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Carlo Giuliani moriva 23 anni fa al G8 di Genova e quello che resta è che ci siamo disabituati alla lotta e ci lamentiamo solo delle caz*ate

  • di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

20 luglio 2024

Carlo Giuliani moriva 23 anni fa al G8 di Genova e quello che resta è che ci siamo disabituati alla lotta e ci lamentiamo solo delle caz*ate
Non siamo più abituati a lottare. Viviamo in una società che preferisce guardare il dito (le polemiche su Renzi e Schlein, il caso Morgan) anziché la luna (i diritti calpestati, come quello al lavoro, e le carceri sovraffollate). Se definiamo "criminali" i ragazzi di Ultima Generazione come avremmo dovuto definire i ragazzi di Genova del 2001? La verità è che nessuno vuole davvero ribaltare lo status quo come ha cercato di fare 23 anni fa Carlo Giuliani. Ecco perché oggi una lotta come quella del G8 non è più ipotizzabile

di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

“Amò hai preso l'acqua? Il telo da mare? La crema?”. La mia ragazza sta rifacendo il letto e ciabatta per casa prima di scendere a farci una santa mezza giornata di sole ombrelloni e mare sul litorale tarantino versante occidentale, quasi al confine con la Basilicata. Controllo tutto ciò che mi ha chiesto e sì, non manca niente. “Solo i panini ci dobbiamo fermare a fare... Così non perdiamo tempo a cucinare”, le faccio di rimando. È il 20 luglio 2024. 23 anni fa, moriva Carlo Giuliani durante il G8 di Genova, sparato in testa da Mario Placanica durante tafferugli intensi in Piazza Alimonda. Stamattina, inconsciamente, ascoltavo Zeta Reticoli dei Meganoidi. Una canzone che resiste. Non resiliente, la resilienza ha rotto il caz*o. La resilienza porta a caricarti sulle spalle le difficoltà e ad accettarle senza compromessi, sorridendo magari, del tipo “e che ci puoi fare? Va così!”, mentre la resistenza è agire contro quello che non va, anche a rischio di farsi male.

Carlo Giuliani
Carlo Giuliani

Al bando le maschere da maschi alpha e puttana*e varie: scoppio a piangere durante l'ennesima riproduzione di Zeta Reticoli, mentre mi sto facendo la barba con un rasoio già vecchio che mostra incrostazioni di ruggine ai bordi delle lamette. Scoppio a piangere e butto tre quattro cazzotti forti sul lavandino di ceramica. Mi risale una murena malvagia dalle viscere ed esplode nei polmoni. “Ostinato a ripetere tra i denti! Brucia ancora! Che prima o poi ritornerò! Conservo di nascosto, sempre lo stesso smalto!”. “Amò ti sei dato al karaoke?!”, ho urlato assai. Ma ne avrei di cose da dire. Il problema è che ci siamo disabituati alla contestazione, alla critica, alla lotta, in nome di un'accettazione della realtà che pur non piacendoci affatto sentiamo di non poter combattere. Ventitré anni fa andava in scena a Genova l'ultimo bagliore aggregativo di gente che pensava, sperava, voleva cambiare l'ordine delle cose. Uno spirito no global, egualitario, che lottava contro la cattiveria del capitalismo. Se guardiamo indietro attraverso foto, interviste, documentari e poi osserviamo quello che ci circonda oggi, il minimo che possa venirti è uno sconforto misto a rabbia da sfogare in una birra, in una sigaretta fumata di nervo o in una sessione di sparring intensiva. Carlo Giuliani era un ragazzo come me, come te, come noi. A volte facciamo scelte estreme. Perché crediamo in qualcosa a tal punto da superare i limiti convenzionali. Chissà cosa farebbe e penserebbe oggi Carlo se fosse ancora vivo.

