Zerocalcare è stato uno dei primi a farsi portavoce della vicenda di Ilaria Salis, maestra elementare detenuta a Budapest da più di un anno con l’accusa di aver partecipato all'aggressione di due neonazisti (nel giorno di una commemorazione delle SS). Il fumettista romano ha fin da subito preso posizione, difendendo Ilaria e, proprio come lei, scegliendo di assumersi la responsabilità di schierarsi dalla parte della storia che ritiene giusta, perché chi ha il coraggio di assumersi questo genere di responsabilità merita rispetto: “Chi invece si sente tranquillo e pieno di certezze, da che parte della storia sta?”. Michele Rech ha pubblicato due fumetti su Internazionale che ripercorrono la storia di Ilaria, compreso un reportage a Budapest in cui racconta la sua esperienza all’ultima udienza del processo contro Ilaria, un lavoro in cui non c’è spazio per nessun “se fosse rimasta a casa non le sarebbe accaduto nulla”. Perché la realtà è un’altra. Eppure, come ha spiegato Zero, da parte dell’opinione pubblica continua ad esserci una grande difficoltà nell’empatizzare con Ilaria: “Sono super onesto anche nel dichiarare i fallimenti, nel senso che ci sono alcune cose che nonostante tutta la buona volontà poi uno si rende conto che non funzionano. La vicenda di Ilaria Salis mette in fila una serie di questioni culturali, prima ancora che politiche, che rendono particolarmente difficile ragionare attorno a questo tema, ed empatizzare”. Michele Rech indica quali sono i problemi che, secondo lui, gravitano attorno alla vicenda di Ilaria: “Uno è la questione del carcere. Negli ultimi vent’anni di carceri in questo paese se ne è parlato pochissimo, e a sinistra lo si è fatto solo nell’arco istituzionale e parlamentare, per dire che Berlusconi doveva andare in galera e bisognava buttare via la chiave. Nient’altro. Il carcere è scomparso completamente dal discorso pubblico”.
Per Zerocalcare le critiche sul suo orientamento politico non sono una novità: “Un sacco di gente mi diceva ‘adesso non ti leggerò più perché ho scoperto che non sei nazista come me’. Adesso i nazisti che mi leggono, se ancora mi leggono, non mi scrivono più lamentandosi. La vivono come una contraddizione loro. Sulla considerazione del carcere ci sono ancora grosse difficoltà: ‘Se in qualche modo stanno lì dentro se la sono cercata, non deve essere un albergo a cinque stelle, se non facevano niente il problema non si poneva’. Uscire fuori da questo schema è molto complicato”. Ma il vero problema, racconta, è un altro: “La questione della figura della vittima. A me sembra che noi nel corso degli ultimi decenni riusciamo a empatizzare, difenderci e rivendicarci solo nella figura della vittima. Di questa cosa me ne accorgo anche sul G8 di Genova, nel senso che ogni anno nessuno ha problemi a identificarsi e a difendere quelli massacrati di botte dalla Diaz, gonfiati come zampogne mentre stavano dentro i sacchi a pelo che dormivano, mentre invece su Carlo Giuliani diventa ‘eh però lui aveva l’estintore in mano’”. Un episodio, quello del G8 del 2001, che ha segnato uno spartiacque temporale. Ci sarà sempre un prima e un dopo: “Genova è una partita chiusa. Sclerotizzata, immutabile, ormai esiste un blocco sociale in questo paese che pensa che era giusto sparare in faccia a Carlo Giuliani, e quella roba ormai è inscalfibile. Non vale la pena dibatterne ancora. Teniamoci la nostra memoria, coltiviamola, problematizziamola, e amen. Schieriamoci sulle cose dell’oggi checcaz*o, sulle cose che ancora sono vive e ci attraversano e su cui possiamo ancora orientare il dibattito pubblico e l’opinione, quelle su cui non abbiamo ancora perso”. Scriveva così Zerocalcare in un post del 2016, ed è proprio quello che sta tentando di portare avanti oggi nonostante le resistenze continue. Quella di Carlo Giuliani e Ilaria Salis sono due storie apparentemente diverse, eppure c’è un filo che le unisce. Perché nessuno dei due ha assunto il ruolo di vittima passiva.
“Ilaria, nel suo essere parte attiva e non solo vittima passiva, fa sì che anche se cinque giorni di prognosi puniti con vent’anni di galera sono evidentemente un’aberrazione mostruosa, il fatto che non abbia assunto la postura della vittima ci rende molto difficile empatizzare con lei, e questo è un problema che sta in capo anche a chi fa il mestiere di produrre immaginario, di provare a scardinare questo fatto di provare a sentirci sempre e solo le vittime. Io con la cosa mia mi rendo conto che è veramente difficile scalfire quella roba lì”. Ma la bellezza è che, nonostante tutto, c’è chi riesce con facilità a empatizzare e identificarsi con Ilaria, mentre per chi fa presto a prendere le distanze la massima resta sempre e solo una: “Non ce ne frega un caz*o, annateve a pija er gelato”.