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Abbiamo letto Nei meandri del Mostro di Firenze, il libro di Davide Pulici, ma com'è? Il salto definitivo nel buio dell’irrazionale, altro che il delitto di Garlasco. Intervista all'autore

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

11 giugno 2025

Abbiamo letto Nei meandri del Mostro di Firenze, il libro di Davide Pulici, ma com'è? Il salto definitivo nel buio dell’irrazionale, altro che il delitto di Garlasco. Intervista all'autore
È uscito per Edizioni Nocturno il nuovo libro di Davide Pulici, “Nei meandri del Mostro di Firenze”, prodigioso excursus in tutta la fiction (dal cinema ai fumetti passando per la televisione e l’editoria) ispirata dal Mostro. “Ferrario ancora oggi mi dice che sarà pur strano, ma dopo il suo film, peraltro osteggiatissimo, la serie dei delitti si è interrotta”, ci racconta il direttore di “Nocturno”. In attesa, il prossimo ottobre su Netflix, della serie sul Mostro firmata da Stefano Sollima, ripercorriamo un lungo (e assolutamente unico) tragitto fatto di voci, condanne e misteri. In cui spuntano piste esoteriche, colpevoli (Vanni) ai quali in autobus casca per terra il vibratore, colpevoli (Pacciani) – ma morti da innocenti – a cui viene anche attribuito un fantomatico film porno. “Questa è una vicenda che, una volta che inizi a indagarla, ti trascina giù con sé”…

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Appassionato, colto, rigoroso. Davide Pulici, insieme a Manlio Gomarasca, è l’ideatore di quella affascinante creatura – di cui è tuttora direttore – che risponde al nome di “Nocturno”, rivista-totem da anni uno dei massimi riferimenti per ogni avido cinefilo che desideri cavarsi fuori dai consueti acquitrini mainstream. Ma non solo. Pulici approfondisce, analizza, ricerca, scarnifica. E pubblica. L’ultimo titolo a suo nome è “Nei meandri del Mostro di Firenze” (Edizioni Nocturno Libri), excursus nella fiction (cinema, tv, libri, fumetti) che il Mostro è stato in grado di influenzare, ispirare, corrompere. Un lavoro ammirevole, quasi prodigioso, che al di là di ogni accurata analisi (ri)stabilisce comunque una verità incrollabile. Se pensiamo alla cronaca nera non c’è Garlasco che tenga: il mistero, l’irrazionale, l’incomprensibile aleggiano ancora là, in quelle campagne toscane calate in una dimensione rara. Una dimensione in cui la Storia ha lasciato in fondo al racconto del Mostro una sequenza di terrificanti puntini sospensivi.

La copertina dell'ultima fatica editoriale di Davide Pulici, "Nei meandri del Mostro di Firenze" (Edizioni Nocturno)
La copertina dell'ultima fatica editoriale di Davide Pulici, "Nei meandri del Mostro di Firenze" (Edizioni Nocturno)

Ricordi come tu, da ragazzo e poi da giovane, percepisti le vicende del Mostro?

Ho ricordi molto netti del periodo fra il 1981 e il 1985. Avevo finito il liceo e cominciavo l'università. L’opinione pubblica ne parlava, i telegiornali se ne occupavano, ma non ricordo nulla di plateale. Oggi una cosa simile riceverebbe l’attenzione dei media 24 ore su 24. All’epoca se ne dibatteva, certo, e i giornali tiravano fuori titoli a effetto. Però il primo speciale tv di cui ho memoria risale al 1985. Poi arrivò “Telefono giallo” (programma di Corrado Augias che esordì nel 1987), quando ormai pareva chiaro che la serie dei delitti si fosse interrotta. Via via tutti gli altri.

Una questione di delitti o di informazione?