assalto ai carabinieri

Oggi la società che abbiamo voluto parla di Renzi e Schlein in campo, ma sottace sulle violenze del mondo come l'eccidio palestinese, uno scandalo di ipocrisia occidentale senza mezzi termini. La società che abbiamo voluto preferisce creare hype mediatico sulla difesa social di Morgan alle accuse di stalking (e pochi hanno fatto approfondimento reale sul perché una procura non abbia attivato i servizi di protezione verso Angelica Chiatti pur avendo ricevuto prove e denuncia di molestie reiterate già quattro anni fa, ma ci si è sperticati su Bugo che commenta il post della Warner che trancia i rapporti con Morgan), ma non si alza un filo di voce riguardo al lavoratore della Coop di Cesena licenziato perché avrebbe mangiato una merendina non destinata alla vendita in un momento in cui si stava sentendo male. La società che abbiamo voluto non vuole sentire parlare di salario minimo o di un controllo sui canoni di affitto, ma abbassa i metri quadri consentiti per definire abitabile un monolocale e un bilocale. Gli esponenti della società che abbiamo voluto si lamentano della scarsità di lavoratori nella ristorazione o nella filiera agroalimentare, ma verosimilmente non hanno mai fatto turni di 14 ore 7 giorni su 7 ad agosto a 1000€ al mese e non hanno mai passato un'alba a raccogliere pomodori per poi finire in ospedale con qualche incidente che manco puoi denunciare. Penso ai doppi turni nei ristoranti in cui ho lavorato, ai tagli sulle dita. Penso agli stage non retribuiti, alle agenzie di marketing che fanno campagne di inclusione lgbtqia+ e poi sottopagano i social media manager a 800€ al mese per 40-50 ore di lavoro settimanali. Penso a come è morto Satnam Singh e al proprietario dell'azienda agricola dove lavorava che ne parla come se fosse un animale da mandare al macello, un incidente di percorso che metti in conto. Penso alle carceri sovraffollate e mantenute in condizioni incivili in cui si suicidano sempre più detenuti.

In tutto questo pandemonio, una lotta come quella del G8 non è più ipotizzabile, ad oggi. Non è accettabile. Se definiamo criminali i ragazzi di Ultima Generazione che bloccano il traffico e imbrattano i monumenti, come dovremmo definire i manifestanti di quel G8? Mostri disumani, terroristi. Oggi vige il simulacro folkloristico del dissenso, questo sì che è tollerabile. Sfilate sui diritti civili, dibattiti, piccole iconografie in cui prendere posizione senza però davvero cercare di ribaltare lo status quo. D'altronde accettiamo tranquillamente un governo che vuole eliminare il reato di tortura e che vuole mandare in galera fino ai 25 anni chi si oppone e sabota le Grandi Opere Industriali, delegittimando e demolendo movimenti come quello No TAV. Ventitré anni fa si scendeva nelle strade di Genova per contrastare la globalizzazione, un fenomeno strisciante che poco a poco si è insediato nelle nostre abitudini quotidiane. Veniteci a dire che chi vedeva in quella riunione di potenti il prologo di un mondo allo sbaraglio stava sbagliando. Veniteci a dire che siamo esagerati, che esasperiamo, che non ci impegniamo abbastanza nel privato per diventare economicamente autosufficienti, che la meritocrazia è dilagante ed effettiva, che viviamo in un mondo tranquillo, che tutto sommato si vive bene qui in Italia perché il sole, il mare, la bella vita, il limoncello, la campagna, la pasta fresca, la sanità pubblica. Ma non c'è tempo per rifletterci. Dobbiamo gustarci un altro reel foodporn, l'ennesima collab tra brand streetwear e di alta moda, la coalizione europea che non trova una quadratura, la polemica sull'aeroporto Silvio Berlusconi. Non c'è spazio per la rivoluzione. Oggi il dissenso va bene solo quando è acclimatato, mediato, addolcito. Qualunque azione che preveda uno scontro frontale è considerata scandalosa, inaccettabile, folle. Carlo Giuliani, se fosse ancora vivo, probabilmente sarebbe schifato da come ci comportiamo. Non sarebbe stato un resiliente. Ma un resistente. E questo scritto non cambierà un caz*o, ma almeno mi fa smettere di piangere.

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