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Mostro di Firenze e delitto di Garlasco, IL GENETISTA RICCI RIDISEGNA IL MISTERO? Per il dna Giovanni Vinci è il padre di Natalino Mele, il bimbo lasciato a dormire sul sedile mentre mamma e amante venivano trucidati. E Sempio...

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

  • Foto: Illustrazione IA MOW

23 luglio 2025

Mostro di Firenze e delitto di Garlasco, IL GENETISTA RICCI RIDISEGNA IL MISTERO? Per il dna Giovanni Vinci è il padre di Natalino Mele, il bimbo lasciato a dormire sul sedile mentre mamma e amante venivano trucidati. E Sempio...
Come con Garlasco, anche sul caso del mostro di Firenze il dna scardina certezze, sempre “a firma” del genetista Ugo Ricci. Giovanni Vinci risulta essere il vero padre di Natalino: quindi il killer del delitto di Signa risparmiò Natalino per riconoscenza verso Giovanni? O forse fu Giovanni stesso a essere presente quella notte, in un delitto che mescolava vendetta e calcolo?

Foto: Illustrazione IA MOW

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

È successo di nuovo e pure grazie alla stessa mano. O, meglio, grazie allo stesso genetista: Ugo Ricci. Una svolta genetica, infatti, squarcia oscurità, omertà e silenzi a lungo imposti su un altro dei cold case più intricati d'Italia: il Mostro di Firenze. il test del DNA disposto dalla procura di Firenze ha infatti rivelato che Giovanni Vinci, fratello maggiore degli all’epoca sospettati Francesco e Salvatore Vinci, era il padre biologico di Natalino Mele, il bambino di sei anni sopravvissuto al primo duplice omicidio del Mostro di Firenze a Signa nel 1968. La scoperta, firmata appunto da Ugo Ricci – lo stesso che nel caso di Garlasco individuò il dna di Andrea Sempio sotto le unghie di Chiara Poggi – riscrive la storia dell'intera vicenda, riaccendendo quella che ai tempi fu battezzata come la "pista sarda" e sollevando interrogativi inquietanti: il killer risparmiò Natalino perché consapevole del legame di sangue? E come spiegare i chilometri percorsi dal bambino, solo e sotto shock, nel buio pesto dopo la strage?

Pietro Pacciani Ansa
Pietro Pacciani Ansa

Quella notte d'agosto del 1968, Natalino dormiva sul sedile posteriore della Fiat 1100 mentre la madre, Barbara Locci, e l'amante, Antonio Lo Bianco, venivano crivellati di colpi con una calibro 22, la stessa arma che terrorizzerà poi la Toscana fino al 1985. Il piccolo, miracolosamente illeso, riuscì a raggiungere un'abitazione lontana, bussando al muratore Pietro Muccini con parole agghiaccianti: “Mio padre è a casa ammalato, mamma e zio sono morti in macchina”. Quelle frasi, troppo precise per un bambino sotto shock, garantirono in un primo momento l'alibi al marito tradito (e formalmente babbo del piccolo) Stefano Mele, che però verrà poi comunque condannato per il delitto d'onore. Oggi, a distanza di 57 anni, la verità biologica ribalta ogni certezza: Stefano non era il padre, e Giovanni Vinci – membro del clan sardo legato a Barbara da relazioni sentimentali multiple – entra per la prima volta nel cerchio delle indagini, sebbene defunto da anni.

L'analisi di Ricci, condotta su campioni prelevati in segreto dal Ros nel 2018 e sul dna di Francesco Vinci, nel frattempo riesumato, mostra un parallelismo con il caso Garlasco: come per Chiara Poggi, la verità è emersa grazie alla modernità e grazie alla tenacia scientifica applicata a tracce biologiche dormienti. Ma se a Garlasco il dna potrebbe inchiodare il nuovo assassino (o il prossimo Alberto Stasi?), qui apre voragini investigative: perché Giovanni, mai formalmente coinvolto nell'inchiesta nonostante i fratelli finiti nel mirino, non fu considerato? E perché il killer, dopo aver ucciso Barbara e Lo Bianco con ferocia calcolata, lasciò in vita Natalino? Natalino, oggi 64enne, reagisce citato da Open con amara ironia: “Quale dei due miei padri sarebbe l'assassino di mia madre?”. Oggi Natalino ha 64 anni e, informato sulla nuova scoperta dagli inquirenti, ha affermato di non aver mai conosciuto Giovanni Vinci, nonostante le testimonianze dell'epoca lo descrivessero in compagnia degli "zii" Salvatore e Francesco. Della notte dell'omicidio sostiene di non ricordare nulla, nemmeno se qualcuno lo accompagnò nella lunga camminata al buio: un vuoto di memoria che persiste dopo gli interrogatori coercitivi subiti all’epoca, senza una assistenza psicologica e con tanto di verità che lui stesso non nega possano essergli state indotte.

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La scoperta ridà fiato alla teoria del movente familiare e, di fatto, allontana quell’efferato omicidio da quelli successivi attribuiti al Mostro di Firenze. Oppure c’è proprio una intera storia, anche di indagini totalmente deviate da riscrivere? Magari riconducendo le azioni del mostro alla reazione di un uomo, o di uomini, che volevano in qualche modo punire gli amori consumati nel segreto? La mamma di Natalino, Barbara Locci, donna dalla vita sentimentale tumultuosa, intrecciava relazioni con i membri della comunità sarda emigrata in Toscana, creando rivalità e gelosie. Se il delitto di Signa è sempre stato considerato l'atto d'esordio del Mostro – nonostante l'assenza di condanne per Pietro Pacciani e i suoi "compagni di merende" proprio su questo episodio – il legame con gli omicidi successivi potrebbe ora riannodarsi attorno alla figura di Giovanni Vinci, o comunque riaprire definitivamente la pista sarda. I pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti dovranno sciogliere il nodo cruciale: il killer risparmiò Natalino per riconoscenza verso Giovanni? O forse fu Giovanni stesso a essere presente quella notte, in un delitto che mescolava vendetta e calcolo?

Mentre la famiglia Vanni attende ancora la revisione del processo per gli omicidi successivi, questa rivelazione genetica costringe a rileggere l'intera saga del Mostro. Come nel caso Poggi, dove il dna ha sfidato versioni consolidate per quanto avvolte nel mistero e – lasciatecelo dire – anche nell’omertà, qui la biologia di diventare una torcia per fare luce su decenni e decenni di depistaggi e errori madornali della magistratura. Resta il mistero di un bambino che cantava "La tramontana" per farsi coraggio nel buio, ignaro che la verità sul suo sangue avrebbe atteso quasi sessant'anni per venire a galla.

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