Si brancolava in un buio impenetrabile. Non c'erano tracce, non c'erano appigli, e c’era l’imbarazzo di dover ammettere che non ci fossero vere e proprie piste da seguire. Si era giunti alla conclusione che l'autore di questi crimini dovesse essere una persona di rango superiore, probabilmente un medico con problemi sessuali. Anche il libro di Mario Spezi uscito nel 1983 (“Il Mostro di Firenze”) gira intorno a questa ipotesi, non vengono contemplate altre possibilità. Che, ad esempio, ci fossero più mostri

Cosa ti colpiva di quel contesto geografico (le campagne fiorentine) così lontano dalla città di Milano?

Che ci fosse questo incredibile milieu di organizzatissimi guardoni che bazzicavano i luoghi dei delitti. Le indagini della polizia una cosa l'avevano fatta emergere con certezza, e cioè che in quelle zone – non solo, ovviamente, ma in quelle zone soprattutto – c’era un mondo sommerso di voyeur tecnologicamente ben organizzati. Microfoni, binocoli, marchingegni con cui guardare nel buio. Qualcuno doveva aver visto qualcosa, gli inquirenti ne erano convinti.

Luoghi che i ragazzi, tuttavia, continuavano a frequentare. Di notte.

Ho presentato questo libro in un paio di località dove sono accaduti i delitti. All’epoca dei fatti mi chiedevo se le coppie non avessero paura a scegliere posti così infrattati. Mi è stato risposto che c’era un misto di incoscienza (colpiranno proprio noi?) e fiducia. Fiducia nel fatto che il balordo di turno sbattuto in galera fosse il Mostro. Di gente ne fu fermata tanta, in quegli anni, ma alla fine nessuno era davvero lui, il Mostro.

Il film di Cesare Ferrario, “Il mostro di Firenze” (1986), alla luce di quanto scrivi – fu molto ostacolato dai parenti delle vittime e dalla pretura di Firenze –, può essere considerato un film maledetto?

Beh, sì. Il film di Ferrario ha come caratteristica particolare quella di essere stato girato nelle zone dove erano avvenuti i delitti. Consideriamo anche che la produzione del film iniziò a lavorare un mese e mezzo dopo l’ultimo delitto, quello degli Scopeti, in cui le vittime furono due turisti francesi. Ogni giorno la stampa di Firenze era all’attacco. E così i parenti delle vittime. A tutt’oggi lo ritengo il miglior film fatto sul tema. Anche per la strada intrapresa. Ferrario a un certo punto si inventa un Mostro “proustiano” che emerge, in qualche modo, dalla proiezione mentale dello scrittore protagonista (che sta scrivendo un libro sui delitti). Il protagonista (interporetato da Leonard Mann) lo vede, ha dei contatti con lui, ma noi non sappiamo se anche gli altri lo vedono. Un'ipotesi affascinante che permetteva di svicolare dal problema centrale: chi è il Mostro di Firenze? Ancora oggi Ferrario dice: sarà un caso, ma dopo il film il Mostro non ha più colpito. Un film tribolato, contestato. Scene oscurate, accorciate, modificate.

Salvo la parentesi del doppio film sul Canaro (“Dogman” di Garrone e “Rabbia furiosa” di Stivaletti, entrambi usciti nel 2018), ritieni che il cinema, in termini di film sulla cronaca, sia stato cannibalizzato prima dalla tv e poi dal web?

Una delle cose che oggi hanno più successo è il true crime. Una volta però non c'era, ed era il cinema che trattava casi eclatanti di cronaca. Poi ci si è messa la tv, con programmi come “Chi l’ha visto?”, “Un giorno in pretura”. La cronaca si è fatta fiction, ma non su pellicola. Pensiamo anche al cinema d’impegno civile. È praticamente scomparso nel momento in cui sono scomparsi i suoi autori più celebri, Elio Petri, Damiano Damiani, Francesco Rosi. I film sul Canaro, tornando alla nera, sono forse l'ultimo grande esempio di cinema che ha preso spunto da fatti così efferati della cronaca. Perché poi, quando storie simili finiscono sul grande schermo, qualcuno subito pensa alla speculazione sulla tragedia.

Come se i contenitori pomeridiani che si collegano ora con Avetrana, ora con Garlasco, non speculino alla grande sul fattaccio di turno.

