I Ctu, Consulenti Tecnici di Ufficio, nelle cause giudiziarie di supposta malasanità, sono medici, specialisti e no, nominati dal giudice o dal magistrato affinché valutino se il paziente è stato realmente vittima di un errore sanitario. Questi professionisti devono verificare, di volta in volta, se il loro collega sotto indagine ha svolto o meno la professione con mancanza di attenzione ovvero con negligenza, senza le necessarie precauzioni vale a dire con imprudenza e non possedendo le necessarie competenze tecniche quindi con imperizia. Svolgono una funzione di ausilio al giudice, fornendo pareri tecnici e valutazioni specifiche su questioni che esulano dalle competenze giuridiche. Il parere di questi consulenti non è chiaramente sentenza; il giudice non è vincolato alle loro conclusioni, può valutarle criticamente, motivare eventuali discostamenti o anche se necessita ancora di chiarimenti, affidarsi ad un ulteriore tecnico. È innegabile però che il loro parere tecnico incanala decisamente gli esiti dei giudizi, condizionando in maniera determinante le sentenze. Proprio in virtù’ dell’importanza della valutazione, una consulenza tecnica imparziale è fondamentale per garantire il diritto di difesa delle parti coinvolte nel giudizio e per assicurare che la decisione del giudice sia basata su elementi di prova validi e non viziati da pregiudizi. Per evitare potenziali problemi ed ingiustizie, dovrebbe essere una regola assoluta che i CTU fossero scelti tra professionisti che non abbiano legami significativi soprattutto con il luogo geografico, sede dell’evento, in cui si svolge il processo oltre che, evidentemente, con le parti coinvolte. Questo anche per garantire una maggiore fiducia dei cittadini nella consulenza tecnica e nel processo decisionale del giudice. Invece nel mondo reale è esattamente il contrario; i Ctu che vengono nominati nei tribunali, sono costantemente, in qualche modo, diretto e/o indiretto, voluto o non voluto, in rapporto con i luoghi ed i professionisti implicati nelle vicende che vanno a valutare. La prassi più da condannare e che è la causa di quasi tutte le vergognose sentenze, è che i Ctu vengono scelti tra coloro che svolgono la professione medica nella stessa zona geografica del medico in discussione nel processo, sia quest’ultimo in ambito penale o civile. Si controlla raramente in maniera concreta se ci sia o meno una connessione tra i giudicanti ed i giudicati, anche perché la connessione di fatto c’è sempre; è invero praticamente impossibile che tra medici della stessa città o struttura ospedaliera o università non ci sia un qualche collegamento e/o addirittura un interesse.

Questo anche tenendo conto che la classe medica non è una casta nel senso stretto del termine ma è certamente per gran parte un sistema sociale circoscritto, rigido, con forte senso di appartenenza ed evidenti meccanismi di protezione e tutela interna che diventano quasi inscalfibili con l’aumentare del prestigio e della posizione ricoperta dal medico. Lo stesso codice deontologico dell’Ordine dei Medici richiama ad un rispetto realmente eccessivo ed ingiustificato tra colleghi. I pazienti che si rivolgono alla giustizia in procedimenti in cui c’è la necessità di tali valutazioni tecniche, partono praticamente spesso in svantaggio perché non solo si trovano a lottare per rivendicare un diritto ma anche per tentare di arginare i tentativi, a volte anche goffi e spesso neanche camuffati, del CTU di giustificare, contro ogni regola, il collega o comunque di annacquare la responsabilità dello stesso; del resto, essendo il sistema a rotazione, oggi decide lui, domani la situazione si potrebbe capovolgere ed è meglio non farsi nemici. Anche perché le cause riguardanti gli errori medici sono procedimenti dove le cifre risarcitorie sono solitamente molto elevate, le denunce dei pazienti sempre più frequenti ed ormai le strutture sanitarie si rivalgono direttamente sui medici in caso di errore riconosciuto in sede giudiziaria. Non è per niente raro ritrovarsi in sedute di giudizio in cui i consulenti nominati dal giudice si rivolgano con un distaccato “signore” al paziente e salutino invece calorosamente con nome di battesimo l’altra parte; così come ci si può imbattere in Ctu e medici imputati che pochi giorni prima hanno condiviso la stessa sala operatoria o docenti della stessa università. In realtà questo sistema è totalmente ingiusto non solo per i pazienti ma anche per gli stessi consulenti tecnici, almeno per quelli che hanno una coscienza. Un medico Ctu si può ritrovare a giudicare un collega del padre, un conoscente, uno con cui ha frequentato il corso di aggiornamento o che ha curato un suo parente; può imbattersi, nella sua stessa città di residenza, nel dover decidere se il primario o il professore titolare di cattedra universitaria e casomai considerato un luminare della materia abbia sbagliato diagnosi o protocolli terapeutici o procedure, casomai causando anche la morte del paziente. Il paziente, a sua volta, è costretto, suo malgrado, ad affidare tutta la giustizia a cui ha diritto nelle mani ma soprattutto nel coraggio e nella lealtà del suddetto medico, sperando che ne abbia. Un sistema completamente sbagliato e da rivoluzionare, in cui vince sempre il sospetto e troppo frequentemente il più forte.
