Nessuno tocchi Aldo Cazzullo, seriamente. La pubblicazione della chat è una goliardata che nessuno si è risparmiato (nemmeno noi), ma questo perché con giornalisti come lui si deve e si può scherzare. Sono talmente poche le volte in cui cadono in fallo che non ha davvero senso risparmiarsi un p’ di ironia. Lo diciamo senza voler passare da cuori teneri. Noi Cazzullo lo abbiamo sempre e variamente criticato, per i suoi libri e per molte sue uscite, quando abbiamo creduto in particolare che si fosse spinto troppo in là, nel territorio della guardia di finanza (quando lamentava il fatto che Sinner non pagasse le tasse in Italia) o in quello dell’endocrinologia (quando provò a parlare, insensatamente, di Imane Khelif, confondendo un po’ tutto, le x con le y eccetera). Però, davvero, non condannate Cazzullo per una battuta, evitate vi prego di crederlo un po’ machista e razzista (se la vostra critica è intersezionale, altrimenti solo razzista) per aver definito Kamala Harris una “Casellati nera”. Intanto perché non c’è motivo di credere che vi sia qualcosa di razzista nell’accostare Kamala Harris a una politica italiana, con l’unica differenza superficiale ma reale data dal colore della pelle. E poi perché, in fondo, Kamala Harris è stata la prima, in questa campagna elettorale, a definirsi una “black woman”; e dunque perché non una “black Casellati”.
Chiaramente non possiamo non difendere Cazzullo se non criticando Cazzullo. Noi non lo difendiamo in nome della libertà di parola, della libertà di dire ciò che si vuole in una chat privata, nella libertà di fare humor e così via. Ma lo difendiamo anche perché Cazzullo è uno di noi, un mammifero dotato di anima e capacità di sbagliare. È umano, nonostante lui si sia impegnato a dimostrare il contrario. Mettiamo da parte le sue interviste, belle, strutturate, come se ne vedono poche. Mettiamo da parte i suoi libri, brutti, estensioni e protuberanze di Wikipedia. Guardiamo agli editoriali, alle rubriche, ai trafiletti. Cazzullo alla fine è un moralista. Ma i moralisti, da Seneca a Schopenhauer, raramente sono irreprensibili. Facile fare la predica quando sei tu il predicatore. Cazzullo ci ha abituato a una versione di sé a metà tra Gramellini e Piero Angela, una sorta di Corrado Augias del nostro decennio. Pacatezza, erudizione, capacità e una buona posizione da cui discettare. Va bene perché, lo abbiamo già detto altrove, serve gente così. Aiuta a normalizzare il mondo, sempre più polarizzato e trash. L’unico problema è il rischio di fissare nella mente dei lettori e del pubblico l’idea di un Aldo Cazzullo di vetro o di quelle pseudoplastiche biodegradabili, ovvero perfettamente giusto per la nostra epoca, duro e puro e, soprattutto, buono. Qualche volta, invece, persino un Aldo Cazzullo può essere cattivello. Nessuno tocchi Cazzullo, perché ha diritto a non essere idealizzato dalla combriccola dei giusti.