Ecco, pensa al casino che è saltato fuori, proprio di recente, con la fiction – peraltro bellissima – su Avetrana. C’è stata una grande levata di scudi nei confronti della produzione, eppure la tv su Avetrana ci ha pascolato per anni.

Tu conosci benissimo sia il cinema di Dario Argento, sia le cronache sul Mostro. Credi che l’incontro mai avvenuto fra questi due mondi sia stata una delle grandi occasioni mancate del nostro cinema?

Direi di sì, anche perché Dario Argento fra il 1983 (poco dopo “Tenebre”) e il 1984 manifestò più volte l'intento di fare un film sul Mostro. La sua ex compagna, Daria Nicolodi, fiorentina, raccontò addirittura di aver scritto una sceneggiatura e che era a conoscenza di segreti incredibili sull'identità del Mostro. Disse che avrebbe voluto farne un film, da sola, svincolata da Argento, ma poi tutto sfumò. Argento, negli anni, continuò a seguire con grande interesse tutto lo sviluppo della vicenda di Pacciani, i processi. Fu lui, pare, a suggerire a Thomas Harris – che poi avrebbe scritto il romanzo “Hannibal” – una parte, ambientata a Firenze, che coinvolge il Mostro di Firenze. Argento a un certo punto decise però che si sarebbe mosso solo con l’emergere di una verità definitiva. Cosa mai avvenuta, visto che quattro duplici omicidi su otto restano tuttora insoluti.

E la sceneggiatura di Daria Nicolodi?

Non se ne sa nulla. Nicolodi disse che questo progetto saltò anche perché lei e questa sua amica, storica dell’arte, con cui stava lavorando, ricevettero delle minacce. Però, sai, distinguere il colore dal reale può essere difficile, soprattutto a distanza di anni.

Davide Pulici, direttore di "Nocturno"
Davide Pulici, direttore di "Nocturno"

Ritieni che i colpevoli finora emersi – Mario Vanni, Gianfranco Lotti e Pietro Pacciani, anche se quest’ultimo morì “innocente”, a procedimenti non ancora conclusi – siano dei colpevoli un po' “deludenti”, come se fosse impensabile che non ci debba essere qualcos’altro?

Vanni e Lotti, agli occhi della legge, sono sono stati giudicati colpevoli. Pacciani è morto da innocente, ma probabilmente un ulteriore processo lo avrebbe incastrato. La scorsa estate mi sono riascoltato tutte le sessioni dei processi. Ho letto un sacco di atti e francamente, soprattutto per quanto riguarda la figura di Lotti, sorge il dubbio che un individuo del genere non fosse in grado, da solo, di macchinare e compiere crimini di questo tipo. Tant'è che poi è emerso il concetto del secondo livello: Lotti, Vanni e Pacciani come esecutori materiali, con i delitti organizzati, pensati e architettati da una mente superiore. Una strada battuta, in particolare, da Michele Giuttari nell’ottobre 1995, quando viene nominato capo della squadra mobile di Firenze, e poi da Giuliano Mignini, magistrato che ha indagato sulla figura di Francesco Narducci. La mostrologia abbonda di tesi su possibili colpevoli (spuntò fuori anche la pista esoterica). Ciascuna di queste tesi, anche quando è assurda, viene però motivata e sostenuta da una serie di rilievi. Pensate a tutta la storia che lega, per esempio, il Mostro di Firenze a Zodiac. Già di per sé si pone come una sceneggiatura incredibile. Poi vai a scandagliare i dettagli e ti rendi conto che molte sono cavolate, però la costanza e l'ossessività con cui questi mostrologi motivano le loro tesi è cinematograficamente affascinante.

Una spirale.

