustizia.

Raccogliere i frammenti di Genova

Genova 2001 non fu solo una sconfitta, ma anche un monito. Ci ha mostrato che il potere, quando minacciato, risponde con la forza; ma ci ha anche insegnato che il dissenso può generare idee capaci di sopravvivere alla repressione. L’eredità del G8 è nei movimenti che continuano a lottare per un mondo più equo, dalle piazze di Fridays for Future alle comunità che praticano l’economia solidale. La sfida è trasformare il fallimento di un sogno in un nuovo inizio, costruendo un ordine che non si basi sull’autorità, ma sulla collaborazione e sulla giustizia. Genova non è solo un ricordo: è un invito a non smettere di immaginare.

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