Questa è una vicenda che, una volta che inizi seriamente a indagarla, ti trascina giù con sé. Sei continuamente spinto a cercare qualcosa in più. Alcuni di questi delitti sono rimasti senza un colpevole. E quindi c'è questa quota di mistero, di irrazionale assoluto. Irrompi nell'irrazionale nella sua forma più pura, l’irrazionale che si fa largo nel contesto più banale possibile, nella “normalità della gente”. Damiano Damiani, ospite a una puntata di “Telefono giallo”, disse, parlando di Girolimoni, che la gente riusciva a concepire, pur con enorme sdegno e sofferenza, un mostro pedofilo. Ma non questo buco nero di violenza del Mostro, gli scempi del Mostro sui corpi femminili. Lì c’è qualcosa di atroce ma inafferrabile. Il fatto che il Mostro, a differenza dei maniaci classici, non violentasse le vittime, ma infierisse sui corpi. Cioè, si capisce che siamo alle prese con una persona (persone, meglio dire) con gravi problem psichici, ma non riusciamo a capire cosa ci potesse fare con le parti del corpo estirpate, strappate. Le conservava? Le buttava via? Venivano utilizzate per qualche rituale? Ci pensi e senti che c’è qualcosa, sullo sfondo, che non quadra. Vai in quelle zone e candidamente le persone del posto ti dicono che lì sopravvivono ancora retaggi quasi preistorici. Penso al concetto di incesto, al fatto che Pacciani violentasse le figlie. Pratiche che affonda(vano) le radici in una fase arcaica e arretrata della storia, un momento in cui cose simili non erano tabù.

In questo scenario complesso il corto-circuito definitivo è provocato dalla quasi conclamata impotenza del Mostro.

Sì, si è concluso in modo pressoché unanime che il Mostro fosse un individuo ipossessuato con problemi di impotenza. Il che si scontra, peraltro, con figure come quella di Pacciani, o di un sospettato della prima ora come Salvatore Vinci, che invece erano degli ipersessuati, personaggi che avevano una vita sessuale strabordante, promiscua, senza distinzioni tra uomini e donne. Questo è uno dei tanti conflitti che si innescano in questa storia. Ma come? Gli esperti ci dicono che il mostro è un impotente. Poi però vengono incriminati dei personaggi che sono all'opposto.

Lotti e Vanni, invece, soddisferebbero l’idea del mostro iposessuato.

Lotti e Vanni erano figure quasi monicelliane o risiane, a tratti. Il Vanni che si trova in piedi, su un autobus, e a un certo punto gli cade a terra un vibratore che con l’impatto si attiva. Difficile però pensare che figure simili potessero agire in modo autonomo.

E del film porno di cui Pacciani sarebbe stato protagonista? Leggenda?

Se fosse esistita una videocassetta hard, a quest’ora sarebbe saltata fuori. Di certo questa divetta porno dell’epoca, Gessica Massaro, fece visita a Pacciani. Il film venne persino presentato, in alcune occasioni, ma della ipotetica vhs esiste solo qualche frame in cui si vede Massaro che abbraccia Pacciani. Tutto qui. Si trattò, molto probabilmente, di una trovata pubblicitaria.

E di “Voci notturne” di Pupi Avati, invece, cosa mi dici?

C'è una lunga parte del libro dove smonto questa teoria secondo la quale Pupi Avati si sarebbe ispirato al Mostro. Sono teorie inconsistenti. C'è chi si è spinto a supporre che Avati abbia seminato, all’interno di “Voci notturne”, indizi legati al Mostro. Nulla di vero. “Voci notturne” è meraviglioso, ma con il Mostro c’entra nulla.

E ora?

Ora attendo con enorme curiosità la serie in sei puntate che uscirà a ottobre, su Netflix, di Stefano Sollima. La serie era pronta fin dal febbraio dello scorso anno, ma poi è stata congelata. Non sono riuscito a capire per quale ragione. Lo scorso gennaio, finalmente, è uscito l’annuncio ufficiale di Netflix. È ancora tutto molto top secret, ma credo che Sollima voglia tratteggiare, di delitto in delitto, l’Italia del Mostro. Quella del 1968, quella del 1974 e poi via via fino al 1985 e oltre, con il processo Pacciani. In un’intervista mi aveva detto che la sua non era la storia del Mostro di Firenze, ma dei mostri (di Firenze, e non solo).

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